Fatture false, bastano per bloccare il rimborso Iva.


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Fatture false, bastano per bloccare il rimborso Iva.
Autore: Fisco Oggi - Paolo Napolitano - aggiornato il 19/11/2008
N° doc. 10211
19 11 2008 - Edizione delle 17:00  
 
Commissione tributaria regionale di Firenze

Fatture false, bastano per bloccare il rimborso Iva

È sufficiente il semplice riscontro, in un processo verbale, dell’emissione o dell’utilizzo dei documenti
 
Per sospendere i rimborsi Iva basta la semplice constatazione dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Questo principio, pacifico fra gli operatori del diritto tributario, è stato riconosciuto solo in secondo grado, con la sentenza della Commissione tributaria regionale di Firenze n. 55/30/07, depositata il 6 maggio 2008.

La vicenda trae origine dall’impugnazione da parte di un contribuente di un provvedimento di sospensione dell’esecuzione di un rimborso Iva per l’anno 2003, disposto dal competente ufficio dell’agenzia delle Entrate sulla base dell’articolo 38-bis del Dpr 633/1972.
Tale norma dispone che “quando sia stato constatato nel relativo periodo di imposta uno dei reati di cui all'articolo 4, primo comma, n. 5), del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, l'esecuzione dei rimborsi prevista nei commi precedenti è sospesa, fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto indicata nelle fatture o in altri documenti illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale”.

Va osservato che tale forma di sospensione non è l’unica che l’ordinamento tributario riconosce. In via generale, infatti, in caso di notifica di atti di contestazione o di irrogazione della sanzione non ancora definitivi, è stata introdotta, con la riforma del 1998 delle sanzioni tributarie (articolo 23 del Dlgs 472/1997), la possibilità di sospendere l’esecuzione di un rimborso a favore dell’autore della violazione o dei soggetti obbligati in solido, fino all’importo concorrente con la somma derivante dall’atto.

La sentenza di primo grado
Ritornando ai fatti di causa, una società aveva impugnato il provvedimento, sottolineando che lo stesso era stato emesso in violazione dell’articolo 38-bis, in quanto, al momento della notifica della sospensione, in sede penale non era stato contestato alcun reato. La stessa società evidenziava, a tal fine, che il proprio comportamento era consistito nella semplice registrazione negli acquisti di fatture per operazioni in via di completamento, specificando che il rimborso andava in ogni caso sospeso “fino a concorrenza dell’imposta indicata nelle fatture illecitamente utilizzate”.

L’ufficio, costituendosi in giudizio, precisava che il termine “constatazione”, utilizzato dal legislatore tributario, era cosa ben diversa dalla “contestazione” di un reato in sede penale e che, quindi, essendo stato notificato un processo verbale di constatazione, appunto, per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, il provvedimento emesso era più che legittimo; una circostanza che da sola era sufficiente a giustificare il fermo della procedura di rimborso.

La Ctp, ritenendo opportuno verificare in concreto se le ipotesi di reato, previste dall’articolo 4, comma 1, n. 5, della legge 516/1982, alle quali l’articolo 38-bis del Dpr 633/1972 rinvia, fossero state mantenute anche nella riforma delle sanzioni penali-tributarie, operata dal Dlgs 74/2000, rilevava che:
  • l’articolo 25 del Dlgs 74/2000 aveva abrogato espressamente l’articolo 4 della legge 516/82
  • l’articolo 8 del nuovo decreto prevede il reato solo in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti e che, invece, l’articolo 2 dello stesso provvedimento normativo dispone che l’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti costituisce reato solo quando le stesse confluiscono nella dichiarazione
  • che, dunque, essendoci continuità normativa solo per il reato di emissione di fatture false, ma non tra il reato dell’utilizzo di fatture false e il nuovo reato previsto dall’articolo 2 che punisce la dichiarazione fraudolenta, “la sospensione del rimborso non poteva essere emessa in caso di mera utilizzazione di fatture false”.

La decisione della Ctr
L’ufficio proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado in quanto, in realtà, vi era piena continuità normativa tra le disposizioni della legge 516/1982 e quelle del Dlgs 74/2000, disciplinanti i reati in tema di operazioni inesistenti, evidenziando, inoltre, che anche i primi giudici avevano ammesso che per la sospensione del rimborso bastasse la constatazione della notizia di reato e non la contestazione del reato tramite la richiesta di rinvio a giudizio.

La società si costituiva in giudizio, ribadendo la propria posizione ed evidenziando che la sospensione del rimborso può essere disposta solo quando l’autorità penale ritiene fondata la notizia di reato. In subordine, veniva chiesto che il rimborso fosse sospeso solo per l’importo dell’imposta indicata nelle fatture contestate.

Il collegio fiorentino, preliminarmente, ha ritenuto opportuno comunque sottolineare che “è pacifico che la constatazione di cui all’art. 38 bis, c. 3, DPR 633/72 non ha lo stesso significato e vigenza della contestazione del reato da parte del Pubblico Ministero che, ove non richieda l’archiviazione, esercita l’azione penale e formula l’imputazione (art. 405 c.p.p.)”.
Tale constatazione, per i giudici, coincide, infatti, con la fase in cui viene acquisita la notitia criminis; di conseguenza, il semplice riscontro in un processo verbale dell’emissione o dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti è sufficiente affinché l’Amministrazione finanziaria sospenda legittimamente il rimborso, rispondendo tale potere a un’esigenza di “tutela per il Fisco basata su elementi oggettivi e non lasciata alla libera interpretazione degli uffici”.

Inoltre, la Commissione regionale ha evidenziato come fosse stato lo stesso contribuente ad affermare che le fatture erano state emesse per acconti quando le opere non erano state ancora ultimate, osservando che tale circostanza “desta forti perplessità dacché nel campo edilizio la regola è che si paga secondo un prestabilito stato di avanzamento lavori e non in acconto su lavori non ancora eseguiti”.

La Ctr ha, quindi, rigettato in toto l’interpretazione resa dai primi giudici sulla mancanza di continuità normativa tra la legge 516/1982 e il Dlgs 74/2000 in materia di reati da operazioni inesistenti.
A tal proposito, infatti, è stato puntualizzato che l’articolo 8 del Dlgs 74/2000 “non considera più reato il semplice rilascio o utilizzazione di documenti contraffatti o alterati, come nel previgente art. 4 legge cit., ma solo la emissione è penalmente sanzionabile”. In tale nuovo contesto, “l’utilizzo è invece ora regolato dallo art. 2 D. Lgs. 74/2000 che prevede il reato solo nel caso in cui tali fatture o documenti siano utilizzati nelle dichiarazioni annuali relative o all’irpef o all’iva. Poiché nel caso in esame i dati delle fatture sono confluiti nella successiva dichiarazione dei redditi (fatto non contestato) si ritiene sussistere continuità normativa fra l’abrogato art. 4, I c. lett. d) L. 516/82 e l’art. 2 D.Lgs. 10/3/2000 n. 74, e quindi legittima la sospensione della esecuzione del rimborso”.

La Commissione ha, infine, ritenuto giusto precisare, in accoglimento della domanda subordinata del contribuente, che l’esecuzione del rimborso dovesse essere sospesa, in base al chiaro dettato della norma “fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto indicato nelle fatture illecitamente utilizzate, fatte salve le garanzie legislativamente previste a favore della Amministrazione”.

 
Paolo Napolitano
 
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