E reato simulare una vendita per evitare la riscossione coattiva


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E reato simulare una vendita per evitare la riscossione coattiva
Autore: Fisco Oggi - Alessandra Gambadoro - aggiornato il 18/06/2009
N° doc. 11164

E' reato simulare una vendita per evitare la riscossione coattiva

L'operazione è sanzionabile anche se messa in atto prima che si svolga l'attività di accertamento da parte del Fisco
Rappresenta "una sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte" e si configura come reato di pericolo la vendita fittizia di un immobile da parte di un contribuente alla moglie per evitare la riscossione coattiva prima ancora che quest'attività sia messa in atto nei suoi confronti dall'Amministrazione finanziaria.
Si è espressa così, con la sentenza n. 25147 del 17 giugno 2009, la terza sezione penale della Corte di cassazione a proposito di un imputato già condannato in primo e secondo grado.
L'uomo, che da tempo non pagava le imposte dovute, aveva ceduto un appartamento alla società amministrata dalla moglie con lo scopo di sottrarre il bene alla futura attività di pignoramento dei beni espletata nei suoi confronti dalle Entrate.
Le motivazioni della sentenza traggono spunto dalla valutazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto dall'articolo 11 del Dlgs 74/2000. Secondo la Suprema corte, tale fattispecie è sostanzialmente diversa da quella precedente, disciplinata dall'articolo 97, comma 6, del Dpr 602/1973 (come modificato dall'articolo 15, comma 4, della legge 413/1991) e adesso abrogata.
Se entrambe, infatti, presentano lo stesso elemento soggettivo (il fine di evasione) e la medesima condotta materiale (l'attività fraudolenta), la nuova fattispecie, al contrario della precedente, non richiede "l'evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e l'effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva".
L'attività illecita messa in atto dal contribuente con lo scopo di non pagare le imposte, continua la Corte, rappresenta quindi un reato di pericolo e non più di danno perché per configurarsi basta la "semplice idoneità della condotta a rendere inefficace anche parzialmente la procedura di riscossione" senza che quest'ultima si verifichi effettivamente. Infatti, ribadiscono i giudici, l'iscrizione a ruolo non è più considerata come presupposto materiale della potenziale frode ma come sua evenienza futura.
Nel caso in esame, infine, l'alienazione del bene operata dal contribuente, sottraendolo alla futura attività di riscossione coattiva, ostacola il recupero del credito da parte dell'Erario ed è evidente anche la presenza dell'elemento soggettivo del reato (la volontà di evadere), in quanto l'imputato all'epoca dei fatti era già consapevole del proprio ingente debito fiscale e aveva deciso già di non avvalersi della possibilità del condono.

Alessandra Gambadoro - pubblicato il 18/06/2009
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