L inversione contabile in edilizia nella prassi elaborata dall Agenzia


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L inversione contabile in edilizia nella prassi elaborata dall Agenzia
Autore: Fisco Oggi - Vincenzo Loiacono - aggiornato il 30/06/2009
N° doc. 11205

L’inversione contabile in edilizia nella prassi elaborata dall’Agenzia

Breve excursus sui casi di applicabilità del reverse charge affrontati dall’Amministrazione finanziaria
Il meccanismo dell’inversione contabile in materia di Iva costituisce una deroga al principio generale sancito dal primo comma dell’articolo 17 del Dpr 633/1972, in base al quale l’obbligo di versare l’imposta è a carico del soggetto passivo d’imposta, ossia colui che pone in essere operazioni che hanno i tre requisiti perché siano considerate rilevanti ai fini Iva: oggettivo, soggettivo e territoriale. Pertanto, in linea generale, in presenza dei tre requisiti, l’operatore economico addebita l’Iva al cliente per poi versarla all’erario in sede di liquidazione periodica.
Il medesimo articolo 17 stabilisce delle eccezioni a tale regola fondamentale di esazione dell’Iva, basate sull’inversione della stessa, in quanto debitore dell’imposta è il cessionario e non più il cedente. In pratica, l’inversione contabile prevede che il cedente non addebiti l’Iva in fattura che verrà integrata dal cessionario con indicazione dell’aliquota e della relativa imposta. La registrazione della fattura avverrà sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite entro il mese di ricevimento, “ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese”. Pertanto, tale acquisto sarà “neutro” ai fini della liquidazione del periodo, in quanto si compensano le due poste a debito e credito dovute alla doppia registrazione.
La Finanziaria 2007 (articolo 1, comma 44, della legge 296/2006) ha esteso, con decorrenza 1° gennaio 2007, l’applicazione del reverse charge alle prestazioni di servizi rese nel settore edile da subappaltatori nei confronti di imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore. Restano quindi fuori da tale meccanismo i rapporti di appalto che si instaurano tra committente principale e l’impresa appaltatrice
La circolare 37/2006 ha chiarito che “il settore edile, cui fa riferimento la normativa nazionale”, può identificarsi “nell’attività di costruzione”.
A tale proposito, per individuare le prestazioni alle quali applicare il reverse charge, occorre fare riferimento alla tabella di classificazione delle attività economiche Atecofin 2004, che cataloga le attività di costruzione nella sezione F, comprendendo i lavori generali di costruzione, i lavori speciali di costruzione per edifici e opere di ingegneria civile, i lavori di completamento di un fabbricato, i lavori di installazione in esso dei servizi.
Sono da comprendere anche i soggetti che svolgono le elencate attività in via non esclusiva o prevalente, perché rilevano le tipologie di lavori effettuati (risoluzione 174/2008) e avuto riguardo all’attività effettivamente svolta (risoluzione 173/2008).
Sempre con riferimento ai principi sopra esposti, risulta interessante il principio sancito dalla risoluzione 113/2008, a seguito dell’interpello di una società che esegue lavori di montaggio e riparazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Pur non svolgendo abitualmente attività connesse al settore dell’edilizia, si trova a installare, in conseguenza di un contratto di subappalto, impianti facenti parte di strutture considerate alla stregua di edifici: è pertanto tenuta, in riferimento a tali prestazioni, ad adottare il meccanismo dell’inversione contabile.
Il requisito dell’appartenenza al settore edile interessa sia l’appaltatore che il subappaltatore (circolare 11/2007). Non assume nessuna rilevanza, invece, la qualità del committente principale, che può essere anche un privato, né il settore in cui lo stesso opera.
Deve trattarsi di prestazioni di servizi rese in base a un contratto riconducibile alla tipologia dell’appalto o del contratto d’opera, cioè a contratti in cui prevale l’obbligazione di fare rispetto a quella di dare, facendo riferimento alla concreta volontà delle parti come desumibile anche dai comportamenti tenuti successivamente alla conclusione del contratto, senza limitarsi al tenore letterale di quanto convenuto.
La risoluzione 164/2007 ha testualmente ribadito, anche al fine di distinguere l’appalto dalla posa in opera, che “in linea di principio la distinzione tra contratto di vendita e contratto di appalto dipende dalla causa contrattuale, rintracciabile dal complesso delle pattuizioni negoziali e dalla natura delle obbligazioni dedotte dalle parti. Quando il programma negoziale posto in essere dalle parti abbia quale scopo principale la cessione del bene e l’esecuzione dell’opera sia esclusivamente diretta ad adattare il bene alle esigenze del cliente senza modificarne la natura , il contratto è senz’altro qualificabile quale cessione con posa in opera”.
In passato, l’Amministrazione finanziaria si era già espressa in merito alle differenze tra contratti di appalto e di fornitura con posa in opera (fra le altre, risoluzione 360009/1976 e circolare 37/1977), identificando gli elementi distintivi fra le due tipologie contrattuali nella prevalenza del “fare” sul “dare”, come già affermato; o meglio, si configura un appalto tutte le volte in cui le clausole contrattuali obbligano l’assuntore dei lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva. In particolare, si ha “ordinaria produzione, allorché i beni vengano prodotti in conformità ad un tipo o serie, consueti al ciclo produttivo dell’impresa, anche nell’ipotesi che detti beni, a richiesta della parte, subiscono variazioni o adattamenti per forma, dimensione o altri elementi particolari” (circolare 37/1977).
 I principi sopra esposti hanno trovato conferma in diverse risoluzioni su casi particolari. Nella 187/2007, ad esempio, è stato affermato che il reverse charge si applica in caso di contratti di installazione di ponteggi per conto terzi ma non quando si tratta di noleggio e installazione (ovverosia posa in opera), in quanto quest’ultima attività assume una funzione accessoria rispetto al noleggio delle stesse. 
Alla stessa maniera, nella risoluzione 76/2008, viene considerata rientrante nella sezione F di Atecofin 2004 e di conseguenza soggetta a inversione contabile l’attività di una società subappaltatrice che si occupa non solo della fabbricazione in senso stretto dell’opera per l’impresa appaltatrice ma anche del montaggio nel cantiere edile dei prefabbricati, realizzati con elementi prodotti in proprio e principalmente in calcestruzzo. Avvalora tale soluzione interpretativa anche la volontà contrattuale di far prevalere la componente di prestazione di servizi sulla cessione di beni.
Si applica il reverse charge, secondo la risoluzione 97/2008, nel caso di una società che opera nel campo delle costruzioni civili e realizza, previo contratto di subappalto con società immobiliari di investimento, fabbricati secondo le specifiche tecniche predisposte da queste ultime e su terreni di proprietà di queste ultime (e con concessione edilizia anche a loro intestate). Il contratto di appalto contiene molto spesso la promessa di vendita di cosa futura tra la società immobiliare e l’acquirente finale.
In pratica si hanno due distinti contratti: un contratto di vendita di cosa futura tra la società immobiliare e l’acquirente finale e un contratto di appalto tra la società costruttrice e la società di investimento immobiliare per l’esecuzione dell’intero progetto immobiliare. Il trasferimento della proprietà tra la società immobiliare e acquirente finale avviene ad opera ultimata. Operando quindi entrambi nel settore edile, si applica l’inversione contabile, sebbene sia conosciuto l’acquirente finale dell’opera ma su un fabbricato da costruire, menzionato sul contratto di vendita di cosa futura.
Nella pratica è abbastanza frequente riscontrare la fattispecie esaminata nella risoluzione 154/2007, inerente l’attività svolta da una ditta che effettua installazione e manutenzione di impianti idraulico-sanitari. Tali attività vengono fatturate non direttamente al cliente finale ma a un’altra società esercente la medesima attività, assumendo quindi il ruolo di subappaltatore.
Quindi, entrambi i soggetti adottano un codice attività 45.33.0, facente parte della sezione F (“Costruzioni”), il meccanismo del reverse charge andrà applicato sia all’attività di mera manutenzione, in quanto prestazione classificata come “riparazioni” (cfr circolare 37/2006), sia all’istallazione di impianti idraulici commissionata da impresa edile proprietaria dell’immobile (o da proprietari privati), sia infine al rifacimento di impianti idraulici per conto di un appaltatore che ha ottenuto la commessa direttamente da un privato proprietario dell’immobile.
Non si applica l’inversione contabile, secondo la risoluzione 380/2008, nel rapporto tra la società consortile e le società consorziate nell’operazione di “ribaltamento” dei costi relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi, attinenti a lavori edili di ristrutturazione appaltati dalla società consortile, in quanto, presupposto per la sua applicazione, è la presenza di tre soggetti: committente, appaltatore e subappaltatore. Già la circolare 37/2006 aveva chiarito che “i rapporti posti in essere all’interno dei consorzi e delle altre strutture associative analoghe non configurano subappalti o ipotesi affini”. 
Può accadere di frequente che i soggetti subappaltatori, effettuando prevalentemente operazioni soggette all’inversione contabile, si trovano in situazioni di credito strutturale Iva, per cui sono previste delle agevolazioni per la richiesta e/o compensazione del medesimo.
In primo luogo, godono di un limite per la compensazione (verticale) del credito elevato a un milione di euro (anziché 516.456,90 euro), a condizione che il volume d’affari registrato nell’anno precedente sia costituito per almeno l’80% da prestazioni di subappalto. Stessa agevolazione compete in sede di rimborso annuale.
In secondo luogo, rientrano in una delle categorie per il rimborso Iva “prioritario” (vedi Dm 22/03/2007), ovviamente purché sussistano i tre requisiti comuni alle altre categorie:
  • esercizio dell’attività da almeno tre anni
  • chiedano un rimborso minimo di 3mila euro se infrannuale o 10mila euro se annuale
l’eccedenza richiesta a rimborso sia pari o superiore al 10% dell’Iva complessiva assolta sugli acquisti del periodo considerato.

Vincenzo Loiacono - pubblicato il 30/06/2009
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