A cosa servono le tasse? Breve viaggio nella finanza pubblica italiana.


I nostri software
 Home > Tutte le notizie ed i documenti
 
A cosa servono le tasse? Breve viaggio nella finanza pubblica italiana.
Autore: Paolo Di Lorenzo e Stefano Pisani - aggiornato il 04/05/2007
N° doc. 3275
04 05 2007 - Edizione delle 14:45  
 
Nel 2006 entrate per oltre 680 miliardi di euro, uscite a quota 740

A cosa servono le tasse?
Breve viaggio nella finanza pubblica italiana

Gran parte delle somme incassate dall'erario sono retrocesse ai cittadini in termini di spesa
 
Partiamo dall'assunto che a nessuno piace pagare le tasse. Questa considerazione, valida in generale, in Italia è ulteriormente rafforzata dalla convinzione diffusa concernente il fatto che gran parte degli incassi dello Stato è "sprecato" dalla Pubblica amministrazione. E' da qui che trae origine la conclusione, di alcuni, che per ridurre il carico fiscale basterebbe tagliare gli sprechi, mentre altri, essendo in grado di passare alle vie di fatto, si "autoriducono" (tramite l'evasione) le imposte con l'argomento che, altrimenti, i loro soldi andrebbero sperperati(1).

Ricordando il vecchio adagio che recita "prima di agire è necessario conoscere", pensiamo che alla base di questa vox populi ci sia una carenza informativa sul come lo Stato spende i soldi incassati, tramite le imposte, dai cittadini. Non si vogliono qui sostenere tesi velleitariamente negazioniste, ma si intende offrire un contributo di chiarezza, poiché gran parte di quelli che vengono chiamati sprechi in realtà sono prestazioni elargite a una pluralità di cittadini. Prestazioni sulle quali è necessario intervenire per aumentarne sia la qualità che l'efficienza, ma che non si concentrano, come spesso risulta dall'immaginario collettivo, nelle mani di pochi. Tale convinzione diffusa si può toccare con mano quando si ascoltano dichiarazioni del tipo: "perché devo pagare le tasse se a me lo Stato non dà nulla?". Interrogando gli autori di queste affermazioni, poi, si "scopre" che hanno dei figli che vanno (o sono andati) a scuola, hanno fruito di servizi medici ospedalieri, si sono rivolti alle forze dell'ordine, hanno in famiglia uno o più percettori di pensione, eccetera. Tutte prestazioni pagate totalmente o in parte con fondi pubblici, cioè con le tasse.
Uno dei motivi di questo scollamento nella percezione tra la prestazione del cittadino (pagare le imposte) e la controprestazione dello Stato (i beni e i servizi erogati) è ascrivibile al linguaggio "iniziatico" utilizzato per illustrare i flussi di finanza pubblica, dove solo pochi eletti sono in grado di comprendere il nesso tra le poste contabili e la "realtà" quotidiana.

Se si mettono in chiaro le cifre, il collegamento si semplifica. Il ministero dell'Economia ha recentemente annunciato che gli incassi dello Stato, nel 2006, sono stati di oltre 680 miliardi di euro, quasi interamente ascrivibili a tasse, imposte, contributi sociali e previdenziali. Le tasse non hanno una destinazione particolare(2) in relazione alla loro origine, ma vengono convogliate in un unico contenitore (spesso indicato come "calderone") dal quale sono prelevate per finanziare la spesa pubblica (immaginata come un altro "calderone").

Nello scorso anno l'ammontare della spesa è risultata dell'8 per cento superiore alle entrate (740 miliardi di euro). Tale deficit è principalmente dovuto alla spesa per interessi (71 miliardi di euro), che rappresenta il costo dei debiti contratti dallo Stato negli anni precedenti. Al netto di questa componente, infatti, la spesa si attesterebbe su un totale di 669 miliardi di euro, di meno cioè del totale delle entrate. Ciò vuol dire che il 9,5 per cento delle spese dello Stato non sono comprimibili con recuperi di efficienza, in quanto non riflettono la situazione attuale ma ciò che è già avvento e su cui non si può intervenire direttamente, se non cercando di diminuire progressivamente l'indebitamento pubblico. I "cacciatori di sprechi", pertanto, non possono considerare l'intero ammontare della spesa, ma solo il 90,5 per cento circa, cioè quello che risulta una volta detratta la spesa per interessi.

Se focalizziamo l'attenzione sul rimanente, osserviamo che una delle voci più rilevanti è imputabile alle pensioni (245 miliardi di euro). Essendo ancora diffusamente in vigore un sistema a ripartizione, il luogo comune in base al quale ciascun pensionato si è pagato la propria pensione non è del tutto vero. I pensionati di oggi quando svolgevano la loro attività lavorativa hanno pagato le pensioni ai pensionati di allora. Analogamente quelli che sono in attività oggi pagano le pensioni per coloro che ora sono in pensione. Da ciò ne consegue che un'ulteriore riforma del sistema pensionistico che salvi i diritti acquisiti non consentirebbe dei risparmi nel breve periodo, incidendo principalmente sulle tendenze evolutive future, diminuendo il rapporto tra numero dei pensionati e numero dei lavoratori. Nonostante alcune distorsioni, come le baby pensioni (ormai abrogate) o le pensioni d'oro, l'ampiezza del sistema pensionistico attuale sta a indicare come le spesa dello Stato sia capillarmente diffusa tra i cittadini e rappresenti un innegabile sostegno al reddito, senza il quale i pensionati e molti dei loro familiari (specie nel Mezzogiorno) si troverebbero in condizioni di estremo disagio.

Sottraendo al totale le spese per interessi e per pensioni, rimane disponibile il 57 per cento delle uscite pubbliche, all'interno del quale si possono individuare l'ammontare delle spese sulle quali sarebbe possibile intervenire fin dal prossimo anno.

La sanità e l'istruzione sono le altre due grandi aree di spesa, che valgono circa il 37 per cento della spesa pubblica al netto di pensioni e interessi. La spesa sanitaria ammonta da sola a 101 miliardi di euro (circa il 14 per cento del totale delle uscite pubbliche del 2006) che i detrattori spesso percepiscono come un ricettacolo di spese inutili e (anche dolosamente) eccessive. La realtà è, ovviamente, più complessa di queste generalizzazioni, poiché siamo ancora in presenza di una spesa erogata a un elevato numero di soggetti, la cui parte rilevante (la metà) è destinata a stipendi del personale medico-sanitario e acquisti di materiale di consumo di strutture pubbliche, e il restante si traduce in fatturato del settore privato(3). La spesa farmaceutica si è attestata su 12 miliardi di euro, ammontare sul quale è doveroso interrogarsi per quanto concerne l'utilità e l'efficacia, ma che indiscutibilmente rappresenta un servizio rivolto all'intera collettività. Sei miliardi di euro sono stati spesi per i servizi di guardia medica, pediatria e di medicina di base, un servizio di prossimità ai cittadini finanziato con fiscalità generale. I restanti 20 miliardi sono destinati a strutture private convenzionate o accreditate per fornire beni o servizi di natura sanitaria, quindi degli ulteriori finanziamenti dal settore pubblico a quello privato.

Il caso dell'istruzione è ancora più semplice. Infatti, i 55 miliardi spesi nel 2006 sono serviti per i tre/quarti a pagare gli stipendi a oltre un milione di insegnanti di scuole e università. Siamo cioè ancora in presenza di un servizio la cui maggiore componente di costo è il lavoro.

Le restanti voci di spesa ammontano al 36 per cento del totale del bilancio pubblico, per un totale di 268 miliardi di euro; di questi, 50 miliardi sono stati destinati a ordine pubblico e difesa. La prima componente, la più rilevante, rappresenta quello che in linguaggio giornalistico si indica come la spesa per la sicurezza dei cittadini, il cui potenziamento è invocato a gran voce in occasione di particolari fatti di cronaca nera.

L'ulteriore residuo (218 miliardi di euro) sono incisi particolarmente dalla voce dei servizi generali della Pubblica amministrazione (circa 60 miliardi)(4), componente messa periodicamente sotto accusa dall'opinione pubblica che le imputa larghe sacche di assenteismo e di inefficienza. Ci confrontiamo, cioè, ancora, con attività di servizio ad alta intensità di lavoro e, pertanto, un recupero di efficienza non può prescindere da un contenimento dell'occupazione. Ancora, quindi, misure socialmente costose, nel breve periodo, sia per l'impatto diretto sulle forze lavoro (che vedono ridurre il numero di posti disponibili) sia per il settore privato (che vedrebbe ridotta la domanda di beni e servizi a esso rivolta). I 62 miliardi usati per finanziare gli investimenti, pubblici e privati, non sono troppi o pochi in valore assoluto, ma possiedono una propria ragion d'essere che deve essere valutata in relazione all'utilità e all'efficacia delle opere realizzate.

Per completezza, si citano infine alcune delle spese che, nell'immaginario collettivo, sono percepite come fonte primaria dei problemi della finanza pubblica. Gli organi costituzionali (Camera, Senato, Presidenza del consiglio, eccetera) hanno ricevuto nel 2006 1,7 miliardi di euro a titolo di trasferimento. Pur essendo consapevoli che una politica di rigore debba partire da un esempio offerto dalla classe dirigente, costatiamo, altresì, che riduzioni, anche drastiche, nella spesa degli organi costituzionali non possa risolvere quantitativamente il problema del deficit pubblico(5).

La breve disamina effettuata mette in luce come gran parte delle somme incassate tramite le tasse siano retrocesse ai cittadini in termini di spesa. Nesso questo che spesso non si percepisce in quanto si assume che lo Stato sperperi i denari dei cittadini destinandoli a pochi privilegiati. Rendere più efficiente e meno costosa la spesa dello Stato è certamente un'esigenza imprescindibile. Farlo è difficile, poiché le componenti che sono percepite, sopratutto per la loro visibilità, come sprechi dalla collettività hanno un impatto quantitativamente modesto, mentre la gran parte della spesa finanzia delle prestazioni spesso irrinunciabili in un sistema di welfare evoluto, anche se può capitare che si spenda troppo per alcune voci e troppo poco per altre. Il necessario recupero di efficienza diventa, quindi, difficile per qualsiasi assetto politico in quanto implica dei costi, in termini di consenso, molto elevati nel breve periodo a fronte di benefici, altrettanto elevati, percepibili solo nel medio periodo. Per dare un'idea dei costi occorre tenere presente quanto già evidenziato, cioè che il 22,7 per cento della spesa della Pubblica amministrazione è destinata a costo del lavoro e, pertanto, un contenimento della spesa non potrebbe prescindere da una "rivisitazione" degli organici.

Basterebbe rapportare la spesa pubblica non solo al prodotto interno lordo (che include, per costruzione, il sommerso), ma anche al prodotto esclusivamente dichiarato al fisco, per lasciar emergere la vera specificità dell'economia italiana. Si tratta dell'elevato tasso di evasione che, seguendo la nostra impostazione, equivale a un comportamento asociale dei contribuenti che si sottraggono all'onere di finanziare servizi di cui anche loro godono.

La larga estensione dell'economia sommersa e irregolare condiziona quindi la composizione della pressione fiscale, che è fissata a un livello comunque in linea con la media europea. Collegato a questo fattore c'è l'altra peculiarità tutta italiana, quella di una spesa pubblica costretta a destinare più risorse che altrove al pagamento degli interessi, a scapito di usi molto più favorevoli alla crescita economica, come gli investimenti in capitale fisso e nella formazione scolastica. Il legame fra queste caratteristiche nasce dal fatto che il livello del debito pubblico su cui vengono pagati gli interessi è stato raggiunto sicuramente anche a causa della grande diffusione di comportamenti fiscalmente illeciti nel nostro paese, di cui i cittadini onesti sono chiamati a pagarne il conto.



Fig.1 Confronto tra le fonti di entrata e le uscite (principali voci funzionali), anno 2006. Fonte Ministero dell'Economia.


Fig.2 Composizione delle uscite (principali voci), anno 2006. Fonte Ministero dell'Economia


NOTE:
1) Secondo un'inchiesta della Banca d'Italia condotta tramite questionari somministrati a 3.800 capifamiglia italiani, il 13,5 per cento degli Italiani ritiene che il prelievo fiscale sia troppo alto e quindi se il governo necessita di fondi è preferibile diminuire le spese anche riducendo i servizi, mentre nel complesso c'è accordo nel sostenere che la gente cerca di non pagare le tasse perché sa che lo Stato spende male i soldi incassati. Si tratta di una risposta più frequente fra chi ha una maggiore propensione all'evasione.

2) Esistono alcune eccezioni, fra le quali una delle più rilevanti è l'Irap, destinata a finanziare la spesa sanitaria regionale.

3) I dati sulla composizione della spesa sanitaria sono relativi al 2005, ultimo anno per i quali sono stati comunicati. Pur se nel 2006 sono aumentati in valore assoluto, l'ipotesi d'invarianza nella composizione non è affatto peregrina, visto che si tratta di un aspetto strutturale della spesa sanitaria che difficilmente varia da un anno all'altro.

4) Un'infinitesima parte dei quali è imputabile ai salari degli estensori del presente articolo.

5) Ulteriori spese messe spesso sotto accusa sono quelle per "commissioni, comitati, consigli e consulenze", 287 milioni, e di rappresentanza, 133 milioni, per entrambe le quali vale la tesi già espressa in precedenza.

 
Paolo Di Lorenzo e Stefano Pisani
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
GBsoftware S.p.A.
Sede Legale
Via B. Oriani, 153
00197 Roma
Sede Operativa
Zona Industriale Santa Maria di Sette
06014 Montone (PG)
Contatti
Tel. 06.97626328
[email protected]
Cap. Soc. € 1.000.000,00 i.v. - Rea: Rm-1065349 C.F. e P.Iva 07946271009
Invia mail a GBsoftware