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Accertamenti bancari. Contestare il conto serve a poco.
Autore:
Domenico Pignotti e Carmine Tozza
- aggiornato il
30/01/2007
N° doc. 2048
30 01 2007 - Edizione delle 13:15
Sentenza n. 27063 del 18 dicembre 2006
Accertamenti bancari. Contestare il conto serve a poco
Rimane sempre a carico del contribuente l’onere di provare la non pertinenza all’attività d’impresa delle operazioni di versamento e prelevamento
Con la sentenza n. 27063 del 6 novembre 2006, depositata il 18 dicembre 2006, la Corte di cassazione, nel ribadire il principio in virtù del quale le movimentazioni del conto corrente dell’imprenditore individuale valgono, di per sé, come prova sufficiente per rettificare il reddito dichiarato, ne sancisce la validità anche qualora il conto sia nella disponibilità del coniuge, mentre rimane a carico del contribuente l’onere di provare la non pertinenza all’attività d’impresa delle operazioni di versamento e prelevamento.
Il processo
Sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, l’Agenzia delle entrate procedeva a emettere avviso di accertamento, in riferimento all’anno di imposta 1992, a carico di un imprenditore individuale, innalzando il reddito imponibile da 17.085.000 lire (dichiarato) a 133.583.000 lire.
Il contribuente ricorreva contro tale accertamento, basando la propria difesa sulla circostanza che del conto corrente preso a base per la rettifica del reddito potesse disporre anche la moglie dell’imprenditore. Pertanto, non si riteneva possibile individuare con certezza le operazioni riferibili direttamente all’attività di impresa.
La Commissione provinciale accoglieva il ricorso, contro cui l’ufficio proponeva appello presso la Commissione regionale, adducendo come motivazione la violazione dei “
principi in materia di distribuzione dell’onere della prova, atteso che sarebbe spettato al contribuente dimostrare la riferibilità al coniuge delle operazioni bancarie fondanti l’accertamento
”.
L’appello dell’ufficio era respinto dalla Commissione, la quale, pur condividendo il principio del riparto dell’onere della prova, considerò che l’avviso di accertamento operato dall’ufficio fosse di tipo induttivo,
ex
articolo 39 del Dpr 600/73, e, pertanto, da considerarsi viziato, stante l’assenza, nel caso specifico, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni necessari per tale tipo di accertamento.
L’Amministrazione finanziaria ricorreva per Cassazione contro tale pronuncia, lamentando la “
violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 39 e 38, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 600/1973; motivazione contraddittoria ovvero insufficiente in relazione ad un punto determinante della controversia
”.
In tale sede, si contestava la contraddittorietà della decisione, in quanto, dopo aver riconosciuto la correttezza dell’impostazione del ricorso di primo grado in tema di onere della prova, la Commissione non aveva deciso in maniera consequenziale.
Nella sostanza, la tesi sostenuta dall’ufficio ricorrente si fondava sull’errata interpretazione da parte dei giudici di secondo grado del presupposto dell’accertamento, il quale era da ritenersi basato su quanto disposto dall’articolo 38, commi 3 e 4, del Dpr 600/73.
In particolare, il comma 4 del citato articolo - come rilevato nella tesi sostenuta dall’ufficio - “
permetterebbe di desumere induttivamente il reddito, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, quando ciò possa avvenire sulla base di elementi e circostanze di fatto certi, e purché il reddito complessivo accertabile si discosti di almeno un quarto da quello dichiarato
”. Nel caso di specie, l’ufficio sosteneva che tali dati certi potessero ravvisarsi nelle movimentazioni bancarie prese a fondamento dell’accertamento emanato.
La decisione
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’ufficio sulla base di diverse considerazioni.
In primo luogo, a conferma dell’orientamento seguito in precedenza, si è considerata legittima l’imputazione a ricavi dei versamenti eseguiti sul conto corrente bancario, in mancanza di prova contraria fornita da parte del contribuente, sulla base di quanto disposto dall’articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/73.
Nel caso in questione, il contribuente non aveva fornito alcuna prova dettagliata in merito alle causali delle operazioni effettuate sul conto corrente, limitandosi a precisare che il suddetto conto fosse cointestato al coniuge. I giudici non hanno tuttavia ritenuto che tale circostanza fosse sufficiente a ritenere illegittimo l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio a carico del contribuente.
Nella medesima sentenza, la Corte ha ribadito ulteriori posizioni assunte in precedenza in merito a temi connessi alla vicenda in giudizio:
il principio in base al quale l’accertamento basato sull’esame delle movimentazioni di conto corrente bancario sia da considerarsi legittimo anche in assenza del contraddittorio preventivo. In proposito, la Cassazione si era in precedenza espressa con la sentenza n. 2814 del 2002, con la quale veniva affermato che “
nessuna norma impone la convocazione del contribuente in sede amministrativa, prima dell'accertamento, potendo l'ufficio procedere al ritiro eventuale del provvedimento, nell'esercizio del potere di autotutela, in caso di osservazioni e/o giustificazioni avanzate dall'interessato anche dopo il suo intervento nella stesura del verbale di constatazione della Guardia di Finanza
”
il principio per cui non è da ritenersi necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzione nell’accertamento tributario siano plurimi. Rifacendosi, anche in tal caso, a un precedente pronunciamento di legittimità (sentenza n. 12060/2002), la pronuncia precisa che la presunzione in questione è da sola sufficiente a legittimare il ricorso all’accertamento tributario
ex
articolo 38, comma 4, del Dpr 600/73, purché sia sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria, malgrado i riferimenti normativi (articoli 2729, comma 1, del Codice civile, e 38, comma 4, del Dpr 600/73) si esprimano al plurale, in quanto il convincimento del giudice può fondarsi anche su un elemento unico, preciso e grave
il principio, sancito dalla sentenza n. 6945 del 2001, che concede all’Amministrazione finanziaria la possibilità di decidere discrezionalmente, in sede di accertamento, se fare ricorso al metodo analitico o a quello induttivo, allorquando ricorrano i presupposti di legge di entrambi i metodi.
Domenico Pignotti e Carmine Tozza
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