Alcune considerazioni sulle disposizioni anti-abuso.


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Alcune considerazioni sulle disposizioni anti-abuso.
Autore: Michele Andriola - aggiornato il 23/11/2005
N° doc. 976
 
23 11 2005 - Edizione delle 15:30  
 
Dall'esame delle direttive 2003/49/Ce e 90/435/Cee

Alcune considerazioni sulle disposizioni anti-abuso

Le misure adottate dal legislatore italiano per evitare che i passive incomes "transitino" per quegli Stati che esentano da imposizione, in modo da non scontare alcun prelievo
 
La circolare n. 47/E del 2 novembre scorso esplicativa del Dlgs 30 maggio 2005, n. 143, attuativo della direttiva n. 2003/49/Ce riguardante il regime fiscale applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi dell'Unione europea, offre l'occasione per svolgere alcune considerazioni sulle disposizioni anti-abuso ivi previste, mettendole a confronto con le disposizioni anti-abuso relative al regime fiscale applicabile ai dividendi cosiddetti "madre-figlia", di cui alla direttiva n. 90/435/Cee, di recente modificata dalla direttiva n. 2003/123/Ce.

Finalità sottesa a entrambi i provvedimenti comunitari è l'eliminazione nei confronti di società appartenenti allo stesso gruppo e di stabili organizzazioni, residenti in Stati membri diversi, della doppia imposizione sui flussi intercompany dei passive incomes, cioè dividendi, interessi e royalties.
In entrambi i casi, viene eliminata l'applicazione della ritenuta da parte dello Stato della fonte e la tassazione definitiva viene concentrata sul solo Stato di residenza del soggetto percettore. Il che equivale a dire che la doppia imposizione viene eliminata in tronco e a discapito dello Stato della fonte, cioè dello Stato in cui i dividendi, gli interessi e le royalties sono prodotti.

In conformità alla logica sottesa anche al modello Ocse di convenzioni contro le doppie imposizioni e in difformità dalla logica sottesa al modello Onu di convenzioni contro le doppie imposizioni, la logica sottesa alle citate direttive comunitarie è che la tassazione definitiva dei passive incomes va riservata allo Stato di residenza dei soggetti percettori.
In un'economia globalizzata, tale fondamentale scelta legislativa, pur giustificata dall'esigenza di far prevalere gli interessi impositivi degli Stati di residenza dei percettori dei passive incomes, pone tre differenti problemi, tra loro strettamente correlati:
  • il primo riguarda la "variabilità" del criterio della residenza rispetto alla "fissità" del criterio della fonte
  • il secondo riguarda l'incentivazione alle politiche di competizione fiscale tra Stati
  • il terzo riguarda l'erosione di base imponibile negli Stati della fonte.

Invero, se si muove dal duplice assunto che l'imprenditore persegue l'obiettivo di minimizzare i costi di produzione, tra cui quello per le imposte sul reddito, e che vi sono Stati che trovano convenienza ad attrarre capitali finanziari sul loro territorio, esentando da imposizione i relativi flussi reddituali in entrata e in uscita, ne consegue che - nell'ambito dei gruppi di imprese - si avrà convenienza a "filtrare" i passive incomes da Stati che esentano gli stessi da imposizione in entrata e in uscita, per concentrarli in Stati terzi a bassa fiscalità, mentre gli Stati della fonte si vedranno erodere le basi imponibili delle società ed enti residenti proprio a causa della corresponsione di interessi e royalties, normalmente deducibili dalla determinazione del reddito d'impresa dei predetti società ed enti.

Il gruppo di imprese può così scegliere "dove" scontare l'imposizione dei passive incomes, all'uopo aiutato da quelle tax jurisdictions comunitarie che adottano il metodo dell'esenzione per l'eliminazione della doppia imposizione sui flussi reddituali, in entrata e in uscita dal loro territorio, prodotti dai capitali finanziari (1).
Tale obiettivo potrebbe essere conseguito sia da investitori comunitari sia da investitori extracomunitari, all'uopo "travestiti" da soggetti comunitari, essendo a tal fine sufficiente costituire una società o un ente in uno degli Stati comunitari che adotti la capital import neutrality.

Ebbene, ben consapevole del predetto rischio, il legislatore italiano, in attuazione delle due direttive nn. 90/435/Ce e 2003/49/Ce, ha fatto ricorso a due fondamentali disposizioni anti-abuso, già note al modello Ocse di convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e al relativo commentario, e cioè:
- il concetto di beneficial ownership
- il concetto di conduit company.
Entrambi tali concetti, pur non potendo né arginare l'erosione della base imponibile subita dagli Stati della fonte né vietare agli Stati membri di adottare la politica della capital import neutrality, tentano di evitare che soggetti comunitari ed extracomunitari facciano "transitare" dai predetti Stati i passive incomes, in modo da non scontare alcun prelievo impositivo.

Più precisamente, mentre con riferimento alla direttiva n. 90/435/Ce, il legislatore domestico ha previsto nel comma 5 dell'articolo 27-bis del Dpr n. 600 del 1973 un'apposita disposizione volta a contrastare l'utilizzo delle conduit companies(2), con riferimento alla recente direttiva n. 2003/49/Ce, il legislatore domestico ha previsto:

  • nella lettera c) del comma 4 dell'articolo 26-quater del citato Dpr n. 600, il concetto di beneficiario effettivo(3)
  • nell'articolo 1, comma 1, lettera d), del Dlgs n. 143 del 2005, che tra le operazioni elusive di cui all'articolo 37-bis del Dpr n. 600 del 1973 rientri la costituzione di una conduit company(4).

Ebbene, in questa sede ci si sofferma sulla differente tecnica legislativa utilizzata per le due direttive comunitarie, accomunate - come si è visto - dalla medesima logica di fondo.
Infatti, ferma restando l'apposita previsione del beneficiario effettivo il cui ambito applicativo è circoscritto alla direttiva n. 2003/49/Ce, mentre con riferimento alla direttiva n. 90/435/Cee, il comma 5 dell'articolo 27-bis del Dpr n. 600 del 1973 ha previsto una disposizione anti-abuso "speciale", con riferimento alla direttiva n. 2003/49/C2, l'articolo 1, comma 1, lettera d), del Dlgs n. 143 del 2005 ha inserito la lettera f-ter) nel comma 3 della disposizione anti-abuso tendenzialmente generale di cui all'articolo 37-bis del Dpr n. 600 del 1973.

Tale differente scelta legislativa comporta alcune conseguenze riguardanti il contrasto ai comportamenti abusivi.
La nuova lettera f-ter) è suscettibile di colpire qualsiasi pagamento di interessi e canoni effettuato a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti extracomunitari. Tuttavia, il rilevante svantaggio consiste nell'onere addossato all'Amministrazione finanziaria di provare, oltre alla sussistenza del controllo di soggetto extracomunitario, anche che il pagamento sia posto in essere in aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario.

Il problema che si pone è allora quello di stabilire quali possano essere gli obblighi o divieti aggirabili in tali casi.
A tal fine, un principio sistematico si desume proprio dalla disposizione antielusiva speciale contenuta nel comma 5 dell'articolo 27-bis del Dpr n. 600 del 1973, la quale considera abusivo il flusso di dividendi in uscita dal territorio dello Stato italiano, ogniqualvolta la società "madre" comunitaria, oltre a essere controllata direttamente o indirettamente da uno o più soggetti extracomunitari, risulti costituita allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime di esenzione in esame.
Perciò, ogniqualvolta l'Amministrazione finanziaria dimostri che la società comunitaria percettrice dei canoni e degli interessi sia stata costituita allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime di esenzione, si può ritenere integrato il requisito dell'aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario.

Viceversa, con specifico riferimento ai flussi di dividendi "madre-figlia", l'inversione dell'onere della prova, che dall'Amministrazione finanziaria passa al contribuente, comporta in capo alla prima l'onere di provare il controllo indiretto di soggetto extracomunitario e in capo al contribuente l'onere di provare che la società "madre" comunitaria non sia stata costituita allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime di esenzione in esame.
Tuttavia, rimane irrisolto il fondamentale problema di stabilire in presenza di quali condizioni una società o un ente comunitario debba ritenersi costituito allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime di esenzione.
A tal fine, probabilmente, dovrà farsi ricorso al criterio dei facts and circumstances caratterizzanti i singoli casi, criterio spesso utilizzato in sede Ocse.


NOTE:
1) Si consideri la corresponsione di canoni da parte di una società residente in Italia a una consociata residente in Olanda. Tale corresponsione comporta l'erosione di base imponibile della società italiana e lo speculare assoggettamento a imposizione in Olanda dei canoni. Tuttavia, qualora la società olandese, a sua volta, ricorra a finanziamenti infragruppo esteri o sopporti canoni passivi per pari ammontare percepiti da soggetti infragruppo extracomunitari che godono di regimi impositivi miti, la tassazione definitiva dei canoni sarà "spostata" nello Stato estero di residenza dei soggetti finanziatori o concedenti. Ciò discende dal fatto che l'Olanda è un Paese che adotta la "capital import neutrality", esentando da imposizione i predetti flussi reddituali in uscita.

2) Così dispone il citato comma 5 dell'articolo 27-bis: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle società di cui al comma 1 che risultano controllate direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in Stati della Comunità europea a condizione che dimostrino di non essere state costituite allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime in esame. A tal fine per l'assunzione delle prove si applicano le procedure di cui ai commi 12 e 13 dell'articolo 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413".

3) Così dispone l'articolo 26-quater, comma 4, lettera c): "
La disposizione di cui al comma 1 si applica se: c) le società non residenti di cui alla lettera a) e le stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro di società aventi i requisiti di cui alla lettera a) sono beneficiarie effettive dei redditi indicati nel comma 3; a tal fine, sono considerate beneficiarie effettive di interessi o di canoni:
1) le predette società, se ricevono i pagamenti in qualità di beneficiario finale e non di intermediario, quale agente, delegato o fiduciario di un'altra persona;
2) le predette stabili organizzazioni, se il credito, il diritto, l'utilizzo o l'informazione che generano i pagamenti degli interessi o dei canoni si ricollegano effettivamente a tali stabili organizzazioni e i suddetti interessi o canoni rappresentano redditi per i quali esse sono assoggettate nello Stato membro in cui sono situate ad una delle imposte elencate nell'allegato B o, in Belgio, all'"Impot des non-residents/belasting der niet-verblijfhouders", in Spagna all'"Impuesto Sobre la Renta de no Residentes" ovvero a un'imposta identica o sostanzialmente simile applicata in aggiunta o in sostituzione di dette imposte
".

4) Così dispone l'articolo 1, comma 1, lettera d) citato: "All'articolo 37-bis, comma 3, dopo la lettera f-bis) è aggiunta la seguente: f-ter) pagamenti di interessi e canoni di cui all'articolo 26-quater, qualora detti pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno Stato dell'Unione europea".

 
Michele Andriola

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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