Ancora sull'esterovestizione societaria - L'individuazione della 'sede effettiva'.


I nostri software
 Home > Tutte le notizie ed i documenti
 
Ancora sull'esterovestizione societaria - L'individuazione della 'sede effettiva'.
Autore: Chiara Braccini e Berardino Librandi - aggiornato il 02/11/2007
N° doc. 4562
02 11 2007 - Edizione delle 14:00  
 
Commissione tributaria provinciale di Firenze

Ancora sull'esterovestizione societaria
L'individuazione della "sede effettiva"

La disamina dei dati fattuali ha consentito ai giudici toscani di legittimare la tassazione di tutti i redditi imponibili conseguiti dalla sub-holding olandese
 
La Ctp di Firenze è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi su un'ipotesi di esterovestizione societaria, trovandosi a verificare l'effettiva localizzazione di una società che - seppur formalmente dotata della sede legale in Olanda - ad avviso dell'Amministrazione di fatto esercitava l'attività e perseguiva il proprio oggetto sociale in Italia.
In particolare, si è trattato di esaminare i rapporti intercorsi tra la holding italiana e la controllata olandese, poiché quest'ultima, sebbene localizzata all'estero, risultava integralmente gestita, amministrata (oltre che minuziosamente diretta) dalla società madre situata nel nostro Paese.

La questione aveva già dato luogo - con riferimento agli anni d'imposta 1996/1999 - a una pronuncia dei giudici fiorentini, i quali avevano però esaminato soltanto una delle eccezioni preliminari sollevate dalla società ricorrente e, omettendo integralmente di esaminare il merito della vicenda, s'erano limitati a dichiarare la nullità della notifica degli avvisi di accertamento (cfr. Ctp, 7 ottobre 2005, n. 155/04/05).

Di contrario avviso s'è mostrato il Collegio con la sentenza in commento, la quale ha innanzitutto disatteso integralmente - sulla scorta del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità - le doglianze proposte in via preliminare dalla ricorrente, dichiarando la legittimità della notificazione effettuata a uno dei componenti del Consiglio di amministrazione, seppur dotato del potere di rappresentanza congiuntamente ad altri consiglieri.
Infatti, secondo l'insegnamento della Suprema corte, ricorda la Commissione fiorentina, la notificazione dell'atto di impugnazione a una società che sia rappresentata da due liquidatori può essere eseguita soltanto a uno di essi, non essendo tale fattispecie equiparabile a quella della molteplicità delle parti processuali, ipotesi in cui è previsto l'obbligo della notifica dell'impugnazione mediante consegna di una pluralità di copie dell'atto.

A ogni modo, osservano i giudici, anche laddove dovesse riconoscersi un vizio nella notifica, essa dovrebbe considerarsi nulla e non inesistente, poiché l'avviso di accertamento è stato rilasciato a persona e in un luogo aventi un qualche riferimento con il destinatario dell'atto; si sarebbe invece verificata un'ipotesi inesistenza laddove - rammenta il Collegio - il provvedimento fosse pervenuto a un soggetto privo di collegamenti con il notificando.
Ebbene, conclude la Commissione, l'invocata nullità deve considerarsi sanata - con effetto ex tunc - dalla tempestiva impugnazione dell'avviso notificato, in applicazione del principio della sanatoria degli atti per raggiungimento dello scopo, di cui all'articolo 156 Cpc.

Esclusa la rilevanza del vizio di notifica, la Commissione si è pronunciata altresì sulla decadenza dell'Amministrazione dal potere accertativo, inibito - ad avviso della ricorrente - dall'effettuazione di precedenti verifiche a carico della capogruppo italiana, nell'ambito delle quali nulla era emerso circa i rapporti di quest'ultima con la controllata olandese né quanto alla residenza di quest'ultima.
I giudici hanno respinto anche siffatta doglianza, chiarendo come la pregressa attività accertativa non avesse mai interessato la sub-holding estera, la quale - sebbene appartenente allo stesso gruppo societario - costituisce comunque un soggetto giuridicamente, patrimonialmente e fiscalmente distinto dalla controllante.

Superate le copiose eccezioni di ordine preliminare, che peraltro investivano anche un asserito vizio di motivazione dell'avviso, la Commissione è entrata nel merito della vicenda, verificando la legittimità dell'accertamento impugnato alla luce dei principi comunitari in tema di libertà di stabilimento, di cui agli articoli 43 e 48 del trattato Ce. Secondo la ricorrente, infatti, la Corte di giustizia avrebbe riconosciuto che "la possibilità di scelta che ogni soggetto ha di stabilirsi nello stato che preferisce all'interno della Comunità" non potrebbe essere limitata neppure dal "paventato rischio di evasione fiscale"; e ciò anche a discapito - sempre secondo la società - di quanto statuito dall'articolo 25, primo comma, legge 218/95, in materia di diritto internazionale privato.

Ebbene, "l'art. 43 Trattato CE impone l'abolizione delle restrizioni alla libertà di stabilimento. Devono essere considerate tali tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l'esercizio di tale libertà" (Corte di giustizia, 15 ottobre 2004, n. 442).
È pur vero, però, che restrizioni a tale libertà "sono ammissibili se giustificate da esigenze imperative di interesse generale, le quali devono in ogni caso configurasi necessarie per il conseguimento dello scopo perseguito..." (Corte di giustizia, 6 novembre 2003, n. 243) e che "la Corte ha ritenuto che la necessità di garantire la coerenza di un regime fiscale poteva, in taluni casi, giustificare una normativa tale da restringere le libertà fondamentali (v., in questo senso, sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90... e... causa C-300/90...)" (Corte di giustizia, 16 luglio 1998, C-264/96).

Sulla scorta di siffatto ordine di argomentazioni, i giudici europei hanno quindi riconosciuto che ben potrebbe rispondere a una ragione imperativa di interesse generale una normativa - ad esempio - avente l'obiettivo specifico di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni puramente artificiose il cui scopo sia solo quello di eludere la legge. Di conseguenza, una restrizione della libertà di stabilimento risultante da una disposizione destinata a evitare una frode alla normativa fiscale potrebbe essere considerata comunque rispettosa di tale libertà. Infatti, in un tale caso, si tratterebbe di un'applicazione nel settore fiscale di quello che la Corte ha considerato come l'"esercizio abusivo" di un diritto conferito dall'ordinamento comunitario (sentenza 7 luglio 1992, causa C-370/90).

Né può omettersi di ricordare che anche l'effettività dei controlli fiscali costituisce una ragione imperativa di interesse generale (sentenza 15 maggio 1997, causa C-250/95).
Risulta quindi evidente che, secondo la Corte di giustizia, il principio della libertà di stabilimento - lungi dal dover sempre e comunque prevalere su qualsiasi altro interesse, anche quello a ostacolare l'evasione fiscale - può subire innumerevoli e legittime deroghe.

E anche i giudici fiorentini, con la sentenza in commento, hanno appunto concluso che i menzionati articoli 43 e 48 del trattato Ce "ostano all'inclusione, nella base imponibile di una società residente in uno Stato membro, degli utili realizzati da una società estera controllata, stabilita in un altro stato, a meno che tale inclusione non riguardi costruzioni di puro artificio destinate ad eludere l'imposta nazionale normalmente dovuta". I giudici escludono quindi "l'applicazione di una misura impositiva siffatta" soltanto laddove "da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che... la controllata è realmente impiantata nello stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive".

La Commissione provinciale si è poi occupata di verificare se la sede dell'amministrazione della società olandese fosse ubicata in Italia, soggiacendo così al relativo regime impositivo.
Siffatta indagine si è resa necessaria in considerazione della prescrizione, contenuta nell'articolo 73 del Tuir, secondo cui sono soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche le società per azioni residenti nel territorio dello Stato; "... si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello stato". Detti criteri sono alternativi, atteso che è sufficiente che operi uno soltanto di essi perché si configuri la condizione della residenza.

In analoga prospettiva, l'articolo 25 della legge 218/95 dispone che "le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti".
La normativa fiscale, quindi, alla stregua di quella civilistica, ha conferito rilevanza non solo al dato formale della localizzazione della sede legale della società sul territorio nazionale, ma anche a quello sostanziale connesso all'ubicazione in Italia della sede dell'amministrazione o allo svolgimento, nel nostro Paese, dell'oggetto principale dell'impresa e, in entrambi i casi, per la maggior parte del periodo d'imposta.

A tal proposito, il modello di convenzione Ocse, all'articolo 4, comma terzo, individua un criterio di attribuzione della residenza correlato alla sede della direzione effettiva, ovvero al luogo in cui in sostanza vengono prese le decisioni chiave, sia di management che commerciali, necessarie per la gestione dell'impresa. È il luogo, insomma, ove si formano le scelte in ordine agli indirizzi gestionali e strategici dell'ente.
Si tratta quindi di un criterio di fatto, che implica un'indagine specifica, da un lato sulla distribuzione dei poteri gestionali dell'ente (onde determinare quali siano gli organi e i soggetti cui spetta la determinazione di quelle scelte) e, dall'altro, sull'effettivo comportamento tenuto da tali organi.

Il Commentario al modello di convenzione Ocse precisa, tra l'altro, che una società può anche avere più luoghi in cui esplica un'attività di gestione, ma uno solo può essere quello in cui effettivamente stabilmente esercita il potere di direzione.
In tale prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito a più riprese che, ai fini dell'individuazione della sede dell'amministrazione, deve aversi riguardo alla situazione sostanziale ed effettiva, senza limitarsi a quella apparente (Cass., 10 dicembre 1974, n. 4172).

È stato inoltre precisato che costituisce sede effettiva di una persona giuridica "il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione..." della società e "... cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività dell'ente..." (Cass., 16 giugno 1984, n. 3604); detta sede effettiva "non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della medesima, oppure una persona che genericamente ne cura gli interessi o sia preposta ad ufficia di rappresentanza, dipendenze o stabilimenti, ma si identifica con il luogo dove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa dell'impresa..." (Cass., 9 giugno 1988, n. 3910).
E ancora: la sede effettiva di un ente deve essere individuata non nel luogo in cui si trovano i beni o gli uffici del medesimo, bensì in quello in cui ha effettivo svolgimento la sua attività amministrativa e direzionale (Cass., 9 giugno 1988, n. 3910).

Anche la giurisprudenza di merito si è mostrata incline ad attribuire rilevanza al "luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e dove operano i suoi organi rappresentativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi, ossia il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività dell'ente (Cass. n. 10243 del 4 agosto 2000)" (Trib. Genova, 2 maggio 2007; Trib. Bari, sez. I, 3 ottobre 2006).
Si è parimenti sostenuto che si debba avere riguardo al ruolo degli amministratori che operano in concreto e non soltanto a quelli preposti all'amministrazione in via meramente formale (Corte app. Milano, 20 dicembre 1966; Trib. Genova, 31 marzo 1967).

Analogamente, la Commissione tributaria centrale ha ritenuto che vada ravvisata l'esistenza in Italia della sede amministrativa di un soggetto estero laddove l'attività dei rappresentanti della società sul territorio italiano si sostanzi, di fatto, nello svolgimento dei compiti e nell'esercizio dei poteri tipici degli amministratori e non di quelli propri dei semplici rappresentanti (Ctc 10 ottobre 1996, n. 4992).

Infine, la Corte di giustizia ha definito la residenza come centro degli interessi di un soggetto (12 luglio 2001, C- 262/99).

Ebbene, sulla scorta di siffatti rilievi giurisprudenziali, la Ctp fiorentina ha riconosciuto che la sede effettiva della società olandese fosse ubicata nel nostro Paese, in quanto l'impresa italiana impartiva ripetutamente una serie di ordini, comandi e autorizzazioni relativi anche alla mera amministrazione della sub-holding; anche la più minuta attività di amministrazione interna di quest'ultima era decisa nel nostro Paese (quale, per esempio, acquisti di stampanti e toner).
Alla luce di tale ordine di argomentazioni, concludono i giudici, "nel caso in esame non siamo in presenza di un "coinvolgimento del socio holding in talune scelte decisionali della controllata, in un'ottica di uniformazione delle strategie di gruppo" (come invece sostenuto dalla ricorrente), ma di una vera e propria amministrazione della società di Amsterdam da parte della società italiana".

Orbene, l'accorta disamina dei menzionati dati fattuali ha consentito ai giudici fiorentini di legittimare la tassazione di tutti i redditi imponibili conseguiti dalla società olandese nel periodo 2000-2001, e ciò in considerazione della fittizia localizzazione della residenza fiscale della sub-holding in un Paese diverso dall'Italia - ove, invece, il soggetto effettivamente risiede - per sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dall'ordinamento di reale appartenenza e beneficiare, al contrario, del regime impositivo più favorevole vigente in Olanda.

 
Chiara Braccini e Berardino Librandi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
GBsoftware S.p.A.
Sede Legale
Via B. Oriani, 153
00197 Roma
Sede Operativa
Zona Industriale Santa Maria di Sette
06014 Montone (PG)
Contatti
Tel. 06.97626328
[email protected]
Cap. Soc. € 1.000.000,00 i.v. - Rea: Rm-1065349 C.F. e P.Iva 07946271009
Invia mail a GBsoftware