Attendibili le dichiarazioni di terzi.


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Attendibili le dichiarazioni di terzi.
Autore: Francesca La Face - aggiornato il 06/12/2005
N° doc. 1016
 
06 12 2005 - Edizione delle 15:00  
 
Corte di cassazione, sentenza n. 21268 del 2 novembre 2005

Attendibili le dichiarazioni di terzi

Il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie non comporta l'impossibilità di utilizzare la confessione di altri richiamata nel pvc compilato dalla GdF
 
L'ufficio Iva, sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza nei confronti della società Alfa, contestava ad un'altra società, Beta, l'acquisto fittizio di merce.
In particolare, l'ufficio Iva riteneva che Alfa fosse una mera "cartiera" a causa dell'assenza di un'effettiva organizzazione imprenditoriale e che, pertanto, le fatture emesse nei riguardi di Beta, avevano il solo scopo di consentire a quest'ultima un'indebita detrazione ai fini Iva.
Il ricorso presentato da Beta avverso l'atto di accertamento veniva rigettato dalla Commissione tributaria provinciale e l'appello veniva respinto dalla Commissione tributaria regionale.
Per i giudici di appello, gli avvisi di rettifica erano legittimi in quanto si basavano oltre che su presunzioni gravi precise e concordanti, anche su dichiarazioni di natura confessoria rese dal titolare di Alfa al procuratore della Repubblica; inoltre, Beta non aveva offerto concreti elementi di prova contraria.

La società Beta ricorre per cassazione eccependo:
  • violazione dell'articolo 24 della Costituzione, essendo stato leso il diritto di difesa a causa della mancata notifica di un apposito processo verbale di constatazione contenente gli atti ed elementi da porre a base dell'avviso di accertamento. Per la società ricorrente, la notifica del pvc era necessaria in quanto gli avvisi di accertamento si erano basati su rilievi effettuati non nei propri confronti, bensì nei confronti di un terzo, la società Alfa
  • violazione dell'articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992, essendo stato violato il divieto di prova testimoniale previsto nel processo tributario; in particolare, i giudici di appello non avrebbero dovuto attribuire valore di prova alle dichiarazioni rese dal titolare di Alfa al pubblico ministero circa la simulazione delle operazioni commerciali.

Resiste con controricorso l'Amministrazione finanziaria.
Con la sentenza in rassegna (n. 21268 del 2 novembre 2005), la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente.
I giudici di legittimità, con riferimento al primo motivo di doglianza, hanno ritenuto che l'omessa notifica del pvc non ha leso il diritto di difesa della società ricorrente.
Infatti, il processo verbale redatto nei confronti di un terzo era stato richiamato nell'avviso di accertamento e l'ufficio aveva contestato alla società ricorrente le specifiche ragioni delle riprese a tassazione, ponendola in condizione di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e di contestarla efficacemente approntando ogni più opportuna difesa dei propri interessi.

In ordine al secondo motivo di ricorso concernente la violazione del divieto di prova testimoniale, la Corte di cassazione ha rilevato l'erronea invocazione dell'articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992.
Nella fattispecie in esame, osserva la Corte, la Commissione tributaria regionale, al fine della formazione del proprio convincimento, non ha utilizzato alcuna prova testimoniale, bensì ha desunto elementi di prova (anche) dalle dichiarazioni confessorie rese dal titolare della società Alfa.
Per i giudici di legittimità, il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, sancito dal citato articolo 7, quarto comma, del Dlgs 546/1992, si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e "non implica, pertanto, l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'Amministrazione Finanziaria sono autorizzati a richiedere anche a privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente" (cfr. Cassazione n. 14774 del 15/11/2000).
Tali dichiarazioni, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi indiziari, il cui valore può essere contestato dal contribuente nell'esercizio del suo diritto di difesa. (cfr. Cassazione n. 14427 del 22/12/1999 e n. 18 del 21/1/2000).
Pertanto, nella specie, era consentito ai giudici di appello desumere elementi di prova (anche) dalle dichiarazioni confessorie poste in essere dal titolare di Alfa, trattandosi "di dichiarazioni rese da un terzo richiamate nel rapporto della Guardia di Finanza prodotto in giudizio e, quindi, di indizi liberamente valutabili dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento".

In buona sostanza, il valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi, raccolte dall'Amministrazione finanziaria nella fase dell'accertamento, è, infatti, solamente quello proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire da soli il fondamento della decisione.
Tuttavia, nell'esercizio del suo potere di difesa, il contribuente può contestare la veridicità delle dichiarazioni rese da terzi e raccolte dall'Amministrazione nella fase procedimentale.
Allorché ciò avvenga, il giudice tributario, ove non ritenga che l'accertamento sia adeguatamente sorretto da altri mezzi di prova, anche a prescindere, dunque, dalle dichiarazioni rese da terzi, potrà e dovrà far uso degli ampi poteri inquisitori riconosciutigli dal comma 1 dell'articolo 7 del Dlgs 546/1992, rinnovando e, eventualmente, integrando, secondo le indicazioni delle parti e con garanzia di imparzialità, l'attività istruttoria svolta dall'ufficio.

Nel caso di specie, invece, il ricorrente non contestava il valore delle dichiarazioni rese da terzi né con mezzi alternativi né con dichiarazioni contrarie.
Diversamente, se così fosse stato, dette dichiarazioni sarebbero state oggetto di prudente apprezzamento da parte del giudice di merito in ordine alla loro attendibilità.
Pertanto, i giudici di appello, in assenza di una qualsiasi prova contraria fornita dalla società ricorrente, circa l'asserita effettività delle operazioni commerciali fittizie intercorse con la società Alfa, hanno correttamente ritenuto attendibili le dichiarazioni confessorie rese dal titolare di detta società e trasfuse nel processo verbale di constatazione redatto della Guardia di Finanza, posto a base dell'avviso di accertamento.
In definitiva, conclude la Corte, dette dichiarazioni, insieme agli altri elementi di natura fattuale tratti dal rapporto della Guardia di Finanza (quali la mancanza di attrezzature, di magazzini di depositi, di dipendenti; l'acquisto di quantità irrisorie di merci tali da non giustificare la successiva rivendita per considerevoli importi), non possono che confermare la qualità di mera "cartiera" della società Alfa, le cui fatture emesse nei riguardi della società ricorrente ebbero il solo scopo di consentire a quest'ultima un'indebita detrazione ai fini Iva.

 
Francesca La Face

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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