Base imponibile Ici: non discriminatorio il criterio del costo contabilizzato.


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Base imponibile Ici: non discriminatorio il criterio del costo contabilizzato.
Autore: Marcello Maiorino - aggiornato il 04/04/2006
N° doc. 1397
04 04 2006 - Edizione delle 13:00  
 
Corte costituzionale, sentenza n. 67 del 24 febbraio 2006

Base imponibile Ici: non discriminatorio
il criterio del costo contabilizzato

Vi si ricorre per i fabbricati di cat. D, senza attribuzione di rendita e interamente posseduti da imprese
 
La Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 67 del 2006, depositata lo scorso 24 febbraio, si è pronunciata sulla legittimità degli articoli 5, commi 3 e 4, e 11, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, provvedimento normativo avente a oggetto la disciplina dell'imposta comunale sugli immobili.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Ancona, chiamata a decidere in merito all'impugnazione degli avvisi di liquidazione dell'Ici emessi dal Comune del capoluogo marchigiano nei confronti di una Snc.

La fattispecie concreta si prospettava nei seguenti termini:
  1. la società in questione aveva acquistato, nel 1994, un fabbricato che, pur censito nella categoria catastale D/8, risultava ancora privo di rendita catastale
  2. l'ufficio del Territorio attribuiva la rendita catastale solo nel 1999
  3. nelle more dell'attribuzione, la Snc provvedeva a versare l'Ici, calcolandola sulla base della rendita presunta del fabbricato; successivamente, il Comune notificava nei suoi confronti avvisi di liquidazione per maggiore imposta, ritualmente impugnati dalla società stessa.

La norma di riferimento, l'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, testualmente recita: "Per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3, dell'articolo 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333...", vale a dire, secondo il criterio del costo contabilizzato.
La formulazione della norma in questione ha indotto la Commissione tributaria di Ancona a ravvisare una irragionevole discriminazione, in danno dei fabbricati classificabili nel gruppo D e interamente posseduti da imprese, rispetto a quelli non posseduti da imprese o appartenenti a categorie diverse, prospettando, pertanto, una violazione degli articoli 3, 4, 53 della Costituzione, norme poste a presidio, rispettivamente, dei principi di eguaglianza, di capacità contributiva, e di diritto al lavoro, sub specie di attività di impresa.

L'Avvocatura generale dello Stato, al contrario, intervenendo nel giudizio, sulla scorta della considerazione che alcun principio di rango costituzionale impone di riferirsi alla rendita catastale come criterio per la determinazione della base imponibile dell'Ici, ha ricondotto la scelta del legislatore nell'alveo della sua discrezionalità, in ossequio alla ratio di utilizzare un valore che risulti immediatamente dalle scritture contabili, che non sia suscettibile di essere successivamente corretto a seguito dell'attribuzione della rendita catastale, che non sia necessariamente maggiore di quello calcolato con riferimento alla rendita catastale dei fabbricati simili.

La Consulta, investita della querelle, si è pronunciata dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale.
In primo luogo, i giudici effettuano un excursus del quadro normativo che emerge dal decreto legislativo n. 504 del 1992, procedendo a una distinzione tra i fabbricati iscritti in catasto con attribuzione di rendita e quelli che ne sono privi.
Per i primi, la base imponibile è costituita dal valore risultante dall'applicazione, rispetto all'ammontare delle rendite catastali vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, dei moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dall'articolo 52 del Dpr n. 131 del 1986.
Per quanto, invece, concerne i fabbricati ancora privi di rendita, la normativa dettata dal legislatore delegato procede a una sostanziale bipartizione, con i commi 3 e 4 dell'articolo 5 del Dlgs 504/92, che disciplinano, rispettivamente, i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese, e i fabbricati, non iscritti in catasto, diversi da quelli indicati nel comma 3, in cui rientrano sia i fabbricati del gruppo D non posseduti (o non posseduti interamente) da imprese, sia quelli, sempre privi di rendita, appartenenti a gruppi catastali diversi dal gruppo "D".
Per questi ultimi, ai sensi di quanto disposto dal comma 4 citato, il valore della base imponibile si calcola secondo il criterio della rendita presunta , cioè, sulla base della rendita dei fabbricati similari già iscritti in catasto.

La disomogeneità di situazioni, emergente dal prospettato quadro normativo, non rende pertanto condivisibili, agli occhi della Corte costituzionale, le argomentazione addotte dal giudice rimettente a sostegno della tesi dell'illegittimità costituzionale dell'articolo 5 del Dlgs n. 504/92.
Infatti, ad adiuvandum, la Consulta rinvia alla relazione governativa del più volte citato provvedimento normativo, nella quale si sottolinea che la scelta (legittima) del legislatore di utilizzare il criterio del valore contabilizzato, risponde alla ratio di porre fine alla "estrema difficoltà di attribuire in tempi ragionevolmente brevi ai numerosi fabbricati di gruppo D) la rendita catastale la quale, come è noto, si basa su stima diretta".

Tale assunto è corroborato, inoltre, dalla disomogeneità di trattamento, riscontrata dalla Corte, dei fabbricati di categoria "D" privi di rendita, non posseduti o non interamente posseduti da imprese, rispetto a quelli rientranti nell'ambito applicativo di cui al comma 3; l'asserita diversità delle due species di fabbricati, è riconducibile alla mancanza, relativamente ai primi, dell'obbligo di tenuta di scritture contabili.
In ciò è da ricercare il motivo per cui, in ossequio, peraltro, a una libera scelta del legislatore, contrariamente a quanto previsto per i fabbricati di cui all'articolo 5, comma 3, del Dlgs n. 504/92, il criterio adottato per quelli de quibus, in attesa dell'attribuzione della rendita, sia quello della rendita presunta.
Ne deriva che l'articolo 5 del Dlgs n. 504/92, così come formulato, non risulta confliggente con gli articoli 3, 4 e 53 della Costituzione.

 
Marcello Maiorino
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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