Bocciata la scissione che mira a evitare la tassazione dei redditi di capitale.


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Bocciata la scissione che mira a evitare la tassazione dei redditi di capitale.
Autore: Antonina Giordano - aggiornato il 02/02/2006
N° doc. 1205
02 02 2006 - Edizione delle 14:30  
 
Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive

Bocciata la scissione che mira a evitare
la tassazione dei redditi di capitale

Parere n. 42 deliberato il 14 ottobre 2005
 
Il parere n. 42/2005 offre l'opportunità per formulare qualche riflessione "utile" in tema di scissione. La fattispecie di cui verrà esposto il contenuto ha per oggetto una scissione parziale non proporzionale, seguita da una cessione di quote effettuate da uno dei due soci della scissa.
In diritto, tale strumento di riorganizzazione aziendale è di per sé legittimo ai sensi della normativa tributaria vigente e la sua neutralità fiscale è prevista dall'articolo 173 del Tuir.
Tale operazione potrebbe essere considerata elusiva solo in quanto inserita in un contesto più ampio nel cui ambito si possano riscontrare i presupposti tassativamente indicati nell'articolo 37-bis del Dpr n. 600/73.
In particolare, l'articolo 37-bis prevede che, affinché un'operazione possa configurarsi come elusiva, occorre che si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni:
  1. deve trattarsi di comportamenti (intesi come serie di atti, fatti e negozi posti in essere anche successivamente nel tempo) che, nel loro ambito, comportano l'utilizzo di una o più delle operazioni indicate al terzo comma dello stesso articolo 37-bis
  2. deve trattarsi di comportamenti privi di valide ragioni economiche
  3. deve trattarsi di comportamenti diretti ad aggirare obblighi e divieti previsti dall'ordinamento
  4. deve trattarsi di comportamenti tesi a perseguire un risparmio d'imposta disapprovato dal sistema.

La prassi amministrativa ha più volte ribadito la liceità delle operazioni di scissione parziale (anche non proporzionale), finalizzate a scorporare parte del patrimonio immobiliare della società scissa da trasferire a una nuova società, che svolgerà attività immobiliare, affermando che non si ravvisano profili di elusività quando i beni immobili non vengono sottratti al regime d'impresa e i plusvalori latenti su di essi rimangono tali, rinviandosi semplicemente la tassazione al momento dell'eventuale successiva cessione.

L'ipotesi di scissione parziale (sebbene realizzata in forma proporzionale) con scorporo di un comparto immobiliare (poi concesso in locazione), preceduta dalla rivalutazione delle azioni della società scissa da parte dei soci ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 448/2001 e finalizzata a una futura cessione delle azioni stesse, trova il proprio antecedente nella fattispecie che ha formato oggetto del parere n. 16/2003, con il quale il Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive enuncia taluni principi di grande importanza nella esegesi delle operazioni elusive, valutando il disegno realizzativi nella sua dinamica e in funzione del risultato finale.
Essenzializzando, dunque, si può affermare che:

  1. la rivalutazione dei titoli azionari mediante pagamento dell'imposta sostitutiva non può essere giudicata elusiva, in quanto si concretizza nell'applicazione di una specifica norma di legge di carattere agevolativo
  2. l'operazione di scissione effettuata in regime di continuità dei valori fiscali, senza sottrazione di plusvalenze a tassazione, è di per sé un'operazione neutrale dal punto di vista tributario e, quindi, di per sé non elusiva
  3. la continuazione dell'attività d'impresa da parte della società scissa e il trasferimento degli immobili alla società beneficiaria di nuova costituzione, non comporta la sottrazione al regime d'impresa dei beni che continuano a essere utilizzati come beni strumentali.

Quale corollario dei primi tre principi enunciati, il Comitato fa discendere che le operazioni di rivalutazione delle azioni, scissione e successiva cessione delle stesse azioni, non appaiono preordinate ad alcun risparmio indebito d'imposta e, quindi, giudica non elusiva l'operazione di riorganizzazione nel suo complesso.
Sulla stessa linea interpretativa è anche il parere del Comitato consultivo n. 15/2003, riferito a una scissione proporzionale seguita da una cessione reciproca delle quote precedentemente rivalutate con cui, in sostanza, si attua una scissione parziale non proporzionale.

La stessa dottrina si è fatta carico della necessità di analizzare in modo approfondito alcuni aspetti della disciplina antielusiva meritevoli di essere riconsiderati alla luce delle novità normative entrate in vigore per effetto della riforma dell'imposizione sul reddito delle società, introdotta con il Dlgs n. 344 del 12 dicembre 2003.
In particolare, è stato evidenziato come, quale conseguenza della neutralità fiscale delle operazioni di scissione e della contemporanea abolizione dell'imposta sostitutiva prevista dal Dlgs n. 358/1997 per le operazioni straordinarie (tra cui fusioni e scissioni), di fatto non si realizzano benefici economici in capo ai soggetti coinvolti in operazioni similari a quelle in esame.
Andando ancora più nel dettaglio, la dottrina ha voluto sostenere che, con l'eliminazione dell'imposta sostitutiva del 19 per cento, l'acquisto dei beni dell'impresa (beni di primo livello) mediante l'acquisizione di quote di partecipazione (beni di secondo livello) non permette al soggetto cessionario "il recupero del maggior costo sostenuto": l'acquirente, pertanto, cercherà di scontare, in sede di determinazione del prezzo, gli oneri fiscali latenti che ancora gravano sui beni.

L'assenza di vantaggi tributari indebiti nell'ambito delle operazioni di scissione con successiva cessione di quote, già focalizzata nei pareri n. 15/2003 e n. 16/2003 del Comitato consultivo in precedenza richiamati, è stata confermata nella normativa sulla riforma tributaria.
Ciò, nell'ottica sostenuta dalla stessa dottrina con l'assioma che vuole che il risparmio d'imposta non sarebbe riferibile alla sfera giuridico-economica della società scissa e della beneficiaria, in quanto la neutralità della scissione implica che i beni mantengano il valore di libro che hanno prima della scissione a prescindere dai mutamenti della compagine sociale (i soci, all'atto della cessione delle quote, corrisponderanno le imposte dovute, influenzate o meno da precedenti rivalutazioni, ma non si verificheranno benefici fiscali direttamente in capo alle società coinvolte nell'operazione di scissione).

Alla luce di quanto premesso, analizziamo, dunque, il caso oggetto del parere in commento.
L'istante (una Srl il cui oggetto sociale prevede sia un'attività immobiliare di costruzione, acquisto, vendita, locazione di immobili civili e commerciali, sia altre attività, quali la costruzione, la lavorazione e la riparazione di furgonature isotermiche, l'esecuzione di lavori di carrozzeria, di riparazioni meccaniche ed elettriche, la realizzazione di pannellature industriali, la compravendita di veicoli, rimorchi) possiede una compagine sociale composta da due soci persone fisiche (entrambi con una quota di partecipazione pari al 50 per cento del capitale sociale) e svolge attività di gestione immobiliare.
Al momento, tale attività si sostanzia esclusivamente nella concessione in locazione dell'unico fabbricato industriale di proprietà alla "K Srl", la quale è posseduta al 52 per cento dal socio A, il quale è anche l'amministratore unico della stessa.
La società istante è operativa da diversi anni, ma riferisce che tra i soci A e B esiste un profondo dissidio che ha causato la "paralisi" dell'organo assembleare e il mancato rinnovo di quello amministrativo.
Tale dissidio si è acuito a seguito dell'aggravarsi della situazione debitoria del socio B, il quale era socio e amministratore unico della società fallita "W Srl" e ha contratto ingenti debiti nei confronti di un noto istituto di credito.

Il disaccordo fra i soci e le gravi difficoltà finanziarie del socio B hanno indotto quest'ultimo a valutare l'opportunità di cedere la propria quota di partecipazione al capitale sociale della società istante.
Lo stesso socio B, per motivi di carattere personale ed economico, ha proceduto, altresì, a rivalutare la propria quota di partecipazione al capitale sociale della Srl istante, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dal combinato disposto dall'articolo 5 della legge n. 448 del 28/12/2001 e dell'articolo 2 del decreto legge n. 282 del 24/12/2002, versando la relativa imposta sostitutiva.
La valutazione di tale quota partecipativa e la sua successiva vendita, originariamente ipotizzata in favore del socio A, avrebbe consentito al socio B di ottenere le disponibilità finanziarie sufficienti per estinguere la propria posizione debitoria, considerando anche che la precedente rivalutazione onerosa, in assenza di plusvalenze, non avrebbe comportato il pagamento di un'ulteriore imposta sul reddito.
Tuttavia - continua ad asserire l'interpellante - l'auspicata vendita della quota societaria al socio A non ha avuto luogo, poiché il prezzo offerto da quest'ultimo era largamente inferiore a quello proposto dal socio B, che ha, nel contempo, constatato l'impossibilità di trovare un terzo acquirente del 50 per cento del capitale della Srl che accettasse la presenza in società del socio A.

Al fine di superare la situazione di stallo sopra descritta, i due soci sono addivenuti a un accordo, in base al quale convengono di:

  • procedere alla "regolarizzazione" del fabbricato di proprietà sociale in conformità alle varie disposizioni di legge in materia urbanistica e di sicurezza sul lavoro
  • frazionare, mediante muro divisorio, il fabbricato in due unità immobiliari d'analogo valore, al fine di agevolare una futura operazione di scissione
  • effettuare una scissione parziale non proporzionale, in regime di continuità dei valori fiscali, con attribuzione di una delle due future unità immobiliari, unitamente alla relativa quota parte di mutuo ipotecario, a una società beneficiaria di nuova costituzione in forma di Srl, anch'essa esercente attività d'impresa immobiliare, lasciando l'altra unità del fabbricato industriale alla scissa.

Per effetto della prospettata operazione di scissione, il socio B rimarrebbe proprietario del 100 per cento del capitale sociale della società istante, mentre il socio A deterrebbe il 100 per cento del capitale della società beneficiaria di nuova costituzione e potrà locare la spettante unità immobiliare alla Srl attuale conduttrice, realizzando gli eventuali investimenti necessari in relazione all'attività svolta dalla locataria.
L'operazione di riorganizzazione societaria consentirà, altresì, di eliminare il dissidio fra i soci, assicurando la continuità dell'attività d'impresa, e di cedere a un terzo acquirente la quota del Socio B, corrispondente alla totalità del capitale sociale della istante Srl, a un prezzo tale da "sanare" la propria posizione debitoria.

La scissione parziale non proporzionale della istante Srl e la successiva cessione delle quote della società scissa da parte dell'unico socio che rimarrà a comporne la compagine societaria, nei termini in cui vengono prospettati i fatti, alimenta molti dubbi sulla elusività del progetto.
Considerando che la proponente l'interpello non svolge alcuna reale attività economica, non ha personale dipendente e si limita semplicemente a concedere in locazione il citato capannone alla K Srl, che peraltro appartiene alla famiglia del socio A, sorge il legittimo sospetto che la Srl possa essere uno "schermo" (i fratelli, soci al 50 per cento della società, sono in realtà proprietari al 50 per cento del capannone che ne compone il patrimonio sociale) ovvero una "società di comodo", che consente ai soci la deduzione degli interessi passivi pagati con le rate del mutuo (infatti, con l'attrazione al regime di determinazione del reddito di impresa, gli interessi passivi pagati con le rate del mutuo diventano deducibili, mentre se fossero pagati dei due soci quali persone fisiche, tale possibilità di deduzione non sarebbe possibile).
In tale prospettiva, la reale necessità della "sopravvivenza" della interpellante appare, dunque, quella di procacciarsi un notevole risparmio fiscale.

L'istante, inoltre, prospetta una situazione di forte dissidio fra i due fratelli soci, causato da problemi finanziari del socio B che, essendo incappato anche nel fallimento di un'altra società di famiglia, ha ravvisato, in una primo tempo, una sua possibile "salvezza" finanziaria nella sua proprietà del 50 per cento del capannone (solo formalmente intestato alla istante Srl), per poi giungere alla conclusione, in accordo con il fratello, che l'unico modo per superare la situazione è procedere al frazionamento del capannone in due unità e accatastarle distintamente.
La scissione prospettata e la successiva cessione delle quote della scissa da parte dell'unico socio B sarebbero, dunque, dettate puramente dai correlati vantaggi fiscali.
Infatti, con la prospettata scissione parziale non proporzionale, il socio B ritiene di poter far valere la rivalutazione operata ai sensi della legge n. 448/2001 e, quindi, cedere la sua futura partecipazione totalitaria nella scissa al valore rivalutato e "affrancato" con il pagamento dell'imposta sostitutiva, senza pagare imposte sulla plusvalenza che realizzerà.
In altre parole, egli potrebbe cedere la frazione del capannone, rimasta in capo alla scissa, trasferendo la partecipazione totalitaria nella medesima, senza il pagamento di imposte sulla plusvalenza che realizzerà dal confronto con il valore nominale della partecipazione stessa.

Il Comitato consultivo, dunque, non condivide la tesi della sussistenza delle valide ragioni economiche rinvenibili nella circostanza che l'operazione "elimina il dissidio fra i soci ed evita che lo stesso conduca alla paralisi della società evitandone lo scioglimento e la conseguente cessazione dell'attività di impresa".
In realtà, l'eliminazione del dissidio potrebbe realizzarsi anche mediante lo scioglimento della società e l'attribuzione a ciascun socio di quanto risultante dalla liquidazione della medesima, oppure attraverso il recesso di uno dei due soci.
Tenendo conto del fatto che l'istante si trova già in una delle condizioni previste dall'articolo 2484 c.c. quale causa di scioglimento e liquidazione di una società di capitali (i cui effetti si realizzano, però, per disposto civilistico, solo alla data dell'iscrizione nel registro delle imprese di apposita dichiarazione fatta dagli amministratori), ciò che emerge dal mancato ricorso a tale possibilità di dirimere legalmente la situazione, è solamente la precisa volontà di non incorrere nelle conseguenze fiscali connesse allo scioglimento della società e alla liquidazione della quota spettante a ciascun socio.
Con lo scioglimento della società o il recesso, infatti, il socio B non potrebbe "spendere" il maggior valore attribuito alle partecipazioni con il pagamento dell'imposta sostitutiva, in quanto l'articolo 5 della legge n. 448/2001 lo riconosce solo agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze conseguenti alla cessione delle partecipazioni.

Infine, l'affermazione dell'interpellante, con cui sostiene che la scissione "lascia intatta la plusvalenza latente che grava sull'immobile, con l'unica differenza che saranno due le società ad ereditare tale tassazione potenziale", configge con l'orientamento giurisprudenziale del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, il quale ha sempre sostenuto che alla scissione non deve seguire la cessione delle quote delle società da essa risultanti, onde non spostare la tassazione dai beni di primo grado (immobile) a quelli di secondo grado (partecipazioni) (parere n. 23 del 29 settembre 2004).

La disamina effettuata dal Comitato consultivo conduce alla conclusione che la prospettata scissione parziale non proporzionale non verrebbe posta in essere per eliminare il dissidio fra i soci e consentire la continuazione dell'attività aziendale (che, in pratica, già non esiste in capo alla scindenda) secondo le modalità gradite da ciascuno dei due soci, ma solo per consentire al socio B di cedere la sua parte di capannone in esenzione di imposta, attraverso la cessione delle quote della scissa rivalutate e, più in generale, consentire a entrambi i soci di non dichiarare il reddito di capitale derivante dalla liquidazione della Srl istante.
In altre parole, l'operazione prospettata appare priva di valide ragioni economiche, perché non diretta a realizzare alcuno scopo economico, bensì ad aggirare le disposizioni di natura fiscale riguardanti la tassazione dei redditi di capitale, conseguenti all'atto dello scioglimento di una società o del recesso di uno dei soci, unicamente per ottenere il vantaggio fiscale rappresentato dal correlato risparmio di imposta e presenta, dunque, evidenti finalità elusive.

 
Antonina Giordano

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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