Cartiere produttrici di fatture. E di guai per l'acquirente - Sentenza n. 1950 del 30 gennaio 2007.


I nostri software
 Home > Tutte le notizie ed i documenti
 
Cartiere produttrici di fatture. E di guai per l'acquirente - Sentenza n. 1950 del 30 gennaio 2007.
Autore: Agenzie delle Entrate - aggiornato il 13/03/2007
N° doc. 2726
13 03 2007 - Edizione delle 13:00  
 
Sentenza n. 1950 del 30 gennaio 2007

Cartiere produttrici di fatture. E di guai per l’acquirente

Il diritto del cessionario alla detrazione Iva non regge solamente sulla prova del pagamento della merce e dell’imposta
 
Con la sentenza n. 1950 depositata il 30 gennaio 2007, la Cassazione ha affermato che in tema di “fatture soggettivamente inesistenti”, l’acquirente deve provare la fonte che legittima il suo diritto alla detrazione Iva, altrimenti la stessa deve ritenersi indebita.

La controversia in esame trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento, con il quale l’ufficio, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, recuperava indebite detrazioni Iva a una Spa.
In particolare, dai processi verbali di constatazione era emerso che le vendite di materiali non ferrosi, effettuate nei confronti della suddetta società per azioni, dovevano ritenersi “soggettivamente inesistenti”, in quanto fatturate da imprese costituenti mere “cartiere”, operanti in assoluta inosservanza degli obblighi fiscali e fittiziamente interposte nelle compravendite, al solo scopo di realizzare una complessa frode, finalizzata all’importazione di detti materiali in evasione d’imposta, consentendo ai vari acquirenti la detrazione dell’Iva non assolta.
La società ricorrente, a fondamento del ricorso, rilevava che gli acquisti erano stati realmente effettuati e forniva, al riguardo, elementi a riscontro dell’effettività dei pagamenti.

I giudici di prime cure accoglievano il ricorso presentato dalla Spa, mentre l’appello dell’ufficio fu respinto dalla Ctr.
Più in dettaglio, la sentenza dei giudici di secondo grado si basava sul convincimento che l’Iva versata a monte è sempre detraibile, pur in ipotesi di operazioni “soggettivamente inesistenti”, quando siano, in concreto, riscontrabili, oltre alla fatturazione, i presupposti “ordinariamente giustificanti la detrazione dell’Iva corrisposta dal soggetto che ha ricevuto la prestazione” e, cioè, l’effettiva consegna dei prodotti acquistati e l’effettivo pagamento della merce e dell’Iva.

L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, eccependo che la fattura emessa da un soggetto che non sia il reale prestatore/cedente, contabilizzata dall’acquirente (committente/cessionario), postula, comunque, un’indebita detrazione Iva, in considerazione della non riferibilità della fattura stessa al fornitore, dichiarato mera “cartiera”, fiscalmente inesistente.
In altre parole, secondo l’ufficio, l’operazione commerciale posta in essere era finalizzata a nascondere operazioni in nero effettuate dai reali prestatori/cedenti, i quali, in virtù della dissimulazione, evadevano l’imposta, che neppure i formali emittenti (“cartiere”) versavano, con evidente danno all’Erario.

Con la sentenza in rassegna, la Suprema corte ha accolto le doglianze dell’Amministrazione finanziaria e, confermando il suo precedente orientamento, ha affermato che, in tema di Iva, la previsione degli articoli 17 e 19 del Dpr n. 633/72 (secondo la quale "è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa"), "va letta in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 della sesta direttiva del Consiglio c.e.e. n. 77/388 e del principio affermato dalla Corte di giustizia c.e.e. con sentenza 13.12.1989 - (c. 342/87)".

In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto che "il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioè, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’iva" (cfr Cassazione sentenze nn. 11110/03, 8959/03, 13222/01).

Secondo la Corte, ciò trova giustificazione nel particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell’Iva; infatti, "l’infrazione fiscale si configura…per il solo fatto oggettivo che il contribuente, con il proprio comportamento, doloso o colposo che sia, abbia determinato il rischio per l’Amministrazione di non conseguire il pagamento dell’imposta effettivamente dovuta o l’abbia esposta a indebite detrazioni".

In buona sostanza, la Cassazione, uniformandosi all’indirizzo rilevabile nella sentenza n. 8959 del 5 giugno 2003, ha evidenziato che "l’elemento soggettivo della conoscenza della circostanza relativa alla illegalità o illiceità degli accordi esistenti tra le società variamente interessate alle vendite non viene in rilievo agli effetti del rapporto tributario"; pertanto, ciò che rileva agli effetti fiscali in genere, e dell’Iva in particolare, è il solo “fatto oggettivo dell'infrazione”.

Nella motivazione della sentenza in esame, è stato, inoltre, osservato che quando i costi sono documentati da fatture emesse da un soggetto diverso rispetto all’effettivo fornitore di beni o di servizi, il soggetto acquirente, ai fini del riconoscimento del suo diritto alla detrazione Iva, deve provare anche l’inerenza all’impresa dell’operazione fatturata.
In altri termini, nell’ipotesi di fatture “soggettivamente inesistenti”, l’effettività delle operazioni commerciali non può certo essere dimostrata invocando soltanto la consegna della merce, l’esistenza dei pagamenti e dell’Iva riportata sulla fattura emessa dal terzo e la registrazione delle fatture, ma provando, altresì, la sussistenza di un nesso diretto e immediato tra il costo sostenuto e l’attività svolta dalla società acquirente.

Dopo avere rilevato che l’inerenza è “il nesso funzionale che lega il costo alla vita dell’impresa”, ovvero il rapporto tra un costo e lo svolgimento della specifica attività, che costituisce la ragion d’essere stessa dell’impresa, la Corte ha osservato che l’Iva corrisposta a un soggetto interposto e da questi, peraltro, non pagata, è "un costo che non può - aprioristicamente e senza precisi riscontri dello stato soggettivo del cessionario in merito all’altruità della fatturazione - considerarsi inerente allo svolgimento dell’attività istituzionale dell’impresa acquirente, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il nesso di inerenza".

In definitiva, nelle ipotesi di operazioni “soggettivamente inesistenti”, il diritto alla detrazione dell’Iva non sorge per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, ma richiede che il cessionario, che invoca il diritto alla detrazione, fornisca, oltre alla prova dell’avvenuta consegna della merce medesima e di quella del pagamento dell’Iva riportata sulla fattura emessa dal terzo, "riscontri precisi sul suo stato soggettivo in merito all’altruità della fatturazione a dimostrazione dell’effettiva inerenza dell’operazione commerciale all’attività istituzionale dell’impresa".

Deve, quindi, ritenersi che, in tema di operazioni commerciali “soggettivamente inesistenti”, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni Iva deve essere fornita dalla società acquirente/cessionaria. Quando il cessionario non sia in grado di provare la fonte che legittima la detrazione, con “riscontri precisi”, questa deve ritenersi indebita e legittimamente l’ufficio può procedere a recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta.

 
Francesca La Face

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
GBsoftware S.p.A.
Sede Legale
Via B. Oriani, 153
00197 Roma
Sede Operativa
Zona Industriale Santa Maria di Sette
06014 Montone (PG)
Contatti
Tel. 06.97626328
[email protected]
Cap. Soc. € 1.000.000,00 i.v. - Rea: Rm-1065349 C.F. e P.Iva 07946271009
Invia mail a GBsoftware