Commissione tributaria regionale ToscanaNiente Irpeg dimezzata per gli enti conferentiInapplicabile la disposizione di favore alle fondazioni bancarie ante 'riforma Ciampi'


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Commissione tributaria regionale ToscanaNiente Irpeg dimezzata per gli enti conferentiInapplicabile la disposizione di favore alle fondazioni bancarie ante 'riforma Ciampi'
Autore: Fisco oggi - Stefano Ceni - aggiornato il 05/12/2006
N° doc. 1788
 
05 12 2006 - Edizione delle 13:00  
 
Commissione tributaria regionale Toscana

Niente Irpeg dimezzata per gli enti conferenti

Inapplicabile la disposizione di favore alle fondazioni bancarie ante “riforma Ciampi”
 
La sentenza n. 45/05/2006 della Ctr di Firenze, accogliendo l’appello dell’ufficio Contenzioso tributario della Dr Toscana, ha dichiarato non spettante l’agevolazione di cui all’articolo 6, Dpr n. 601/1973 (riduzione a metà dell’Irpeg), a una grande fondazione bancaria della regione.
La decisione aggiunge un ulteriore tassello all’orientamento giurisprudenziale favorevole alla tesi erariale, che si va affermando da circa un anno nelle Commissioni tributarie di merito della Toscana (si veda G. Palombo, “Giurisprudenza in materia di fondazioni bancarie” su FISCOoggi del 2/11/2006).

Alle decisioni favorevoli delle Ctp, per quei pochi giudizi che ancora si trovavano nella fase iniziale, quali la n. 132/08/2005 della Ctp di Lucca e la n. 43/02/2006 della Ctp di Siena, si aggiungono le pronunce della Commissione tributaria regionale, tra cui le sentenze nn. 63/25/2005, 72/17/2005 e 5/25/2006 – queste due ultime relative al connesso beneficio dell’esonero dalla ritenuta sui dividendi, di cui all’articolo 10-bis della legge n. 1745/1962 – e, da ultimo, in rassegna, proprio la n. 45/05/2006 del 13 ottobre scorso.

Come noto, l’insorgere del contenzioso ha fatto seguito all’emanazione della circolare n. 238/E del 4 ottobre 1996 (che recepì il parere del Consiglio di Stato n. 1043/1995), la quale disconosceva alle fondazioni bancarie sia l’agevolazione della “semiesenzione” dall’Irpeg (articolo 6, Dpr n. 601/1973) che l’altro beneficio fiscale costituito dall’esonero dalla ritenuta sui dividendi (articolo 10-bis della legge n. 1745/1962). Tale interpretazione fu avversata dalle fondazioni bancarie ante legge Ciampi (o meglio, enti conferenti ex Dlgs n. 356/1990), dando luogo a un nutrito contenzioso ancora aperto, tranne che per pochi casi decisi dalla Cassazione.

Gli esiti furono, nei gradi di merito, nettamente sfavorevoli all’Amministrazione finanziaria e quelle rare eccezioni, che pur tuttavia si verificarono, vennero completamene a esaurirsi quando intervennero le pronunce della Corte di cassazione 6607/2002, 19445/2003, 19365/2003 e 129-131/2004 a riconoscere agli enti in questione il diritto all’agevolazione, ex articolo 6.
Da qui, l’importanza della pronuncia della Ctr di Firenze che, come detto, esprime un orientamento che si è formato recentemente in ambito regionale.

La sentenza, puntualizzando che la normativa applicabile è costituita dalla legge n. 218/90 e dal Dlgs n. 356/90, ha osservato che “gli enti conferenti conservavano il pieno controllo delle società bancarie, rendendo proprie in questo modo le loro finalità (commerciali creditizie), il che dimostra che, per il legislatore del 1990 le esigenze di fondo sottese alla riforma avevano natura economico-finanziaria, al punto che può dirsi che la privatizzazione delle banche pubbliche, per effetto di tale legislazione, aveva un carattere prevalentemente formale proprio in ragione della continuità operativa assicurata dalla costituzione degli organi di amministrazione e di controllo con nomine provenienti dagli enti conferenti. In sostanza le società creditizie erano strumenti nelle mani di questi ultimi, dovendosi perciò escludere che gli enti conferenti potessero qualificarsi come semplici percettori di redditi”.

Questa interpretazione risulta, secondo il pensiero della Ctr, avvalorata dal confronto degli enti conferenti, disciplinati dal Dlgs n. 356/90, con le nuove fondazioni bancarie disciplinate dal Dlgs n. 153/99, il cui patrimonio è totalmente vincolato al perseguimento degli scopi statutari (articolo 5) e la cui partecipazione di controllo è ammessa soltanto in società che abbiano per oggetto esclusivo l’esercizio di imprese strumentali.

A questo proposito, i giudici regionali hanno richiamato anche la giurisprudenza della Corte costituzionale. In particolare, la sentenza n. 300/2003, che delinea per sommi capi l’evoluzione legislativa in materia, “ha ravvisato uno stretto legame sostanziale fra soggetti conferenti e soggetti conferitari, dovuto alla partecipazione di controllo dei primi sui secondi e alla continuità operativa prevista dal legislatore del 1990. Soltanto la trasformazione degli enti pubblici in fondazioni – persone giuridiche private senza fini di lucro – (attuato con la riforma Ciampi) ha spezzato il preesistente vincolo genetico e funzionale”.

Gli stessi giudici hanno trovato conforto alla loro tesi anche nella ricostruzione della normativa di cui al Dlgs n. 356/1990, operata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nella sentenza del 10 gennaio 2006, che si trova sintetizzata nelle seguenti asserzioni: “tali norme configurano un ruolo delle fondazioni bancarie che va al di là della semplice collocazione di capitale da parte di un investitore. Esse rendono possibile lo svolgimento di funzioni di controllo, ma anche di impulso e sostegno finanziario. Esse dimostrano l’esistenza di legami organici e funzionali tra le fondazioni bancarie e le società bancarie, il che è confermato dal mantenimento …di una sorveglianza da parte del Ministero del Tesoro” (causa C-222-04).

Infine, i giudici hanno escluso il carattere interpretativo (e retroattivo) che è stato attribuito all’articolo 12, comma 2, del Dlgs n. 153/99, sulla base delle seguenti osservazioni. “Al contrario, la disposizione va letta tenendo conto della parte in cui esclude la perdita del requisito della prevalenza delle finalità sociali in caso di possesso di partecipazione di controllo nella società bancaria conferitaria. Tale regola è stata tradotta dalla legge delegata (art. 12 comma 2) nei seguenti termini: le fondazioni che hanno adeguato i loro statuti alle disposizioni del titolo I usufruiscono del beneficio fiscale; anche in assenza di adeguamento statutario, si applica il regime beneficiato alle fondazioni che, non avendo natura di enti commerciali, siano già sostanzialmente in una situazione assimilabile a quella delle fondazioni in regola con gli statuti, purché “abbiano perseguito prevalentemente fini di interesse pubblico e di utilità sociale”. Dunque la disposizione intende consentire alle fondazioni di ottenere l’applicazione dell’art. 6 DPR n. 601/1973 immediatamente, alle entrata in vigore del Dlgs. n. 153/1999, se sussistono le condizioni stabilite dal cit. art. 12 II c.. L’interpretazione della norma, che la vuole rendere retroattiva, in realtà le conferisce una inammissibile ultrattività”.

Ulteriore elemento di esclusione della retroattività, secondo i giudici regionali, sarebbe costituito dalla limitazione del credito di imposta sui dividendi operata dal comma 6 dell’articolo 12, Dlgs n. 153/1999.

La decisione in rassegna si caratterizza anche per il fatto che ha risolto la questione ritenendo non applicabile l’agevolazione in base al diritto interno. Anche questo è un aspetto importante, poiché dal rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ce (per esattezza, il rinvio riguardava l’applicabilità non dell’articolo 6, Dpr n. 601, ma dell’articolo 10-bis, legge n. 1745/1962, tuttavia le questioni da dirimere erano comuni a entrambe le norme) effettuato dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 8319/2004, è stato dedotto, da più parti, che la spettanza dell’agevolazione si dovesse ritenere ormai definitivamente riconosciuta, perché altrimenti non vi sarebbe stata necessità di doversi porre il problema della sua compatibilità con il diritto comunitario.

Risulta, perciò, di estrema importanza l’imminente decisione delle sezioni unite della Cassazione, chiamate a dirimere il contrasto in seno alla sezione tributaria sull’applicabilità dell’articolo 10-bis. Infatti, una volta superato lo scoglio comunitario, la Corte potrebbe utilizzare, al fine di decidere la questione, gli argomenti di diritto interno proposti dall’Agenzia delle entrate e ricavabili anche dalla ricostruzione del decreto legislativo 356/1990 effettuata dalla Corte di giustizia.

 
Stefano Ceni

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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