Contenzioso sul 'sommerso', a galla le regole processuali.


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Contenzioso sul 'sommerso', a galla le regole processuali.
Autore: Giovambattista Palumbo - aggiornato il 26/09/2007
N° doc. 3995
26 09 2007 - Edizione delle 15:00  
 
Commissione tributaria provinciale di Firenze, sentenza n. 92/16/06

Contenzioso sul "sommerso", a galla le regole processuali

Dalla pronuncia importanti principi applicabili ai giudizi incardinati fino a oggi davanti alle Ct
 
La sentenza della Ctp di Firenze n. 92/16/06 ha enunciato importanti principi in materia di contrasto al sommerso e di regole applicabili al relativo contenzioso, fino a oggi incardinato davanti alle Commissioni tributarie.
Solo per le violazioni contestate successivamente all'entrata in vigore della legge 248/2006 (12 agosto 2006), di conversione del decreto legge "Visco-Bersani", considerato che nel nuovo testo dell'articolo 3 del Dl 12/2002 è stato cancellato il richiamo al Dlgs 472/1997, si rende infatti ora applicabile la legge 689/1981, che attribuisce la competenza al Tribunale ordinario in caso di opposizione avverso l'ordinanza di ingiunzione di pagamento, quando, come nel caso in oggetto, la sanzione viene applicata per violazioni concernenti disposizioni in materia di tutela del lavoro.

Per le sanzioni per le quali, alla data di entrata in vigore della riforma, sia stato già instaurato il giudizio davanti alla giustizia tributaria, invece, la giurisdizione resta in capo a essa e il processo prosegue secondo le specifiche regole del contenzioso tributario.
L'articolo 5 Cpc, infatti, prevede che la giurisdizione sia determinata tenendo esclusivamente conto della legge vigente al momento della proposizione della domanda (vedi anche Cassazione, sezioni unite, n. 6418/2005).

Sulla materia, infine, l'agenzia delle Entrate ha emanato la circolare n. 35 del 30 maggio scorso, con la quale ha ribadito che dal 12 agosto 2006 la competenza delle direzioni provinciali del Lavoro riguarda tutte le constatazioni di utilizzo di lavoro irregolare, anche se effettuate prima dall'Amministrazione finanziaria, purchè la sanzione non sia stata ancora irrogata alla data di entrata della legge di conversione del Dl 223/2006.
Per le controversie relative alle sanzioni irrogate dalle direzioni provinciali del Lavoro, la giurisdizione passa quindi al giudice ordinario.

Le regole processuali: presunzione legale relativa e dichiarazioni testimoniali
Nel caso affrontato dalla Ctp di Firenze, la società destinataria della contestazione si appellava invece a principi che esulano dalle specifiche regole del processo tributario e che non possono certo trovare accoglimento per il solo motivo che la materia del contendere (sanzioni su rapporto di lavoro irregolare) è stata tradizionalmente (e come detto, lo sarà per il futuro) trattata davanti al giudice ordinario.

Veniva, in particolare, contestata una presunta violazione dei principi costituzionali in ordine alla presunzione di innocenza. Ma una tale presunzione non trova alcun riscontro nel processo tributario (e nell'ordinamento tributario in generale, dove, anzi, il punto di vista è esattamente contrario).
Veniva, inoltre, chiesta l'ammissione di prove per testi che confermassero quanto già indicato dai lavoratori irregolari (e rilasciato a verbale), in ordine alla data di effettiva assunzione a partire dalla quale far decorrere il dies a quo per il computo delle sanzioni.

Sia in ordine alla violazione dell'inesistente principio di presunzione di innocenza "tributaria", che in relazione alla data a partire dalla quale far decorrere il computo delle sanzioni da irrogare, è necessario partire dalla sentenza n. 144/2005 della Corte costituzionale.
Sulla base di tale sentenza, infatti, fino a prova contraria, resta valido il computo per la sanzione riferito al primo giorno dell'anno in cui la violazione è stata riscontrata, tranne che il datore di lavoro (irregolare) non fornisca una idonea prova contraria (che non è certo "diabolica", laddove, solo per fare un esempio, potrebbe infatti dimostrare che fino a una certa data, successiva al primo gennaio, il lavoratore trovato irregolare lavorava con regolare contratto presso un'altra azienda).

La Consulta, quindi, ha censurato soltanto la natura di presunzione assoluta della previsione normativa e ha, invece, confermato la legittimità costituzionale della norma e della sua previsione di una presunzione relativa.
I giudici hanno, infatti, soltanto censurato il fatto che l'articolo 3, comma 3, del Dl 12/2002, non ammettesse "la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell'anno in cui è stata contestata la violazione".

L'intervento della Corte costituzionale ha, quindi, soltanto spostato il campo di azione processuale sul lato prettamente probatorio, risolvendosi, in sostanza, le vicende impugnate a seconda che il ricorrente fornisca o meno la prova contraria alla, comunque operante, presunzione legale relativa a favore dell'Amministrazione.
Se, perciò, il ricorrente non indica alcuna prova contraria che possa smentire la presunzione legale relativa prevista dalla norma di riferimento, viene ex se confermata la legittimità della ripresa dell'ufficio.

Il concetto vigente nel processo tributario è esattamente contrario a quello preteso dal contribuente: non vi è nessuna "presunzione di innocenza", ma, semmai, una vera e propria presunzione di "colpevolezza", almeno fino a prova contraria (a seguito della pronuncia della Corte costituzionale).
Sulla base del medesimo principio, del resto, le dichiarazioni rese dagli stessi lavoratori trovati irregolari non possono certo essere considerate attendibili in ordine alla quantificazione del reale periodo di irregolarità.

Un conto è, infatti, non poter negare l'evidenza di essere stati colti "in flagrante" e ammettere, pertanto, di essere "irregolare"; un altro è affermare, per limitare i danni, di essere stati assunti solo pochi giorni prima l'accesso degli ispettori (e guarda caso, tutti i lavoratori irregolari dichiarano sempre di essere stati assunti qualche giorno prima della constatazione della loro irregolarità).
Far assurgere il contenuto di tali dichiarazioni a prova della effettiva quantificazione del periodo di irregolarità sarebbe veramente ingenuo, ancor prima che illecito.

Per tali motivi, la Ctp di Firenze ha sottolineato il dato di fatto per cui "le dichiarazioni dei dipendenti trovati al lavoro presso la ditta del ricorrente non sono attendibili perché prive di riscontri oggettivi, come innanzi indicati. E' lecito ritenere che le dichiarazioni in questione siano frutto di "suggerimenti" forniti dal ricorrente ai dipendenti".

Nel caso di specie, il contribuente pretendeva oltretutto che tali dichiarazioni fossero fornite di "fede privilegiata", cioè valessero fino a querela di falso, alla stessa stregua di quanto rilevato dai funzionari pubblici nel verbale di constatazione.
Una tale pretesa però si scontra con la immediata constatazione che la fede privilegiata (anche delle dichiarazioni dei funzionari pubblici) riguarda solo i fatti accertati e non le soggettive dichiarazioni.

Non a caso, la Commissione provinciale non ha detto che le dichiarazioni rese e riportate nel verbale non possono essere prese in considerazione, ma soltanto che esse sono "prive di riscontri oggettivi".
I verbalizzanti si devono, infatti, limitare a riportare quanto avviene in loro presenza, tra cui anche le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori e (solo) il fatto che queste dichiarazioni sono state eventualmente rese è allora coperto da fede privilegiata.
Se poi quanto dichiarato sia vero o no, questo deve essere provato dal contribuente. E laddove non lo faccia con "riscontri oggettivi", le dichiarazioni rese restano mere dichiarazioni soggettive, certo non in grado di superare la forza della presunzione legale "relativa" (fino a prova contraria) dettata dalla legge.

Per cui, nel caso di lavoratori trovati irregolari (fatto questo incontestabile fino a querela di falso), la data da prendere a riferimento per la comminazione della sanzione è il primo gennaio dell'anno in cui è stata riscontrata la violazione (fatto questo incontestabile fino a prova contraria).

Dichiarazioni assumibili solo in sede extraprocessuale e con valore di mero indizio
Alla luce di quanto fin qui evidenziato, ogni discussione in ordine alla ammissione delle prove testimoniali nel processo tributario perde allora, a ben vedere, di rilevanza, ma tuttavia preme sottolineare anche le seguenti considerazioni.
L'articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992 vieta espressamente l'assunzione in giudizio della prova testimoniale.

La Corte costituzionale, chiamata da più di un'ordinanza a pronunciarsi sulla legittimità del divieto di testimonianza, ha già avallato del resto la scelta del legislatore.
Già con la sentenza 21 gennaio 2000, n. 18, la Consulta ha, infatti, respinto le eccezioni sollevate in ordine a una tale presunta incostituzionalità, motivando la decisione con il fatto che il divieto della prova testimoniale riguarda tutte le parti processuali e, quindi, non compromette il principio di parità.
Le dichiarazioni rilasciate da terzi a organi verificatori (Guardia di finanza e funzionari dell'agenzia delle Entrate) o a organi ispettivi (ispettori del Lavoro e ispettori Inps) non rientrano del resto neppure nel genus della testimonianza.

La Cassazione, chiamata a giudicare sull'ammissibilità processuale delle dichiarazioni che gli organi dell'Amministrazione sono autorizzati a richiedere anche a privati nella fase amministrativa di accertamento, ne ha ritenuto legittima l'assunzione, considerandole rilevanti, ma proprio perché assunte in sede extraprocessuale e solo come elementi indiziari (vedi, tra le tante, sentenze 14427/1999 e 14774/2000).

Ecco, dunque, spiegata anche un'altra lucida argomentazione della più volte citata sentenza della Ctp di Firenze, la quale ha evidenziato che tali dichiarazioni non potevano essere rese in giudizio e, semmai, dovevano essere fornite "al competente ufficio al di fuori dell'ambito del ricorso alla Commissione Tributaria, presso la quale vige il divieto di cui all'art. 7 del Dlgs 546/92 di assumere prove testimoniali".
Solo laddove assunte in sede extraprocessuale e riportate in verbali dell'Amministrazione, le dichiarazioni testimoniali potranno essere quindi ammesse in giudizio, ma, comunque, non certo con valore (processuale) di testimonianza, ma di semplice indizio, in quanto tale liberamente valutabile dal giudice.

 
Giovambattista Palumbo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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