Costi portati in deduzione. Per il Fisco la prova rimane 'lettera' morta.


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Costi portati in deduzione. Per il Fisco la prova rimane 'lettera' morta.
Autore: Francesca La Face - aggiornato il 27/02/2007
N° doc. 2346
 
27 02 2007 - Edizione delle 14:00  
 
Sentenza n. 543 del 12 gennaio 2007

Costi portati in deduzione
Per il Fisco la prova rimane “lettera” morta

Una corrispondenza commerciale non basta a dimostrare l’esistenza e l’inerenza dell’onere
 
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 543 depositata il 12 gennaio 2007, ha affermato che il contribuente può dedurre soltanto i costi e gli altri oneri realmente sopportati che, in caso di contestazione da parte dell’ufficio, debbono essere da lui provati in modo certo e preciso.

La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva recuperato a tassazione dei costi non documentati.
Sia in primo che in secondo grado erano stati respinti i ricorsi di parte, in quanto la somma “contestata” non trovava riscontro in regolari fatture.

In sede di Cassazione la società ricorrente eccepisce:
  • violazione e falsa applicazione dell’articolo 109 del Dpr n. 917/1986, in quanto la mancanza di regolari fatture non poteva di per sé precludere la deducibilità della spesa
  • che la somma in questione aveva rappresentato il corrispettivo pagato a una cooperativa tedesca, alla quale la società ricorrente aveva conferito i propri prodotti per la vendita
  • che la posta disconosciuta trovava giustificazione in una “lettera” con cui la suddetta cooperativa comunicava alla società contribuente di avere trattenuto un importo pari al 14 per cento del giro di affari a titolo di rimborso spese, provvigioni e quant’altro, dovuto per la vendita dei beni a essa inviati
  • che in base alla legislazione tedesca la citata cooperativa non era tenuta a emettere fatture.

I giudici di legittimità, con la sentenza in rassegna, hanno rigettato il ricorso presentato dal contribuente, sostenendo che le spese sostenute "per essere deducibili devono risultare da elementi sufficientemente specifici ed attendibili".

La sentenza in esame si rivela coerente con l’uniformità d’indirizzo più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "a proposito di reddito d’impresa, spetta all’ufficio finanziario provare le componenti attive del maggior imponibile determinato, ma spetta al contribuente, il quale intenda contestare tale determinazione sostenendo, ad esempio, l’esistenza di costi maggiori di quelli considerati, documentare che essi esistono e sono inerenti, all’esercizio cui l’accertamento si riferisce" (Cassazione sentenze n. 9894/1997, n. 4857/2001, n. 16198/2001, n. 10802/2002, n. 3107/2006).

In buona sostanza, ricade sul contribuente l’onere di dimostrare le componenti negative del reddito, sia per quel concerne la loro “esistenza”, sia per quel che concerne le loro “inerenza”.
Proseguendo, poi, nelle sue argomentazioni, la Cassazione, diversamente da quanto asserito dalla società ricorrente, ha ritenuto corretta la valutazione in fatto dei giudici di appello, i quali avevano negato valore probatorio contabile alla “lettera” prodotta dal contribuente, ritenendola "documento privo di adeguate indicazioni e riferimenti".

A giudizio della Corte, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il contribuente che voglia lamentare "l’erroneo o incompleto apprezzamento di atti da parte del giudice a quo, non può limitarsi a dedurlo, ma deve riprodurre il contenuto dei documenti trascurati o mal valutati al fine di dimostrarne la effettiva rilevanza in causa e consentire, così, alla suprema Corte di rendersi conto, sulla sola base del ricorso, della bontà e della sufficienza dell’iter logico seguito nella sentenza impugnata".

Da ciò discende che, per potere censurare efficacemente la valutazione della Ctr, il contribuente avrebbe dovuto riportare nel ricorso oltre che il contenuto della “lettera” e dello statuto sociale della cooperativa straniera, anche l’ulteriore documentazione concernente l’invio dei prodotti per la vendita, e il saldo, ovvero avrebbe dovuto fornire la prova che l’operazione commerciale si era realmente realizzata e che i compensi per i servizi resi erano stati effettivamente sostenuti.

 
Francesca La Face

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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