Fondo enti locali, la 'tariffa' per accedere al contributo.


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Fondo enti locali, la 'tariffa' per accedere al contributo.
Autore: Luigi Marzullo - aggiornato il 09/10/2007
N° doc. 4281
09 10 2007 - Edizione delle 17:00  
 
Chiarimenti interpretativi

Fondo enti locali, la "tariffa" per accedere al contributo

L'erogazione compensativa dell'Iva sui servizi esternalizzati. Un riepilogo della normativa
 
La modifica apportata dalla Finanziaria 2007 alla disposizione sul fondo servizi esternalizzati, per i quali gli enti locali possono accedere al contributo compensativo dell'Iva, fornisce l'occasione per chiarire alcuni aspetti legati alla effettiva applicazione della normativa.

La Finanziaria 2000 ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2000, l'istituzione presso il ministero dell'Interno di un fondo alimentato con le risorse finanziarie costituite dall'entrate erariali derivanti dall'assoggettamento all'imposta sul valore aggiunto delle prestazioni di servizi non commerciali, affidate dagli enti locali territoriali a soggetti esterni all'Amministrazione.
Il regolamento attuativo (Dpr 33/2001) stabilisce che rientrano nell'ambito della distribuzione del fondo "solo i contratti aventi ad oggetto i servizi non commerciali, intendendosi per tali i servizi assoggettati all'imposta sul valore aggiunto che, ove prestati dagli enti locali, sarebbero considerati esenti ovvero non rientrerebbero nel campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto. Sono esclusi i servizi relativi al trasporto pubblico locale".

E' proprio sull'individuazione della tipologia di servizi che potevano fruire della suddetta contribuzione che sono sorte le maggiori problematiche interpretative, alimentate dalla formulazione letterale della norma, secondo la quale dovrebbero considerarsi rilevanti soltanto i contratti concernenti servizi non commerciali, ossia quelli, assoggettati a Iva, che se resi dagli enti locali direttamente sarebbero considerati esenti o esclusi dall'imposta.
Infatti, la disposizione sembra quasi contenere una contraddizione in termini, nel senso che se il servizio non è commerciale lo stesso non dovrebbe assoggettarsi a Iva; inoltre, tecnicamente un servizio esente ricomprende i requisiti che consentono di poter affermare che lo stesso rientra tra quelli aventi natura commerciale.

Al fine di apportare maggiore chiarezza, occorre innanzitutto analizzare la motivazione che ha animato il legislatore.
Da questo punto di vista, indubbiamente, l'intento è stato quello di evitare riflessi sulle tariffe derivanti dall'affidamento dei servizi pubblici a soggetti terzi.
Quindi, se questo è il presupposto alla base della disposizione, ed è inconfutabile che lo sia, la norma dovrebbe, conseguentemente, riguardare i servizi che, se resi direttamente dagli enti locali, non rientrerebbero nell'ambito applicativo dell'Iva (per carenza di uno dei presupposti impositivi) o sarebbero esenti, ai sensi dell'articolo 10 del Dpr 633/1972.
Infatti, soltanto in questi casi potrebbero verificarsi conseguenze negative in termini di traslazione di costi sulla tariffa del servizio pubblico, in quanto, se prima dell'affidamento il Comune gestiva direttamente il servizio che non rilevava agli effetti dell'Iva, o comunque ne era esente, l'utente non subiva alcun onere fiscale, in termini di imposta sul valore aggiunto.
Nell'eventualità, invece, che lo stesso venga esternalizzato, ossia affidato a terzi, risulta del tutto evidente che l'ente locale, a sua volta, sarebbe inciso dell'Iva, in qualità di acquirente del servizio di gestione svolto dal terzo; conseguentemente, con molta probabilità, il medesimo ente locale cercherebbe di traslare detto costo nella tariffa da applicare all'utente-cittadino.

Viceversa, se il servizio reso direttamente dall'ente fosse in ogni caso commerciale, l'utente sarebbe comunque inciso dell'onere tributario rappresentato dall'Iva; lo stesso ente, inoltre, svolgendo un'attività commerciale, potrebbe legittimamente esercitare il diritto di detrazione per l'Iva assolta nell'affidamento del servizio, con la tariffa finale sostenuta dall'utente che non dovrebbe subire alcuna conseguenza dall'esternalizzazione del servizio.

Pertanto, al di là della formulazione letterale, che potrebbe dare adito, come innanzi considerato, a qualche incertezza, la norma dovrebbe essere intesa in tale maniera.
Una tale interpretazione, che si impone da un punto di vista logico-sistematica, dovrebbe essere applicata di volta in volta in considerazione del servizio pubblico che viene esternalizzato.
In tale ottica, in via preliminare, non poteva essere individuato un elenco tassativo di servizi che potessero rientrare nella fruizione del fondo; infatti, in tal caso, avrebbe potuto verificarsi che determinati servizi non contemplati dall'elenco resi da alcuni enti locali potevano avere i requisiti per poter rientrare nella contribuzione.
Inoltre, in considerazione anche dalla vasta gamma di servizi che potenzialmente gli enti locali possono fornire, poteva effettivamente essere escluso qualche servizio non per una precisa ragione, ma unicamente per una semplice dimenticanza; quindi, sarebbe stato necessario aggiornare continuamente il medesimo elenco.
Infine, seppur la normativa istituiva del fondo non fa riferimento alcuno alla eventuale sussistenza di una tariffa da applicare all'utenza, risulta del tutto evidente che la stessa rappresenta un elemento ineludibile per la stessa applicazione della norma, in quanto una carenza farebbe venire meno la ragione stessa che ha indotto il legislatore a emanare la disposizione presente nella legge n. 488/1999.

In sostanza, al fine di individuare i servizi esternalizzati dagli enti locali che possono essere inseriti nella modulazione appositamente stabilita, da inviare al ministero dell'Interno entro il 31 marzo di ogni anno, occorre accertarsi che vengano soddisfatte congiuntamente le seguenti condizioni:
  • la sussistenza di una tariffa in capo all'utente finale
  • deve trattarsi di servizi che, se sono effettuati direttamente dagli enti, sono o esclusi dall'Iva o esenti, ai sensi dell'articolo 10 del Dpr 633/1972.

Con riferimento alla circostanza che debba comunque sussistere una tariffa, si è voluto probabilmente indicare che il servizio debba essere effettuato in via onerosa; conseguentemente, a fronte dello stesso può sussistere un canone, una tassa eccetera. Pertanto, l'indicazione della tariffa dovrebbe essere meramente indicativa.

A titolo esemplificativo, potrebbero essere ricompresi nella distribuzione del contributo previsto dal fondo l'esternalizzazione di servizi quali la gestione delle case di riposo, di asili nido, il servizio di accesso ai centri urbani dietro il pagamento di un ticket. Ne risulterebbero fuori altri quali l'erogazione di acqua (servizio comunque commerciale anche se reso dall'ente locale), la manutenzione dei semafori, la gestione del verde pubblico, l'illuminazione pubblica, l'affidamento di incarichi professionali per la redazione di progetti di opere pubbliche, la gestione delle paghe dei dipendenti (servizi, questi, per i quali non sussiste alcun rapporto oneroso con gli utenti).

Ritornando alla disposizione contenuta nel comma 771 della legge 296/2006, essa ha introdotto un'ulteriore problematica relativamente alla natura della stessa norma.
La disposizione ha previsto l'introduzione all'articolo 6, comma 3, della locuzione "per i quali è previsto il pagamento di una tariffa da parte degli utenti".
Sostanzialmente, il legislatore, al fine di eliminare eventuali incertezze che potevano sorgere, ha inteso espressamente prevedere la sussistenza di una specifica tariffa a fronte dei servizi forniti.
A mio parere, il legislatore ha inteso espressamente suffragare quanto poteva essere soltanto ipotizzabile; infatti, la sussistenza di una tariffa, o comunque di un rapporto oneroso con l'utenza, si imponeva di per sé, proprio perché il fondo nasce per evitare possibili ricadute in termini di riflessi sul costo dei servizi per l'esternalizzazione degli stessi. Maggiori costi che, conseguentemente, avrebbero potuti essere traslati nella somma finale ricadente sull'utente.

Invero, l'aggiunta ha generato l'insorgenza del dubbio circa l'eventuale valenza retroattiva, in quanto norma di natura interpretativa.
In tal caso, l'Amministrazione di competenza avrebbe potuto recuperare nei confronti degli enti locali i contributi da essa stessa versati a fronte di servizi che non potevano fruire del fondo.

Dalla formulazione letterale della norma saremmo indotti a ritenere che la stessa abbia natura innovativa e non interpretativa, per cui essa è entrata in vigore con il 1° gennaio 2007. Pertanto, non risulterebbe legittimo alcun recupero nei confronti degli enti locali che abbiano inavvertitamente inserito nella certificazione servizi che non potevano fruire della contribuzione, in quanto carente del presupposto oneroso innanzi considerato.

Infine, correttamente il legislatore ha ritenuto di prevedere nella norma contenuta nel regolamento di applicazione (articolo 2, comma 3, del Dpr 33/2001) che dovevano considerarsi esclusi dalla possibile fruizione dei contributi i servizi relativi al trasporto pubblico locale. Infatti, detti servizi sono oggettivamente rilevanti agli effetti dell'Iva, a prescindere dal soggetto che li rende. Inoltre, per i servizi di trasporto pubblico locale affidati sulla base di contratti di servizio, ai sensi del decreto legislativo 422/1997, è stata già prevista una contribuzione ad hoc dalla legge 472/1999, al fine di compensare l'assoggettamento a Iva delle prestazioni connesse a questi contratti da cui risulterebbero incisi gli enti concedenti i medesimi servizi (Regioni o atri enti locali), nella loro qualità di acquirenti del servizio di gestione del trasporto pubblico locale effettuato dalle varie imprese affidatarie.

 
Luigi Marzullo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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