Forum quadro VT: il ruolo dei Comuni nella lotta all'evasione.


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Forum quadro VT: il ruolo dei Comuni nella lotta all'evasione.
Autore: Agenzia delle Entrate-Fisco Oggi - aggiornato il 04/05/2006
N° doc. 1485
04 05 2006 - Edizione delle 15:30  
 
Forum quadro VT

Il ruolo dei Comuni nella lotta all'evasione

di Raffaello Lupi, ordinario di Diritto tributario, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Roma Tor Vergata


Premessa
L'ultima legge finanziaria ha proposto di coinvolgere nella lotta all'evasione fiscale i Comuni, attribuendo loro una parte del gettito recuperato. Per molti versi la proposta riprende, sensatamente, considerazioni diffuse tra economisti e tributaristi. Gli enti locali sono infatti "vicini" a molte forme di capacità economica "sfuggente", anche se non bisogna generalizzare, in quanto questo vale solo per attività fortemente visibili e ancorate al territorio, ad esempio locazioni immobiliari da privati, piccolo commercio e artigianato.

La misura prevista dalla Finanziaria 2006 è però prima di tutto insufficiente e macchinosa, proprio in quanto limitata alle maggiori imposte accertate. Queste ultime, in una fiscalità basata sull'autotassazione e sui controlli selettivi del fisco, sono infatti scarsamente rilevanti in termini di gettito, e hanno unicamente una funzione deterrente, di stimolo alla corretta autoliquidazione delle imposte. Già estrapolando i dati del gettito recuperato, pubblicati su questa stessa rivista da
Roberto Convenevole pochi giorni or sono, emerge l'insufficienza finanziaria della eventuale compartecipazione in esame. Se riportiamo su base annua i pur lusinghieri dati trimestrali di incassi da "lotta all'evasione" si arriva a circa un miliardo di euro. Una parte di questa somma è inerente ad attività che non hanno nulla a che vedere con i Comuni, ma anche ammettendo di condividere con essi tutta questa somma, saremmo nell'ordine di grandezza di 300 milioni, secondario rispetto alle necessità della finanza locale.

Inoltre, sarebbe un gettito macchinoso da acquisire, in quanto collegato ai tempi della gestione di procedure amministrative e contenziose spettanti all'Agenzia delle entrate, e non ai Comuni. Già si possono quindi intravedere le difficoltà di coordinamento e gli ingorghi amministrativi tra Comuni, uffici dell'Agenzia delle entrate, esattorie e contribuenti. Insomma, il gettito per i Comuni sarebbe "poco" e "complicato", anche se alcuni aspetti positivi di questa misura devono, come vedremo, essere valorizzati.

Le proposte di "Iva territoriale"
Il gettito necessario ai Comuni non può quindi che provenire dall'ordinario gettito "fisiologico", di tributi autoliquidati dai contribuenti. Casomai, è a questo gettito "da autoliquidazione spontanea" che può essere funzionalizzata la capacità accertativa comunale sui particolari settori che abbiamo indicato sopra.
In quest'ottica si inserisce l'idea di affiancare all'Iva un tributo comunale sui consumi, manifestazione di capacità economica fortemente ancorata al territorio. Se ne parlò già nell'ambito dei dibattiti che portarono all'istituzione dell'Irap, ma l'ipotesi di una "imposta sui consumi locali" fu abbandonata nella previsione che essa fosse contraria al divieto comunitario di istituire nuovi tributi sui consumi, in violazione del principio di esclusività dell'Iva. Suscita una certa amara ironia, a dieci anni di distanza, vedere che invece è stata proprio l'Irap a finire sotto la scure della Corte di giustizia europea. Per chiudere la parentesi, questo dimostra solo quanta confusione possa nascere quando si coinvolgono organismi europei in questioni sulle quali neppure noi, a livello nazionale, abbiamo le idee chiare.

Le considerazioni di
Convenevole e di Santoro , già pubblicate su FISCOoggi, confermano i pregi economici di una tassazione locale dei consumi; del resto, oggi la finanza tributaria comunale è eccessivamente sbilanciata sulla tassazione immobiliare (Ici / Tarsu) e sulle addizionali Ire.
Varrebbe quindi la pena almeno di esplorare i margini, a livello comunitario, per un tributo sui consumi locali, incardinato sulla struttura dell'Iva. Sarebbe troppo lungo in questa sede, oltre che prematuro, prevedere le posizioni degli organi comunitari su questo eventuale quesito.

Una possibile "variazione sul tema"
Vorrei invece formulare, con riferimento agli articoli di Convenevole e Santoro, alcune precisazioni relative all'inopportunità di operare indiscriminatamente su tutte le forme di consumo finale; questo anche in funzione di quel coinvolgimento dei Comuni nella lotta all'evasione, da cui avevo preso le mosse. Dobbiamo sempre ricordare, infatti, che i Comuni hanno dimensioni idonee a gestire solo tassazioni elementari, collegate al territorio (esempio classico, quella immobiliare). Sotto questo profilo, alcune attività di consumo finale hanno una dimensione decisamente sovracomunale, per non dire addirittura nazionale o europea. Pensiamo alla grande distribuzione, alla telefonia, alle infrastrutture, ai trasporti aerei nazionali. Nella grande distribuzione, infatti, le vendite sono "locali", ma la gestione degli acquisti è centralizzata ed estremamente complessa; per quanto riguarda telefonia e trasporti, invece, il radicamento locale è pressoché inesistente. Ma soprattutto, in questi settori, non si intravede quale contributo potrebbero portare i Comuni alla lotta all'evasione.

Sotto questo profilo, e nell'ipotesi in cui le obiezioni comunitarie a un tributo locale sui consumi fossero (come prevedo) difficili da superare, potrebbe essere esplorata l'idea di attribuire ai Comuni una parte del gettito Iva collegato alle piccole attività, sulle quali i Comuni possono cooperare efficacemente all'attività di controllo.
C'è infatti bisogno di un atteggiamento nuovo e pragmatico verso tutta una serie di piccoli commercianti e artigiani, che sfuggono dalla rete dei grandi sostituti di imposta (su questo concetto, in una certa misura non preciso dal punto di vista tecnico giuridico, ma concettualmente esaustivo, LUPI, Società, diritto e tributi, il Sole 24 ore, 2005, 131 ss: comunque, proprio grazie a questi soggetti, l'attuale fiscalità analitica riesce, nel bene e nel male, a funzionare). I piccoli commercianti, gli artigiani, una parte dei professionisti, sfuggono a questa ragnatela, e per essi è sempre attuale la teoria secondo cui le imposte vengono pagate a condizione che qualcuno le vada a chiedere, o che esistano altri sufficienti stimoli a farlo, come appunto le segnalazioni provenienti dai "grandi sostituti di imposta". Si innesca così un'evasione che non va criminalizzata, come se si trattasse di delinquenti, verso i quali far tintinnare le manette. Si tratta semplicemente di donne e uomini che pagano meno imposte perché hanno meno prospettive che qualcuno gliele vada a chiedere. E nessuno sarà mai in grado di chiedergliele con la precisione analitica con cui i grandi sostituti di imposta tassano o segnalano i loro dipendenti, i loro consumenti, i loro fornitori, i risparmiatori, eccetera. Piccolo commercio e artigianato, come tutti i "piccoli che operano con i piccoli" pagheranno sempre le imposte su redditi inferiori a quelli effettivi, con buona pace di tutto quello che si può scrivere sulla Gazzetta Ufficiale. La lotta all'evasione può contenere il fenomeno, mantenendo le dichiarazioni nei limiti della credibilità, della ragionevolezza e del buonsenso. L'esperienza ha dimostrato quanto sia inutile bandire una sorta di jihad contro l'evasione di elettricisti, baristi, parrucchieri, falegnami e simili. Per chi, essendo di piccole dimensioni, opera con consumatori finali, una rendita fiscale, rispetto a chi opera coi grandi sostituti di imposta, è inevitabile. Si tratta solo di mantenerla nei limiti della ragionevolezza, cioè della congruità esteriore con le modalità di esercizio dell'attività. Per ricreare una certa ragionevolezza nella tassazione degli autonomi, può servire, assieme agli studi di settore, alle associazioni di categoria, anche l'aiuto degli enti locali; questi ultimi effettivamente dispongono di una conoscenza del territorio che potrebbe contribuire a una stima ragionevole dell'ordina di grandezza di simili attività. Sarebbe quindi concepibile devolvere, al Comune in cui è esercitata l'attività di piccolo commercio o artigianato, una parte dell'Iva versata in autotassazione da queste categorie di contribuenti, individuati in base ai codici di attività.

Su questo presupposto potrebbe funzionare l'attribuzione ai Comuni di una parte, anche consistente, del gettito innescato da controlli di ragionevolezza dei ricavi dichiarati da queste tipologie di imprese sul loro territorio. In questi settori, del resto, non c'è bisogno di raffinata competenza giuridico-tributaria, né di conoscenze contabili o di bilancio, ma solo di buonsenso nella stima. Quel buonsenso necessario a comprendere la verosimiglianza dei ricavi dichiarati rispetto alle caratteristiche dell'attività svolta.

E' la via d'uscita di una fiscalità ingessata, dove ormai sull'emerso si è raschiato il fondo del barile, con grande insofferenza in chi è preso nella ragnatela dei grandi sostituti d'imposta, e paure, diffidenze e rancori in chi riesce, in buona misura, a restare sommerso.
Quest'ultimo sa bene, infatti, che le imposte si pagano quando qualcuno ce le chiede (o ci costringe indirettamente ad adempiere, mettendoci in una condizione di "civismo forzato"). Chi appartiene al popolo degli autonomi (o delle partite Iva) teme da decenni che questo qualcuno possa bussare alla porta con atteggiamenti vessatori o pretestuosi, a portargli via quella che lui ritiene una legittima e diffusa rendita fiscale. Potrebbe però esserci un atteggiamento diverso rispetto a controlli in cui, dando per scontata l'impossibilità di ricostruire il volume d'affari effettivo, si facesse presente l'irragionevolezza dei ricavi dichiarati, e se ne chiedesse un adeguamento alla decenza. E' un po' quello che si cerca di fare con gli studi di settore, strumento utile, ma ancora troppo rigido e soprattutto poco applicato rispetto al numero dei contribuenti. Questo numero elevatissimo impedisce all'Amministrazione fiscale centrale di esercitare un adeguato controllo del territorio, compito per il quale potrebbe essere aiutata proprio dagli enti locali.

Il filo conduttore di questo breve scritto è l'importanza, ai fini della tassazione, delle diverse modalità di circolazione giuridica e di organizzazione della capacità economica oggetto di tassazione. I punti di emersione, di visibilità, di controllabilità, della capacità economica, sono diversi da contribuente a contribuente, e anche nei confronti del singolo contribuente, possono coesistere redditi a diverso grado di volatilità (immobiliari, commerciali, finanziari, da pensione, eccetera). Su alcune di queste capacità economiche può essere efficace l'intervento di un "grande sostituto d'imposta" o di un determinato ente di controllo. E' una prospettiva di "segmentazione" e "frammentazione" della tassazione, con cui devono fare i conti non solo le imposte globali, personali e progressive, ma persino un tributo sul consumo, come l'imposta sul valore aggiunto.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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