Il condono fiscale della snc inchioda il socio per trasparenza


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Il condono fiscale della snc inchioda il socio per trasparenza
Autore: Fisco Oggi - Salvatore Servidio - aggiornato il 11/05/2009
N° doc. 10982

Il condono fiscale della snc inchioda il socio per "trasparenza"

Legittimo l'accertamento nei confronti del contribuente che non ha definito i redditi prodotti in forma associata
L'adesione al concordato di massa del 1994 da parte di una società di persone costituisce titolo per l'accertamento della maggiore imposta nei confronti dei soci che non hanno definito il reddito di partecipazione. Infatti, l'Irpef di ciascuno dei componenti della compagine sociale può essere rettificata dall'Amministrazione finanziaria, per "trasparenza", a seconda dei redditi di impresa risultati dalla definizione dell'annualità. Lo ha sancito la Cassazione con la sentenza 9137 del 17 aprile 2009.
I fatti
La vicenda processuale concerne l'impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l'ente impositore aveva rettificato il reddito di partecipazione di un contribuente/socio di una società di persone, la quale aveva aderito al "concordato di massa" disciplinato dal Dl 564/1994, addivenendo con l'ufficio alla determinazione di un maggior reddito d'impresa.
Più specificatamente, nell'opposizione veniva eccepito che la definizione concordata dell'imponibile operata dalla snc non sarebbe idonea a determinare una maggiore capacità contributiva dei soci, rilevando inoltre che il carattere innovativo dell'articolo 9-bis, comma 18, del Dl 79/1997 (il cui precedente comma 17 ha fatto salvi "gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15 dicembre 1995"), non era applicabile per le definizioni chiuse prima del 30 maggio 1997, data di entrata in vigore della predetta norma.
Il ricorso veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale e confermato dalla Ctr, la quale, nel respingere l'appello dell'ufficio, ha sostenuto che il potere di rettifica non poteva fondarsi soltanto sul richiamo dell'intervenuto concordato per adesione della società partecipata.
Avverso il giudizio d'appello l'Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione degli articoli 5 del Tuir e 3 del Dl 564/1994, e vizi di motivazione, in particolare sostenendo che:
  1. il reddito definito dalla società con il concordato di massa, ai fini Irpef, è imputato direttamente ai soci pro quota, secondo il principio della "trasparenza" cristallizzato nell'articolo 5 del Tuir, principio peraltro confermato dal comma 18 dell'articolo 9-bis del Dl 79/1997, che prevede l'imputazione ai soci pro quota del reddito risultante dall'accertamento con adesione presentato dalla società
  2. che il comma 17 dello stesso articolo 9-bis, facendo salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15 dicembre 1995, si limita a disporre che, in virtù della riapertura dei termini stabilita da detta norma, non è necessario procedere a una definizione integrativa, qualora, alla stregua di quanto disposto dal citato articolo, la definizione risulti più onerosa rispetto a quella effettuata in base al Dl 564/1994. In sostanza, non esclude affatto l'automatica e necessaria imputazione ai soci, che non abbiano operato il concordato, del maggior reddito di partecipazione scaturente dall'accertamento con adesione nei confronti della società.

Il quadro normativo
Prima di esaminare la decisione della Corte di cassazione, è necessario percorrere brevemente le vicende normative che hanno accompagnato il cosiddetto "concordato di massa", significando in merito che con l'articolo 9-bis, comma 12, del Dl 79/1997 sono stati riaperti - senza soluzione di continuità rispetto all'originaria scadenza - i termini anche per i soci titolari di quote di compartecipazione a società di persone che avevano aderito all'accertamento con adesione (articolo 3, Dl 564/1994) per gli anni pregressi. Ciò per consentire agli stessi di definire il proprio reddito di partecipazione mediante adesione concordataria.
Nel chiarire le nuove disposizioni, il ministero delle Finanze, con circolare 197/1997, ha spiegato che il comma 18 dell'articolo 9-bis sancisce il principio che l'intervenuta definizione del maggior reddito da parte della società costituisce "titolo giuridico" per l'accertamento parziale (articolo 41-bis del Dpr 600/1973) della quota di maggior reddito nei confronti dei singoli soci che non avevano definito i redditi prodotti in forma associata.
Quanto sopra trova conferma nel principio di "trasparenza" stabilito dall'articolo 5 del Tuir, secondo cui "i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili". In tal modo, l'operare del principio di trasparenza descrive una tecnica impositiva atta a riflettere direttamente in capo al socio la capacità contributiva della società personale. Soltanto questa viene dunque onerata degli obblighi di natura contabile-dichiarativa, di fatto "prodromici" a siffatta determinazione.
Pertanto, in caso di rettifica del reddito della società da parte dell'Amministrazione finanziaria, si ricollegano alla presunzione di effettiva percezione, sia la volontarietà della condotta del socio, consistente nel non avere incluso nella propria dichiarazione anche il reddito a lui derivato dalla partecipazione agli utili occultati dalla società, sia l'applicabilità della sanzione per l'infedeltà della dichiarazione annuale.
La sentenza
La Suprema corte ritiene fondato il ricorso dell'Amministrazione finanziaria confermando appieno le censure prospettate, e ribadisce, con la sentenza 9137 del 17 aprile, che l'intervenuta definizione dell'accertamento con adesione da parte di una società di persone, costituisce comunque titolo per l'accertamento nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata.
Tale considerazione deriva direttamente dal principio generale, valevole ai fini Irpef, secondo cui il reddito di partecipazione agli utili del socio di una società di persone costituisce reddito "proprio" del contribuente, al quale è imputato sulla base di presunzione di effettiva percezione, e non della società.
In particolare, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale della Cassazione (cfr sentenze 757/2002, 42817/2001, 5787/2000, 2136/1996, 2554/1997), la società di persone e i relativi soci hanno, infatti, soggettività tributaria autonoma, sicché ogni socio può presentare dichiarazioni integrative "indipendentemente" da quelle prodotte dalla società.
Pertanto, ai soci di una snc che ha definito il proprio reddito mediante accertamento con adesione deve essere attribuita, per la medesima annualità, la quota parte dell'imposta versata dalla società per la definizione della lite fiscale, in derivazione del citato principio di trasparenza fissato dall'articolo 5 del Tuir (cfr Cassazione, sentenze 26476/2008, 9854/2008, 17731/2006 e 13186/2000).
Né assume rilievo, in contrario, il comma 17 dell'articolo 9-bis, il quale, nel fare "salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15 dicembre 1995" ai sensi dell'articolo 3 del Dl 564/1994, ha come destinatari soltanto i soggetti (nella fattispecie, la società) che hanno provveduto a tale definizione (cfr Cassazione, sentenza 14418/2005).
Da tali postulati ne deriva, quindi, che, ove il socio non dichiari per la parte di sua spettanza il reddito societario nella misura risultante dalla rettifica operata dall'Amministrazione finanziaria a carico della società, è tenuto al pagamento del supplemento d'imposta (cfr Cassazione, sezioni unite, sentenza 125/1993 e sentenze 2699/2002, 9461/2002, 3620/2006).
Infine, nelle motivazioni della sentenza 9137/2009 viene confermato, sulla scorta del dato normativo contenuto nel comma 18 dell'articolo 9-bis, che l'intervenuta definizione di un maggior reddito da parte di una società di persone costituisce titolo per l'accertamento parziale nei confronti dei singoli soci che non hanno aderito alla definizione dei redditi prodotti in forma associata.
La sentenza, in conclusione, manifesta in tutta la sua incidenza il cosiddetto "diritto vivente" di cui è portatrice la giurisprudenza della Suprema corte, che dà continuità nel presente alle soluzioni interpretative adottate per evidenze passate.

Salvatore Servidio - pubblicato il 11/05/2009
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