Il decoro nel processo tributario: la cancellazione delle frasi offensive


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Il decoro nel processo tributario: la cancellazione delle frasi offensive
Autore: Fisco Oggi - Giovambattista Palumbo - aggiornato il 14/04/2009
N° doc. 10866

Il decoro nel processo tributario: la cancellazione delle frasi offensive

La stessa invocazione della lite temeraria oltre i limiti di legge può sfociare in espressioni "censurabili"
Il contenzioso tributario, come dice anche il termine, è spesso caratterizzato da un contesto di aspro "scontro" tra le parti in causa.
Tale scontro non deve comunque eccedere i limiti del decoro e del reciproco rispetto.
Alcuni limiti (e le relative conseguenze e rimedi in caso di loro superamento) sono del resto previsti direttamente dal codice di procedura civile, le cui regole si applicano, per rinvio generale, anche nel processo tributario.
In caso infatti di espressioni sconvenienti e offensive, ai sensi dell'articolo 89 cpc, la parte lesa da tali espressioni ne potrà richiedere alla Commissione tributaria la cancellazione.
La Commissione, laddove constati l'effettiva offensività e sconvenienza, ne disporrà la cancellazione con ordinanza, magari assegnando anche un'opportuna somma a titolo di risarcimento del danno, anche non patrimoniale (vedi comma 2 dell'articolo 89), in particolare laddove tali espressioni offensive neppure riguardino l'oggetto della causa.
Come affermato dalla Corte di cassazione, nella sentenza 5991/1979 e poi in quella a sezioni unite 529/1991, "il comportamento delle parti e dei difensori nel giudizio è disciplinato dalla legge (artt. 88 e 89 cpc) in quanto, nell'interesse superiore della giustizia e in quello particolare dei contendenti, la lite giudiziaria deve svolgersi correttamente con una condotta sempre ispirata a lealtà e probità nel reciproco rispetto. La violazione delle norme di comportamento dà al giudice il potere di disporre, anche di ufficio, la cancellazione delle espressioni sconvenienti e ingiuriose … ai sensi dell'art. 89 cpc il giudice con la sentenza che decide la causa" (e anche a prescindere dall'esito di merito della stessa) "può assegnare alla persona offesa dalle frasi offensive contenute negli scritti difensivi della controparte o del suo patrocinatore una somma titolo di risarcimento … A norma dell'art. 89 cpc le espressioni contenute negli scritti difensivi non debbono, nella forma e nel contenuto, eccedere i limiti di un civile esercizio del diritto di difesa e di critica, sicchè le manifestazioni passionali ed incomposte, caratterizzate dall'intento di offendere la controparte e i suoi difensori, costituendo abuso di quel diritto, debbono essere represse anche se abbiano attinenza con l'ggetto della causa …".
Inoltre, sempre la Corte suprema ribadisce come "Ai fini di un corretto esercizio della professione forense, l'avvocato deve elevarsi al di sopra delle parti e nel dare l'indispensabile contributo tecnico per la risoluzione della lite in favore del proprio cliente, deve mantenersi nei limiti invalicabili risultanti dal contemperamento della libertà di pensiero e delle esigenze di difesa con il necessario rispetto verso tutti i protagonisti del processo. Viene pertanto meno al dovere di correttezza professionale (art. 14 e 38 RDL 27 novembre 1933, n. 1578), oltre la violazione dell'art. 89 cpc, l'avvocato che in uno scritto difensivo si abbandoni ad espressioni dispregiative per la controparte …". In tal caso, dunque, sarà anche possibile la relativa segnalazione al competente Consiglio dell'Ordine per le eventuali sanzioni disciplinari.
E ancora "A norma dell'art. 89 cpc l'offesa all'onore e al decoro comporta, indipendentemente dalla possibilità o meno della cancellazione delle frasi offensive contenute negli atti difensivi, l'obbligo del risarcimento del danno non solo nell'ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l'esercizio della difesa, ma anche nell'ipotesi che esse si presentino come eccedenti le esigenze difensive …" (Cassazione, sentenza 2188/1992).
Anche la "scriminante" dell'esigenza difensiva cade dunque davanti al superamento dei limiti di tutela dell'onore e del decoro.
Al fine però di comprendere, in concreto, quando tali limiti si possono considerare effettivamente superati, è opportuno riportarsi ad alcuni casi concreti di espressioni ritenute sconvenienti e offensive e quindi cancellate con ordinanza della Corte.
La Cassazione ha per esempio disposto la cancellazione delle frasi "aberrazione logica prima che giuridica, farraginoso arbitrio e allucinazione tortuosa, insulto alla realtà storica e processuale" (sentenza 3326/1982); e ancora, "dopo un simile precedente consideriamo i nostri contraddittori oramai squalificati" (sentenza 4488/1981).
Se andiamo a vedere gli atti presenti nella maggior parte dei contenziosi attuali, queste frasi sono quasi "gentili" al confronto di ciò in cui è possibile oggi imbattersi.
Sarà anche che le suddette sentenze sono un po' datate e che, con il passare degli anni, i costumi e il concetto di decoro (compreso quello processuale) si sono modificati, ma dei limiti devono comunque essere sempre individuati.
La Suprema corte ha inoltre disposto la cancellazione delle parole "calunniosa e falsa", con le quali il difensore di una parte aveva definito la rappresentazione dei fatti svolta dal difensore della controparte, ritenendole ingiustificate e offensive, in quanto non limitantesi a negare la veridicità di determinati fatti, bensì attribuenti alla controparte lo scopo specifico di indicare un fatto non vero (sentenza 8722/1995).
Tale ultima circostanza (vista anche la non rarità di tali espressioni) può essere spunto di riflessione per altre considerazioni, anche in riferimento a un'altra fattispecie eventualmente collegata a quella sopra descritta.
Una delle parti in giudizio, infatti, potrebbe aver chiesto al giudice anche la condanna alla lite temeraria.
Tale istanza, seppure non frequente, può però rischiare di essere usata più per fini "retorici", come una sorta di rafforzamento delle proprie ragioni.
Come a dire: se è vero che le tesi avverse sono talmente inconsistenti da poter sfociare nella lite temeraria, allora, anche laddove il giudice ritenesse comunque di non condannare la controparte per lite temeraria, non ci può però essere dubbio in ordine alla legittimità delle pretese della parte che tale istanza ha presentato.
Tale strategia processuale, però, può avere conseguenze più deleterie dello scopo perseguito.
Anche l'istituto della lite temeraria, infatti, è normativamente disciplinato e la sua invocazione oltre i limiti previsti dalla norma può essa stessa sfociare in una di quelle frasi offensive di cui poter chiedere la cancellazione ex articolo 89 citato (laddove addirittura non si profilino eventuali conseguenze penali).
Ai sensi infatti dell'articolo 96 cpc, "se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza".
L'invocazione della lite temeraria, ex articolo 96 cpc, quindi, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte suprema, non può essere semplicemente asserita, ma "presuppone l'accertamento" (e dunque la prova) "sia dell'elemento soggettivo dell'illecito (mala fede o colpa grave), sia dell'elemento oggettivo (entità del danno sofferto)" (Cassazione, sentenza 12422/1995).
Laddove quindi la richiesta di lite temeraria fosse per esempio formulata contro l'ufficio, per un asserito atteggiamento doloso, prospettandosi in tal caso, in sostanza, un'accusa di abuso d'ufficio, si sarebbe ai limiti (e probabilmente oltre) della calunnia; con possibilità, quindi, anche di richiesta alla Commissione (questa volta da parte dell'ufficio) di valutare se sussistano gli estremi per la trasmissione degli atti alla competente Procura per l'accertamento di eventuali ipotesi di reato.
Le parole, soprattutto quando dette in un'aula giudiziaria, non possono essere "in libertà", ma devono sempre essere valutate in tutte le loro possibili conseguenze.
Sull'istituto "lite temeraria", pertanto, vi dovrebbe essere un invito a chiare lettere a "maneggiare con cautela".
Viste le conseguenze derivanti dal sollevare in giudizio accuse, eventualmente anche penalmente rilevanti, infondate, non è infatti possibile richiedere la lite temeraria senza fornire indicazioni in merito ad alcuno dei due elementi richiesti dalla norma per la sua sussistenza, ma, magari, solo sulla base di una asserita erroneità delle tesi giuridiche sostenute dalla parte avversa.
La stessa Corte di cassazione ha del resto già avuto modo di affermare che la richiesta di responsabilità aggravata "non può fondarsi sulla semplice prospettazione, ad opera della parte avversaria, di tesi giuridiche errate, non rappresentando le stesse un comportamento sleale e fraudolento atto ad ingannare chi è chiamato a giudicare" (sentenza 1545/1985).
E' chiaro, comunque, che tali derive sono patologiche e dovrebbero essere sempre evitate, sia per decoro professionale (di entrambe le parti), sia per consentire ai giudici di decidere le controversie con l'opportuna serenità.
E' anche evidente, però, che, laddove si verifichi un atteggiamento processualmente scorretto, tale scorrettezza non potrà essere ammessa, anche a tutela dell'onorabilità delle parti (e dell'istituzione pubblica, laddove la parte lesa sia l'Amministrazione).
Il solo modo per riportare la correttezza nel processo tributario è dunque quello di invocare l'applicazione delle leggi a tutela, appunto, del decoro e dell'onore.
 
Giovambattista Palumbo - pubblicato il 14/04/2009
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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