Il dividend washing (2).


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Il dividend washing (2).
Autore: Michele Andriola - aggiornato il 15/12/2005
N° doc. 1075
 
15 12 2005 - Edizione delle 13:00  
 
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Il dividend washing (2)

Il quadro sistematico di riferimento in vigenza dell'Irpeg
 
In vigenza dell'Irpeg - nonostante l'inserimento dei commi 6-bis e 7-bis nell'articolo 14 del previgente Tuir ad opera dell'articolo 7-bis, comma 1, lettere a) e b), del decreto legge 9 settembre 1992, n. 372, convertito dalla legge 5 novembre 1992, n. 429 - il legislatore non aveva scongiurato in toto la convenienza che i contribuenti trovavano a porre in essere tecniche di dividend washing, finalizzate al conseguimento di risparmi d'imposta.
La ragione di quanto appena affermato va ricercata nel presupposto strutturale su cui poggiava l'Irpeg e cioè il metodo del credito d'imposta (o imputation system), il quale, non garantendo il parallelismo tra regime impositivo dei dividendi e quello delle plusvalenze/minusvalenze, non era idoneo a scongiurare risparmi d'imposta conseguibili dai contribuenti.

Infatti, nonostante sia i dividendi che le plusvalenze fossero imponibili in capo ai soggetti rispettivamente percettori e realizzatori e, specularmente, le minusvalenze realizzate sulle partecipazioni fossero deducibili(2), nella logica strutturale sottostante all'Irpeg, i dividendi erano accompagnati dai cosiddetti basket A e B, cioè dai crediti d'imposta pieno e limitato, rispettivamente pari all'ammontare delle imposte sui redditi assolte dalla società che aveva prodotto gli utili e all'ammontare delle imposte sui redditi risparmiate grazie a provvedimenti agevolativi (ad esempio, la Dit).
Il che comportava che i dividendi erano imponibili solo qualora, dal loro concorso alla formazione del reddito complessivo del socio, fosse derivata un'imposta dovuta superiore all'ammontare del credito d'imposta ovvero qualora i dividendi fossero stati assoggettati a imposizione sostitutiva, la quale comportava la perdita dell'utilizzo del credito d'imposta sui dividendi o, infine, qualora i dividendi fossero stati distribuiti a soggetti residenti all'estero, circostanza, questa, che comportava la perdita dell'utilizzo del credito d'imposta sui dividendi, tranne per i residenti in Francia e nel Regno Unito, circostanza questa che induce i soggetti esteri a "localizzarsi" nei predetti Stati.

Dichiarata finalità del legislatore era l'attenuazione della doppia imposizione economica che i dividendi avrebbero subito: la prima volta in capo alla società che aveva prodotto gli utili e la seconda volta in capo al socio che avesse percepito i dividendi imponibili.
In tal modo, la partita con l'erario veniva chiusa in capo al socio e non in capo alla società partecipata che aveva distribuito gli utili. Infatti, l'operare del credito d'imposta sui dividendi (pieno e limitato) comportava che l'Irpeg funzionasse come una sorta di acconto dell'imposta che avrebbe assolto il socio a titolo definitivo al momento dell'incasso dei dividendi(3).

Viceversa, le plusvalenze rimanevano in ogni caso imponibili, seppure con differenti regimi impositivi (partecipazioni qualificate e non qualificate non relative all'impresa, partecipazioni relative all'impresa assoggettabili a imposizione ordinaria o sostitutiva, eccetera) e le minusvalenze erano normalmente deducibili dalla determinazione del reddito.
Di qui l'asimmetria tra regime impositivo dei dividendi e quello delle plusvalenze/minusvalenze su partecipazioni, asimmetria suscettibile di essere utilizzata dai contribuenti a fini di arbitraggio fiscale tra dividendi e plusvalenze, attuabile con la tecnica del dividend washing.

Ritornando al nostro semplice caso, proposto nell'intervento precedente, supponiamo che la società Omega avesse versato imposte sui redditi per 300 sull'utile lordo di 1.000 prodotto (Irpeg assunta, per semplicità, con aliquota del 30%), distribuendo un dividendo netto pari a 700, di cui 350 di spettanza del socio Beta. Si assume, per semplicità, l'assenza di obbligo di destinazione a riserva legale degli utili prodotti.
Ebbene, se Beta avesse ceduto a Gamma la sua quota di partecipazione nella società Omega al valore di 5.350, realizzando in tal modo una plusvalenza pari a 350, lo stesso sarebbe stato assoggettato a imposizione sul valore di 350.
Gamma incassava il dividendo di 350, accompagnato da un credito d'imposta pieno pari a 150, e retrocedeva le partecipazioni a Beta a un valore oscillante tra 4.850 e 5.000, con conseguente realizzo di una minusvalenza oscillante tra 500 e 350. L'esatto prezzo di retrocessione dipendeva dagli accordi intercorsi tra Beta e Gamma sulla ripartizione tra di loro del credito d'imposta sui dividendi.

In ogni caso, Gamma era messo nelle condizioni di procedere alla cosiddetta monetizzazione dell'Irpeg, in quanto, essendo i dividendi incassati compensati (in tutto o in parte) con la minusvalenza realizzata, lo stesso usufruiva di un credito d'imposta, il cui valore non poteva eccedere 150, spendibile per compensazioni, cessioni di eccedenze di imposta infragruppo, riporto a nuovo e richiesta di rimborso.
La necessità di accordi sulla "ripartizione" del credito d'imposta sui dividendi discendeva dalla circostanza di evitare che l'intero ammontare del predetto credito andasse a esclusivo beneficio di una delle due controparti contrattuali(4).
In tal modo, l'imposizione a titolo definitivo sugli utili prodotti dalla società Omega gravava su Beta, la quale - però - era obbligata ad assolvere le imposte... sulle plusvalenze realizzate.
La quota parte di credito d'imposta ancora utilizzabile da Gamma, non conglobata nel prezzo di retrocessione delle partecipazioni, era spendibile da Gamma con le modalità predette.
In sintesi, sugli utili di spettanza di Beta pari a 350, l'erario non incamerava a titolo definitivo l'Irpeg, provvisoriamente versata dalla società Omega pari a 150, ma l'Irpeg o l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze versata da Beta. Infatti, l'Irpeg era per intero o in quota parte trasformata da Gamma in credito d'imposta spendibile nei modi predetti.

Alla luce di quanto finora rilevato, due erano i fondamentali limiti strutturali dell'imputation system che caratterizzava l'Irpeg:
  1. la sua inidoneità a fronteggiare arbitraggi fiscali tra dividendi e plusvalenze, posti in essere dai contribuenti con un massiccio ricorso a tecniche di dividend washing (oltreché con un massiccio ricorso alle svalutazioni di partecipazioni, che evitavano gli atti di realizzo su partecipazioni)
  2. l'opacità dello stesso, la quale si manifestava ogniqualvolta il socio della società produttrice di utili fosse stato un altro soggetto passivo Irpeg.

Con riferimento al punto sub 1., ogniqualvolta il socio della società che avesse in distribuzione dividendi usufruisse di miti regimi impositivi sostitutivi sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni (ivi comprese eventuali rivalutazioni delle stesse) ovvero fosse residente all'estero, l'Erario incamerava tutt'al più l'ammontare dell'imposta sostitutiva assolta dal socio e l'Irpeg - con una mano - versata dalle società residenti sugli utili d'impresa prodotti era - con l'altra mano - spendibile dai soci nelle modalità menzionate (compensazione, cessione infragruppo, riporto a nuovo, rimborso) (5).
Con riferimento al punto sub 2., l'erario non incamerava dal socio a titolo definitivo alcuna imposta, e ciò in quanto l'Irpeg o l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze assolta dal socio-società di capitali o ente commerciale residente erano, a loro volta, accantonate nei basket del socio, pronte a essere rimesse in circolazione al momento della distribuzione dei dividendi da parte del socio.


2 - continua. La terza puntata sarà pubblicata lunedì 19; la prima è su FISCOoggi di martedì 13


NOTE:
(2) Così come deducibile era il costo sostenuto per l'acquisizione dell'usufrutto sulle partecipazioni, che, come si è detto nel precedente intervento, costituisce un istituto giuridico alternativo alla cessione e successiva retrocessione, in quanto garantisce il conseguimento dei medesimi risultati economici.

(3) Per meglio comprendere quanto finora affermato, si consideri il seguente caso:
- la società X produce utili lordi (che assumiamo pari al reddito imponibile) per: 1000
- la stessa subisce un'imposizione ai fini Irpeg con aliquota al 36% per: 360
- gli utili netti distribuibili ammonteranno perciò alla differenza tra 1000 e 360: 640
- Su tali utili netti distribuibili, la società X accantona un basket A pari al 56,25% di 640, cioè: 360
Si supponga, ora, che la società X distribuisca gli utili netti pari a 640 a un unico socio persona fisica, attribuendogli l'intero basket A pari a 360 e che il socio non possieda altri redditi imponibili né detrazioni e deduzioni.
- Il socio fa concorrere alla determinazione del suo reddito complessivo i dividendi percepiti per: 640
- aggiunge poi ai suoi redditi il basket A attribuitogli dalla società X per: 360
- e determina un reddito complessivo lordo pari alla somma tra i vari redditi e il basket A: 1000
- Su tale reddito applica l'Irpef con aliquota media del 40%, sopportando un carico impositivo di: 400
- L'Irpef dovuta sarà pari alla differenza tra l'Irpef liquidata e il credito d'imposta attribuitogli: 40
Come può notarsi, il soggetto passivo che, a titolo definitivo, risulta aver assolto le imposte sui redditi prodotti dalla società X è il socio, il quale ha dovuto versare un'ulteriore quota pari a 40, proprio perché la sua aliquota media è risultata il 40% e l'Irpeg provvisoriamente versata dalla società sui medesimi redditi era pari al 36%.
Si rilevi, inoltre, che qualora l'aliquota media Irpef del socio fosse stata inferiore al 36%, lo stesso avrebbe determinato un vero e proprio credito d'imposta nei confronti dell'erario, pari alla differenza tra basket A attribuitogli dalla società X e Irpef dovuta.
Infine, qualora il socio fosse stato residente in uno Stato estero (diverso dalla Francia e dal Regno Unito) o avesse potuto optare per un regime sostitutivo di imposizione dei dividendi percepiti, il basket A non sarebbe stato dallo stesso utilizzabile, in ossequio a quanto disposto dal previgente articolo 105, comma 5, del Tuir.

(4) Per meglio comprendere la "ripartizione" finanziaria del credito d'imposta sui dividendi tra Gamma e Beta, si consideri il seguente accordo:
Beta assoggetta a imposizione sostitutiva con aliquota del 19% la plusvalenza di 350 x 19% = 66,50
Gamma, non avendo altri redditi imponibili, determina un'Irpeg pari alla differenza tra:
dividendo incassato (350) + credito d'imposta sui dividendi (150) - minusvalenza realizzata.
Ebbene, se Beta e Gamma si accordano nel senso di tenere conto nella determinazione del prezzo di retrocessione dell'intero ammontare del credito d'imposta sui dividendi, il prezzo di retrocessione sarà pari a 4.850 (5350 - 350 - 150) e la minusvalenza sofferta ammonterà a 500 (5.350 prezzo di acquisto - 4.850 prezzo di retrocessione).
GAMMA procede alla determinazione dell'imposta dovuta nel seguente modo:
- Componenti positivi di reddito: dividendi incassati + credito d'imposta sui dividendi: 500
- Componenti negativi di reddito: minusvalenza sofferta: 500
- Reddito imponibile: zero
Credito d'imposta sui dividendi monetizzato spendibile: 150,00
Come può notarsi, in presenza di un accordo tra Beta e Gamma volto a traslare finanziariamente l'intero ammontare del credito d'imposta su Beta, nonostante Gamma benefici formalmente dell'intero ammontare del credito d'imposta sui dividendi, è Beta che si vede attribuire il relativo vantaggio, in quanto, non solo ottiene l'intera provvista finanziaria da Gamma per poter assolvere l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze realizzate, ma incamera altresì la differenza pari a 83,50 (150 - 66,50). Infatti, a fronte di un prezzo di vendita delle partecipazioni pari a 5.350 e a un prezzo di riacquisto pari a 4.850, Beta ottiene risorse finanziarie per 500, astrattamente imputabili per 350 al mancato dividendo che avrebbe percepito e per 150 al mancato credito d'imposta sui dividendi che gli sarebbe stato attribuito. Insomma, l'intero vantaggio dell'operazione ricade su Beta.
Se, viceversa, l'accordo tra Beta e Gamma esclude in toto la traslazione finanziaria dell'ammontare del credito d'imposta su Beta, il prezzo di retrocessione dovrà essere pari a 5.000 (5.350 - 350), con una minusvalenza sofferta da Gamma pari a 350. In tale ipotesi, è Gamma che beneficia dei vantaggi derivanti dall'intera operazione. Infatti, a fronte di un iniziale esborso finanziario di 5.350, Gamma introita: 5.000 a titolo di prezzo di retrocessione, 350 a titolo di dividendi e 115 a titolo di credito d'imposta spendibile, con un surplus finanziario pari a 115.
Il credito d'imposta spendibile pari a 115 è determinato nel seguente modo: reddito imponibile pari a 150 (500 di dividendi+basket A - 350 di minusvalenza), su cui è liquidata un'Irpeg assunta con aliquota al 30% pari a 45. Di conseguenza, il basket A monetizzabile è pari a 115 (150 - 45).
Come può notarsi, in presenza di un accordo tra Beta e Gamma volto a non traslare finanziariamente l'ammontare del credito d'imposta su Beta, Gamma beneficia di parte del credito d'imposta sui dividendi e Beta ottiene solo risorse liquide per 350 (5.350 di prezzo di vendita - 5.000 di prezzo di retrocessione delle partecipazioni), in parte utilizzabili per pagare l'imposta sostitutiva di 66,50.
Tale accordo è indubbiamente sconveniente per Beta, la quale, in assenza dell'operazione di dividend washing, avrebbe incassato il dividendo per 350 più il basket A per 150 e, in assenza di altri componenti positivi e negativi di reddito, avrebbe comunque introitato 350 di risorse finanziarie, fermo restando il diritto all'utilizzo del basket A.
A conclusione, due sono i fondamentali aspetti che vanno evidenziati:
1. il primo è che - conformemente alla tecnica del dividend washing - gli utili prodotti dalla società Omega, provvisoriamente assoggettati dalla stessa a imposizione ai fini Irpeg con aliquota del 30%, risultano assoggettati ad imposizione... sub specie di plusvalenza
2. il secondo è che la possibilità di assoggettare la plusvalenza ad aliquota del 19% comporta la convenienza a un arbitraggio fiscale tra plusvalenze e dividendi.

(5) Va, comunque, evidenziato che gli arbitraggi fiscali da parte di soggetti residenti all'estero e privi di stabile organizzazione in Italia erano contrastabili con il ricorso al comma 7-bis del previgente articolo 14 del Tuir, ai sensi del quale: "Le disposizioni del presente articolo non si applicano per gli utili percepiti dall'usufruttuario allorché la costituzione o la cessione del diritto di usufrutto sono state poste in essere da soggetti non residenti, privi nel territorio dello Stato di una stabile organizzazione".
Tuttavia, ogniqualvolta il soggetto estero avesse fatto ricorso alla differente modalità tecnica della cessione delle partecipazioni seguita dalla successiva retrocessione, al fine di ottenere il medesimo arbitraggio fiscale, tale disposizione normativa avrebbe dovuto costituire il divieto aggirato dal contribuente suscettibile di legittimare l'amministrazione finanziaria a fare ricorso all'articolo 37-bis del Dpr n. 600 del 1973. Tuttavia, non si riscontrano casi giurisprudenziali sul punto.

 
Michele Andriola

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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