Il giudice deve interrogare le banche dati.


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Il giudice deve interrogare le banche dati.
Autore: Angelina Iannaccone - aggiornato il 13/07/2007
N° doc. 3672
13 07 2007 - Edizione delle 16:30  
 
Sentenza n. 14011 del 15 giugno 2007

Il giudice deve interrogare le banche dati

Va verificato, dietro input delle parti, se altri ricorsi su questioni identiche o tra le stesse parti sono stati già decisi, dando vita a un giudicato esterno significativo nella vertenza in esame
 
L’esistenza di un giudicato esterno è rilevabile d’ufficio dal giudice, in quanto il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma corrisponde a un preciso interesse pubblico, unitamente al principio del ne bis in idem, consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche. Il giudice tributario, quindi, ha il dovere di consultare le banche dati interne, se sollecitato da indicazioni contenute negli scritti difensivi delle parti, al fine di verificare se si sia formato un giudicato esterno rilevante nella controversia sottoposta al suo esame.

Con tale pronuncia (sentenza n. 14011 del 15 giugno 2007), la Corte di cassazione, applicando la regola del giudicato esterno, sancita dalle Sezioni unite (sentenza n. 13916 del 16 giugno 2006), ha risolto l’annosa questione, relativa al rapporto processuale, tra la lite promossa dalla società, a seguito di accertamento del maggior reddito Irpeg, e quella promossa dal socio, per il conseguente accertamento di un maggior reddito di partecipazione ai fini Irpef.

L’applicazione ufficiosa del giudicato nel processo tributario
La controversia, sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità, trae origine da una peculiare vicenda.
L’Amministrazione finanziaria, a seguito di una rettifica della dichiarazione dei redditi di una società in nome collettivo, aveva provveduto ad accertare un maggior reddito di partecipazione dei soci, in relazione agli anni d’imposta 1988 e 1989.
I soci proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale, deducendo che la società aveva impugnato l’avviso di rettifica, relativo alla propria dichiarazione, risultando vittoriosa.

L’Amministrazione finanziaria, rimasta soccombente nei primi due gradi di giudizio, proponeva ricorso in cassazione.
La Suprema corte, con la pronuncia in esame, ha confermato la decisione di secondo grado, anche se in ragione di una diversa motivazione.
I giudici di legittimità, infatti, hanno fondato la loro decisione sulla constatazione, rilevata d’ufficio, che il giudizio riguardante la società si era già concluso con una sentenza passata in giudicato.
L’accertamento del giudicato, osserva la Cassazione, "non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata".

Conseguentemente, spiegano i giudici di piazza Cavour, il giudice ha il dovere di consultare le banche dati interne, al fine di verificare, dietro l’input costituito dagli scritti difensivi delle parti, "se altri ricorsi, che abbiano posto questioni identiche o tra le stesse parti, o, anche, tra parti diverse (ma conosciute o conoscibili alle parti litiganti), e aventi carattere di antecedente logico-giuridico pregiudicante la questione oggetto d’esame, siano stati già esaminati e decisi e" se comunque tali decisioni abbiano portato alla formazione della "regola iuris, sulla base della formazione di un giudicato, esterno ma rilevante, perché pregiudiziale nella vertenza esaminata".

Sulla base di tali importanti precisazioni, la Suprema corte è passata a risolvere la controversia sottoposta alla sua attenzione. I giudici di legittimità, dopo aver rilevato in via ufficiosa l’esistenza di una pronuncia definitiva, emanata dalla medesima Cassazione, che aveva accolto il ricorso della società, hanno statuito che la regula iuris, risultante da tale giudicato "comporta, di riflesso, per il principio di trasparenza, anche il venir meno della legittimità dell’accertamento del reddito di partecipazione del socio" sussistendo tra il maggior reddito di partecipazione del socio e quello della società "un rapporto di consequenzialità necessaria".

La decisione in esame presenta il lodevole pregio di aver riconosciuto l’estensione dell’efficacia del giudicato nei confronti di soggetti terzi titolari di rapporti giuridici, legati da un vincolo di pregiudizialità e dipendenza, rispetto a quelli accertati in via definitiva. Ciò comporta che l’accertamento definitivo della lite promossa dalla società fa stato, cioè produce effetti giuridici di definizione della res controversa, anche nella lite promossa dal socio.

Il riconoscimento del vincolo del giudicato esterno anche in questi ipotesi viene a costituire, a ben vedere, una radicale evoluzione nell’attuale panorama giurisprudenziale.
Infatti, l’orientamento giurisprudenziale sin qui prevalente ha riconosciuto, e riconosce tuttora, piena autonomia al processo instaurato dal socio, rispetto a quello instaurato dalla società, pur sussistendo un’evidente connessione tra la determinazione del reddito della società e quello imputato in capo al socio. Si è affermato, a tal riguardo, che "l’indipendenza dei due processi impone che la sentenza pronunciata nel giudizio concernente il reddito del socio, pur se legata da un nesso di consequenzialità necessaria a quella inerente al ricorso proposto dalla società, contenga tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo ed ai motivi in diritto e in fatto della decisione, senza che il giudice possa limitarsi ad un rinvio alla motivazione della sentenza relativa alla società" (Corte di cassazione, sentenza n. 11167/2006; in senso analogo, sentenza n. 19606/2006).
Appare evidente che, ora, sulla base della presente pronuncia, si profila necessario procedere a un ripensamento dell’attuale orientamento, in nome dei principi di certezza del diritto e di coerenza dei giudicati.

 
Angelina Iannaccone
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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