Il recepimento delle direttive sul market abuse: riflessi penali, amministrativi e parapenali (4).


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Il recepimento delle direttive sul market abuse: riflessi penali, amministrativi e parapenali (4).
Autore: Federica Rachele Badano - aggiornato il 08/06/2006
N° doc. 1578
08 06 2006 - Edizione delle 15:40  
 
Nella legge comunitaria 2004

Il recepimento delle direttive sul market abuse:
riflessi penali, amministrativi e parapenali (4)

Equiparazione del tentativo alla consumazione nell'abuso amministrativo. Abusi di mercato e Dlgs 231/01 Modelli di organizzazione e gestione. La responsabilità patrimoniale per il pagamento delle sanzioni
 
Cenni procedurali. L'equiparazione del tentativo alla consumazione nell'abuso amministrativo
Gli aspetti di novità in tema di sanzioni amministrative introdotti nel Tuf dalla legge comunitaria 2004 non sono certo esauriti. Dal punto di vista procedurale, ad esempio, sono previsti due distinti iter per l'irrogazione delle sanzioni amministrative: uno dall'articolo 187-septies, per l'abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato, e uno dall'articolo 195(1), per le altre sanzioni amministrative.
A fattor comune entrambe le norme attribuiscono direttamente alla Consob e alla Banca d'Italia il potere di irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie, innovando rispetto alla normativa previgente che attribuiva tale potere al ministero dell'Economia, su proposta delle due autorità indipendenti. Tuttavia, è inspiegabile come la maggiore gravità delle sanzioni amministrative pecuniarie del titolo I-bis possa giustificare il richiamo dell'articolo 23 della legge 689/1981 (in materia di giudizio di opposizione) solo per il market abuse e che, conseguentemente, solo per tali ipotesi di illecito, il giudice disponga dei poteri di acquisizione probatoria indicati nel sesto comma dello stesso articolo 23(2). Completa la "personalizzazione" delle procedure l'articolo 196, con correttivi e integrazioni nel caso delle sanzioni applicabili ai promotori finanziari.

Va ora richiamata l'attenzione su un aspetto di portata apparentemente circoscritta, ma in realtà assai rilevante sotto il profilo tecnico e sistematico: in base al comma 6 dell'articolo 187-bis, nelle ipotesi amministrative di abuso di informazioni privilegiate "il tentativo è equiparato alla consumazione". L'articolo 187-bis rappresenta pertanto un elemento di anomalia rispetto al principio generale per il quale il tentativo è configurabile solo per i delitti e non è previsto nelle contravvenzioni e neppure negli illeciti amministrativi.
Peraltro, occorre ricordare come il principale caso di equiparazione del tentativo alla consumazione sia rappresentato da quello, storico, del contrabbando, equiparazione poi estesa ai reati valutari negli anni '70 in conseguenza dell'emergenza per l'esodo dei capitali all'estero(3). Solo la depenalizzazione di alcune figure di contrabbando(4) e delle violazioni valutarie(5) avrebbe determinato l'automatica introduzione dell'istituto dell'equiparazione nell'ambito delle violazioni amministrative, e della presenza di una ulteriore deroga a questo principio generale in materia di illecito amministrativo non è dato rinvenire nessuna giustificazione.
Questa eccezione appare poi irrazionale anche all'interno della nuova normativa, atteso che tale equiparazione non opera per gli illeciti amministrativi di manipolazione del mercato (successivo articolo 187-ter) nonostante risulti evidente che, per l'entità della sanzione prevista, essi siano considerati di maggiore gravità rispetto agli illeciti di cui al predetto articolo 187-bis.

Gli abusi di mercato e il decreto legislativo 231 del 2001
Con la "legge comunitaria", finalmente la nostra legislazione si è allineata a quella dei Paesi più avanzati, e il market abuse non viene concepito esclusivamente in ambito penale, ma risulta organicamente strutturato secondo una scala sanzionatoria con livelli adeguatamente diversificati. Il terzo comma dell'articolo 9 della legge 62/2005 completa gli strumenti repressivi inserendo, dopo l'articolo 25-quinquies del Dlgs 231/2001, l'articolo 25-sexies (Abusi di mercato): "1. In relazione ai reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti dalla parte V, titolo I-bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote. 2. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall'ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto".

L'effetto innovativo in tema di responsabilità della persona giuridica dell'articolo 9 della legge comunitaria 2004 non si esaurisce così con l'introduzione dell'originale articolo 187-quinquies, che prevede il pagamento di una somma pari alla sanzione pecuniaria irrogata a soggetti "apicali" o "subordinati" resisi responsabili di una violazione amministrativa di market abuse, ma si estende alla possibilità di imputare alla persona giuridica i delitti di manipolazione del mercato e di abuso di informazioni privilegiate.
Il Dlgs 231/2001 ha introdotto nel panorama legislativo nazionale un innovativo regime di responsabilità per gli enti forniti di personalità giuridica e per le società e associazioni anche prive di personalità giuridica(6). Esso riguarda alcuni reati commessi, nell'interesse o vantaggio degli enti, da persone che all'interno degli stessi rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, anche di una unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, o che esercitano di fatto il controllo e la gestione degli enti (soggetti "apicali"); i reati possono essere commessi anche da individui sottoposti alla loro direzione o vigilanza (soggetti "subordinati").

Il sistema, preventivo oltre che sanzionatorio, prevede per l'ente una forma di responsabilità distinta da quella dell'individuo, che ha materialmente realizzato la condotta e che funzionalmente è legato al soggetto collettivo. E' però necessario, come accennato, che la persona fisica abbia agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente(7): il legislatore ha così esteso la responsabilità alle persone giuridiche allo scopo di rendere partecipi della sanzione di taluni illeciti penali, non solidalmente ma per autonoma responsabilità, i soggetti collettivi che dalla commissione del reato si avvantaggiano.
La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche non si applica con criterio di generalità ma solo ai reati specificatamente indicati nel Dlgs n. 231 o in base a disposizioni che espressamente facciano rimando a esso.

Negli anni, l'evoluzione normativa ha portato ad accrescere la lista di reati, rappresentata a suo tempo dalle originarie ipotesi di indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico, concussione e corruzione; in seguito, a motivo dell'introduzione dell'euro, è stata ricompresa la falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori di bollo. La riforma del diritto societario (Dlgs 61/2002) ha esteso la responsabilità anche ai reati societari. La recrudescenza dei fenomeni della criminalità e del terrorismo internazionale hanno poi imposto l'adozione di strumenti che superassero anche lo schermo societario: sono così rientrati nel Dlgs n. 231 i delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico e i reati contro la personalità individuale. L'ultima estensione in ordine di tempo è dettata dalla recentissima legge 16 marzo 2006, n. 146, che ha ampliato l'ambito di operatività della norma a una nutrita serie di reati, ove sussiste il carattere di transnazionalità della condotta delittuosa in materia di crimine organizzato.

L'armamentario sanzionatorio dell'articolo 9 del Dlgs 231/2001 individua quattro tipologie di sanzioni (pecuniarie, interdittive, confisca, pubblicazione della sentenza) applicabili in linea generale agli illeciti dipendenti da reato. Le più pesanti appaiono quelle interdittive (interdizione dall'esercizio dell'attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione, esclusione o revoca di agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, divieto di pubblicizzare beni e servizi) anche se, analogamente alla materia dei rati societari (cui fa rinvio l'articolo 25-ter), l'articolo 25-sexies non prevede - neppure in via cautelare - sanzioni interdittive.
Quest'ultima norma prevede la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote a carico degli enti per i delitti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato (articoli 184 e 185 del Tuf). Il giudice determina il valore da attribuire alla singola quota, tenendo conto delle condizioni patrimoniali ed economiche della persona giuridica; a sua volta, la quantificazione del numero delle quote è in funzione della gravità del fatto. Poiché la norma non consente nei casi di market abuse l'applicazione delle severe sanzioni interdittive, il giudice può comunque aumentare la sanzione fino a dieci volte il prodotto o profitto derivante dalla commissione del reato, se di rilevante entità. La differenza è notevole rispetto a tutte le altre ipotesi di responsabilità ex Dlgs 231, nelle quali l'aumento della pena pecuniaria, autonomamente determinato, oscilla da un minimo a un massimo ovvero viene fissato dalla norma in relazione alla sanzione per l'ipotesi-base, ma è sempre espresso in quote.

Modelli di organizzazione e gestione
A somiglianza dell'articolo 187-quinquies del Tuf, anche nel caso dell'articolo 25-sexies del Dlgs 231/2001 l'applicazione nei confronti degli enti delle sanzioni previste non ha luogo qualora sia stato adottato da parte dell'organo dirigente dell'ente, prima della commissione del fatto(8), un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire illeciti della specie di quello verificatosi. Persone giuridiche, società e associazioni anche prive di personalità giuridica, dopo avere adottato tali modelli, devono individuare i comparti aziendali ove più facilmente possono verificarsi i reati presupposto per l'applicazione del Dlgs 231.
I modelli devono essere costantemente rivisti affinché si mantengano adeguati a evitare la commissione dei reati e il compito di vigilare sul loro funzionamento e sulla loro osservanza deve essere assegnato a una struttura interna, caratterizzata da autonomia nel controllo e nell'iniziativa. Nel caso delle realtà di minore dimensione, la funzione di vigilanza può essere direttamente attuata dall'organo dirigente; inoltre, chi ha commesso il reato deve avere agito con fraudolenta elusione dei modelli. In ogni caso, la vigilanza dell'organismo di controllo non può essere omessa o insufficiente, pena la non operatività dell'esimente.

La responsabilità patrimoniale per il pagamento delle sanzioni
L'articolo 195, comma 9, del Tuf prevede per le società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni la responsabilità solidale del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità. Il provvedimento di applicazione delle sanzioni è infatti pubblicato per estratto nel Bollettino della Banca d'Italia o della Consob. La Banca d'Italia o la Consob, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, possono stabilire modalità ulteriori per dare pubblicità al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell'autore della violazione. Società ed enti sono tenuti a esercitare il diritto di regresso verso i responsabili. L'articolo 197 c.p. prevede poi per le persone giuridiche una obbligazione civile per il pagamento delle multe e delle ammende, qualora sia pronunciata condanna contro chi ne abbia la rappresentanza o l'amministrazione, o sia con essi in rapporto di dipendenza, che questi sia insolvibile e che si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso nell'interesse della persona giuridica. Dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria per responsabilità amministrativa da reato, al contrario, risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio o con il fondo comune, ai sensi dell'articolo 27 del Dlgs 231.


4 - fine. Le prime tre puntate sono state pubblicate nei giorni 5, 6 e 7 giugno


NOTE:
1) Procedura sanzionatoria 1. Salvo quanto previsto dall'articolo 196, le sanzioni amministrative previste nel presente titolo sono applicate dalla Banca d'Italia o dalla CONSOB, secondo le rispettive competenze, con provvedimento motivato, previa contestazione degli addebiti agli interessati e valutate le deduzioni dagli stessi presentate nei successivi trenta giorni. 2. Il procedimento sanzionatorio è retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. 3. Il provvedimento di applicazione delle sanzioni è pubblicato per estratto nel Bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca d'Italia o la CONSOB, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, possono stabilire modalità ulteriori per dare pubblicità al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell'autore della violazione. 4. Avverso il provvedimento di applicazione delle sanzioni previste dal presente titolo è ammessa opposizione alla corte d'appello del luogo in cui ha sede la società o l'ente cui appartiene l'autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, del luogo in cui la violazione è stata commessa. L'opposizione deve essere notificata all'Autorità che ha adottato il provvedimento entro trenta giorni dalla sua comunicazione e deve essere depositata presso la cancelleria della corte d'appello entro trenta giorni dalla notifica. 5. L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento. La corte d'appello, se ricorrono gravi motivi, può disporre la sospensione con decreto motivato. 6. La corte d'appello, su istanza delle parti, può fissare termini per la presentazione di memorie e documenti, nonché consentire l'audizione anche personale delle parti. 7. La corte d'appello decide sull'opposizione in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato. 8. Copia del decreto e' trasmessa a cura della cancelleria della corte d'appello all'Autorità che ha adottato il provvedimento ai fini delle pubblicazione, per estratto, nel Bollettino di quest'ultima. 9. Le società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni rispondono, in solido con questi, del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità previste dal secondo periodo del comma 3 e sono tenuti ad esercitare il diritto di regresso verso i responsabili.

2) Nel corso del giudizio il giudice dispone, anche d'ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari e può disporre la citazione di testimoni anche senza la formulazione di capitoli.

3) Della materia valutaria sembra essersi dimenticato il presidente relatore nelle "Osservazioni del Senato sul recepimento della direttiva market abuse", citata in precedenza.

4) Depenalizzazione del reato di contrabbando doganale - legge delega 25 giugno 1999, n. 205, e Dlgs di attuazione della delega 30 dicembre 1999, n. 507. Non del tutto pacifica può apparire l'assimilazione del tentativo alla consumazione nel contrabbando doganale depenalizzato: l'articolo 293 del Testo unico delle leggi doganali, norma di equiparazione, con l'uso dei termini "delitto" e "reato" sembra infatti fare riferimento esclusivo al delitto e non, più genericamente, a qualsiasi violazione, anche amministrativa, di contrabbando. Di converso, si potrebbe ritenere che l'articolo 295-bis (norma depenalizzatrice) richiami espressamente non l'articolo 293 ma altri (282-283-284-285-286-287-288-289-290-291-292-294), non perché lo stesso articolo 293 non sia applicabile nel campo amministrativo, ma perché quelle espressamente richiamate, e non altre, sono le norme che effettivamente fissano le fattispecie per le quali opera la depenalizzazione e il minimo e il massimo della pena comminabile. L'articolo 293 sarebbe pertanto norma di principio che assimilerebbe il tentativo alla consumazione, ma non stabilirebbe pene, se non per relationem con quelle delle disposizioni citate. Non era quindi necessario che il legislatore richiamasse nel 295-bis il 293, atteso che il 295-bis precisa che "si applica, in luogo della pena stabilita dai medesimi articoli, la sanzione amministrativa ....". Da citare l'intervento di Oliviero Diliberto sull'argomento della depenalizzazione (
http://www.gdf.it), col quale si ribadisce che, nonostante una prima proposta di abrogazione, si è ritenuto necessario mantenere in vigore l'articolo 293 Tuld, attesa anche la difficoltà di distinguere il contrabbando tentato dal consumato (questione di sfumature, insomma...). E proprio per superare difficoltà applicative in termini di tentativo, il legislatore penale, ad esempio nelle ipotesi di frodi comunitarie agricole, avrebbe previsto figure di mera condotta. Il reato speciale sorge così solo quando il soggetto attivo si limita all'esposizione di dati e notizie falsi, e non anche quando, oltre alle false dichiarazioni, utilizza artifici e/o raggiri di altra natura, che integrano invece il delitto codicistico di truffa comunitaria. Analoga considerazione può farsi così per le fattispecie amministrative di contrabbando doganale, che si realizzano in molti casi con la semplice condotta, rendendo infrequenti se non addirittura difficilmente ipotizzabili i casi di tentativo di contrabbando.

5) Per le violazioni amministrative alle disposizioni valutarie l'equiparazione del tentativo alla consumazione è specificatamente disposta dal Testo unico delle norme in materia valutaria, articolo 22, comma 3, del Dpr 31 marzo 1988, n. 148.

6) Non si applica allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

7) Per tale motivo l'articolo 5 del Dlgs 231/2001 richiama l'interesse e il vantaggio a favore dell'ente come elementi di imputazione. Secondo M.R. Sancilio ("Market Abuse: novità in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, cit."), "con il primo criterio si deve valutare la sussistenza di un interesse a favore dell'azienda nel compimento dell'atto illecito; con il secondo si deve valutare se il comportamento illecito abbia determinato un vantaggio per l'azienda. Il criterio dell'interesse sembra comunque prevalere su quello del vantaggio dalla lettura del secondo comma del citato art. 5, secondo il quale l'ente non risponde se il soggetto abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. Infatti la responsabilità a carico dell'ente sorge, non soltanto allorché il comportamento illecito abbia determinato un vantaggio, patrimoniale o meno, per l'ente medesimo, ma anche nell'ipotesi in cui, pur in assenza di tale concreto risultato, il fatto-reato trovi ragione nell'interesse dell'ente".

8) Il magistrato deve comunque operare una valutazione ex post dell'efficacia esimente del compliance program, al fine di riconoscere la sussistenza del beneficio.
 
Federica Rachele Badano

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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