Il secondo pilastro previdenziale sostenuto dal Fisco.


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Il secondo pilastro previdenziale sostenuto dal Fisco.
Autore: Nicola Fasano - aggiornato il 05/06/2007
N° doc. 3441
05 06 2007 - Edizione delle 16:00  
 
Effetti della Finanziaria 2007

Il secondo pilastro previdenziale sostenuto dal Fisco

Nuovi tetti di deducibilità per contributi versati ai fondi pensione
 
Il sistema pensionistico complementare, come noto, è stato oggetto di rilevanti modifiche a opera del Dlgs n. 252/2005 che, in sostanza, ha riscritto la relativa disciplina.
Le previsioni del decreto, peraltro, a seguito delle novità introdotte dalla Finanziaria 2007, sono entrate in vigore già dal 1° gennaio 2007.
Vediamo in particolare quelle relative alla nuova disciplina fiscale dei contributi versati dai lavoratori dipendenti ai fondi pensione per costituire il cosiddetto “secondo pilastro” previdenziale, in aggiunta al trattamento pensionistico erogato dallo Stato, il cui importo, in conseguenza dell’aumento della durata della vita media, è destinato a ridursi notevolmente.

La norma di riferimento continua a essere quella contenuta nella lettera e-bis) del comma 1, articolo 10, del Tuir, nel quale sono enumerati i vari oneri deducibili dal reddito.
Tuttavia, nella sua nuova formulazione, la disposizione, nel richiamare fra gli oneri deducibili i contributi versati alle forme pensionistiche complementari, di cui al menzionato Dlgs n. 252/2005, rinvia, quanto alle condizioni e ai limiti di deducibilità, all’articolo 8 del medesimo decreto.
Tale norma pone un unico vincolo quantitativo, nel senso che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari che dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, sono ora deducibili dal reddito complessivo fino a un importo massimo di 5.164,57 euro.
E’ bene ricordare che in questo ammontare non rientrano le quote di Tfr eventualmente accantonate dal lavoratore ai fini della pensione complementare; nel calcolo della citata soglia massima vanno, invece, computate anche le quote eventualmente accantonate dal datore di lavoro ai fondi interni con patrimonio di destinazione autonomo.

Scompaiono i “tetti” di deducibilità vigenti fino al 31/12/2006. Infatti, nella precedente versione, la lettera e-bis) dell’articolo 10 prevedeva che:
  • per la generalità dei contribuenti, non fosse deducibile un importo superiore al 12 per cento del reddito complessivo (fermo restando in ogni caso il limite massimo di 5.164,57 euro)
  • per i lavoratori dipendenti per i quali era previsto il Tfr, i contributi, in linea di massima, erano deducibili fino a un ammontare pari al doppio della quota di Tfr destinata alle forme pensionistiche collettive concordate su base negoziale, fermi restando i due predetti limiti applicabili a tutti i contribuenti.

Così come avveniva in passato, anche in base alla nuova disciplina, per la parte dei contributi versati che non hanno fruito della deduzione, compresi quelli eccedenti 5.164,57 euro, il contribuente deve comunicare alla forma pensionistica complementare, entro il 31 dicembre (e non più entro il 30 settembre) dell’anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento, ovvero, se precedente, alla data in cui sorge il diritto alla prestazione, l’importo non dedotto o che non sarà dedotto nella dichiarazione dei redditi. In tal modo, la “restituzione” dei contributi, sotto forma di capitale o di rendita, non sarà tassata, evitando una doppia imposizione.

Anche con il nuovo regime è prevista, inoltre, la facoltà, per il soggetto che esegue effettivamente il versamento, di dedurre i contributi versati nell’interesse delle persone fiscalmente a carico (familiari di cui all’articolo 12 del Tuir, con un reddito non superiore, al lordo degli oneri deducibili, a 2.840,51 euro), per l’ammontare non dedotto dalle persone stesse in quanto incapienti a causa del modesto reddito percepito, fermo restando la soglia massima complessiva di 5.164,57 euro (non operando più il previgente limite del 12 per cento del reddito complessivo) in capo a chi ha eseguito il pagamento.

Molto interessante, infine, è l’opportunità che viene concessa ai lavoratori che abbiano il primo impiego con assunzione avvenuta dopo l’1/1/2007, data di entrata in vigore del decreto n. 252/2005. A costoro, infatti, è permesso sforare la soglia dei 5.164,57 euro, nel rispetto di talune condizioni. In particolare, ai neoassunti in questione, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, è consentito, nei venti anni successivi al quinto anno di partecipazione a tali forme, di dedurre dal reddito complessivo contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro, pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche, per un importo comunque non superiore a 2.582,29 euro annui.

Si pensi a un neoassunto nel 2007 che nel primo quinquennio (dal 2007 al 2011) di partecipazione alla previdenza complementare abbia versato 1.200 euro all’anno per un totale di 6.000 euro. Questi, a partire dal 2012, e per i venti anni successivi, potrà dedurre oltre la soglia di 5.164,71 l’ammontare di 19.822,85 euro, ripartito in quote annuali massime di euro 2.582,29 per un totale di 7.747 euro (5.164,71 + 2.582,29) all’anno (sempre che un simile importo, o anche maggiore, a partire dal sesto anno di contribuzione, sia stato effettivamente versato).
E’ evidente che la norma è tesa a incentivare forme di previdenza complementare da parte dei neoassunti che, presumibilmente, dopo i primi anni di lavoro dovrebbero raggiungere una maggiore stabilità economica, tale da permettere accantonamenti più elevati ai fini pensionistici, ora premiati anche sotto il profilo fiscale.

 
Nicola Fasano
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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