In difesa dell applicazione del concetto di abuso del diritto


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In difesa dell applicazione del concetto di abuso del diritto
Autore: Fisco Oggi - Giovambattista Palumbo - aggiornato il 06/04/2009
N° doc. 10841

In difesa dell'applicazione del concetto di abuso del diritto

La fonte del principio antielusivo è insita nel nostro ordinamento come diretta derivazione delle norme costituzionali
Il concetto di abuso del diritto non va confuso con le fattispecie, concettualmente vicine ma sostanzialmente e processualmente molto diverse, dell'elusione, della simulazione e della frode.
Il perno dell'abuso del diritto consiste nell'individuazione del vantaggio fiscale illegittimamente raggiunto solo grazie all'aggiramento delle norme o, meglio, solo grazie alla formale predisposizione di operazioni non "fisiologiche" (vedi Cassazione 1465/2009).
Onere dell'Amministrazione finanziaria, in questi casi, sarà dunque individuare la corretta operazione fisiologica che il contribuente avrebbe dovuto porre in essere e gli effetti fiscali (di vantaggio) che il contribuente ha illegittimamente ottenuto grazie alla predisposizione di un'operazione non fisiologica, non sorretta da valide ragioni economiche.
L'ufficio deve infatti indicare, come anche richiesto dalla Cassazione nella citata sentenza 1465/2009, quale sarebbe stato il corretto carico fiscale (il "comportamento fisiologico aggirato") laddove il contribuente non avesse posto in essere l'operazione abusiva e, nel farlo, deve guardare la pianificazione nel suo complesso e le relative conseguenze, anche negli anni successivi.
Una volta individuata l'operazione fisiologica aggirata, l'ufficio dovrà allora riqualificare l'operazione contestata in quanto abusiva, accertando le maggiori imposte che da tale riqualificazione derivano.
La contestazione dell'abuso si può quindi "operativamente" suddividere in tre fasi:
  1. individuazione dell'operazione fisiologica aggirata
  2. riqualificazione dell'operazione abusiva
  3. accertamento dei conseguenti effetti fiscali (disconoscimento dei vantaggi fiscali illeciti).
Naturalmente, tutti tali passaggi hanno valenza esclusivamente fiscale; così anche la riqualificazione dell'operazione non avrà rilevanza civilistica.
La fisiologicità aggirata deve dunque essere (fiscalmente) ripristinata ed evidenziata tramite l'affermazione della natura abusiva dell'intera operazione e il disconoscimento di tutti i connessi, illeciti, vantaggi fiscali.
Dato dunque che la contestazione dell'abuso di imposta rileva solo ai fini fiscali, la riqualificazione dell'operazione interviene solo sul lato probatorio, al fine cioè di evidenziare, sotto un profilo di verosimiglianza, dati certi presupposti indiziari, quale sarebbe dovuta essere l'operazione consentita dall'ordinamento e invece aggirata dal contribuente per mere ragioni di interesse fiscale.
In una recente udienza di merito presso la Commissione tributaria regionale della Toscana, proprio su un processo in materia di abuso del diritto, un giudice ha fatto una considerazione che, nella sua immediatezza, rende comunque bene l'idea: contestare l'abuso vuol dire fare un processo alle intenzioni.
L'idea in fondo è corretta.
Il processo alle intenzioni però, per essere legittimo, deve fondarsi su elementi probatori oggettivi (anche se presuntivi), individuare l'operazione aggirata, rilevare la mancanza di valide ragioni economiche dell'operazione abusiva e individuare infine gli illeciti vantaggi perseguiti.
Lo sforzo probatorio dell'ufficio deve dunque mirare a rilevare (come anche indicato dalla Cassazione) quale sia la reale natura "fisiologica" sottostante all'operazione abusiva, andando alla sostanza dell'operazione vista nel suo complesso e non facendosi abbagliare dagli schermi artatamente predisposti dal contribuente.
Peraltro, la riqualificazione civilistica dell'operazione "fisiologica", seppur importante al fine di meglio comprendere (e provare) la natura abusiva dell'operazione, è però irrilevante ai fini della sostanziale inopponibilità all'Erario dell'illecito vantaggio fiscale. L'inopponibilità segue infatti alla natura abusiva del vantaggio fiscale, anche considerato che, in tali contesti, ciò che interessa al contribuente è il fine del vantaggio fiscale e non certo il mezzo contrattuale.
La forma civilistica aggirata, indicata con la riqualificazione, non è quindi il fine dell'accertamento, ma semplicemente il mezzo, lo strumento cioè attraverso cui poter effettuare il recupero di imposta.
Le sentenze 20398 e 22932 del 2005 della Corte suprema evidenziano infatti come non sia necessario indagare se l'operazione abusiva posta in essere integri o meno la figura civilistica della simulazione (assoluta o relativa), della interposizione (reale o fittizia) o del negozio in frode alla legge.
In caso di contestazione di abuso di imposta, infatti, la nullità dei contratti (e il conseguente disconoscimento dei relativi effetti fiscali) viene dichiarata sulla base della mancanza di causa.
Ai fini fiscali, il contratto "abusivo" deve quindi essere trattato non già in base agli effetti giuridici prodotti dal contratto stesso, ma in base alla sostanza economica ricostruita dall'ufficio.
E questo non perché il contratto sia o meno simulato (elemento irrilevante), ma perché bisogna avere riguardo all'intrinseca natura dell'operazione (alla sua natura fisiologica, dice la Cassazione), anche se non vi corrispondono il titolo e la forma apparente.
Vengono quindi in considerazione, ai fini impositivi, non gli effetti voluti dalle parti (l'operazione posta in essere, si ricorda, anche se abusiva, è vera e reale; anzi la realtà dell'operazione è il mezzo e il presupposto dell'abuso), ma anche quelli che, anche se non voluti, il negozio aggirato sarebbe stato (fiscalmente) idoneo a produrre.
Proprio in tali casi, del resto, il potere (potremmo dire quasi "novativo") dell'Amministrazione finanziaria dovrà essere più forte, potendo essa andare anche contro la volontà (illecita) del contribuente, al fine di far conseguire all'Erario il giusto tributo ("giusto" anche in base al principio costituzionale di capacità contributiva - vedi Cassazione 30055/2008 e 30057/2008) e riprendendo cioè a tassazione il vantaggio fiscale illecitamente ottenuto.
L'ordinamento giuridico (e i suoi operatori, Amministrazione finanziaria da una parte e giudici dall'altra) non può infatti consentire l'aggiramento delle sue norme, al mero fine del perseguimento di illeciti vantaggi fiscali.
Questo è esattamente lo scopo del riconoscimento nel nostro ordinamento dello specifico principio dell'abuso del diritto (di cui ora la Corte di cassazione ha riconosciuto anche la valenza costituzionale).
La fonte del principio antielusivo come abuso del diritto si trova infatti già nei nostri principi costituzionali e, in particolare, nel principio di capacità contributiva e di progressività di cui all'articolo 53 della Costituzione.
Afferma infatti la Corte che "i principi di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla piena attuazione di quei principi. Con la conseguenza che non può non ritenersi insito nell'ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale".
Giovambattista Palumbo - pubblicato il 06/04/2009
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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