Infedele dichiarazione per l'accomandante pigro.


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Infedele dichiarazione per l'accomandante pigro.
Autore: Marcello Chiorazzi - aggiornato il 22/01/2007
N° doc. 2016

Sentenza n. 24547 del 17 novembre 2006

Infedele dichiarazione per l’accomandante pigro

L’omesso o insufficiente controllo del bilancio della società configura
un comportamento colposo, sufficiente per l’applicazione della sanzione

Con la sentenza 17 novembre 2006, n. 24547, la sezione tributaria della Corte di cassazione ha considerato legittima la rideterminazione, ai fini dell’Irpef, del reddito imponibile di un contribuente, sulla base di un avviso di accertamento emesso ai fini Ilor, nei confronti di una società in accomandita semplice (di cui il contribuente era socio accomandante), per recuperare a tassazione un maggior reddito d’impresa. I giudici hanno anche ritenuto legittima la sanzione per infedele dichiarazione irrogata a carico del socio accomandante, per omesso e/o insufficiente controllo del bilancio di esercizio della società.

La controversia esaminata dai giudici di legittimità trae spunto da una avviso di accertamento emesso ai fini Ilor, per l’anno d’imposta 1994, a carico di una Sas. In particolare, ai sensi dell’articolo 5 del Testo unico delle imposte sui redditi, veniva imputato per trasparenza a tutti i soci il reddito accertato a carico della società di persone, attraverso distinti avvisi di accertamento emessi, ai fini Irpef e per il medesimo periodo d’imposta, per il recupero a tassazione dei maggiori redditi di partecipazione e per l’irrogazione della sanzione di infedele dichiarazione, prevista dall’articolo 46 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600 (applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame).

Sotto il primo profilo, la Cassazione conferma il proprio orientamento (cfr la recentissima, sezione tributaria, 30 ottobre 2006, n. 23359) secondo il quale la praesumptio iuris portata dall’articolo 5 del Tuir, per cui al socio (anche accomandante) sono “imputati” pro quota, indipendentemente dalla percezione effettiva, i redditi sociali, è valida anche nel caso di utili non iscritti in bilancio, accertati a carico della società. Invero, oltre al fatto che l’accomandante ha diritto “in ogni caso” (ossia, anche qualora l’atto costitutivo non gli consente poteri autorizzativi, consultivi o ispettivi) di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, nonchè di consultare i libri e gli altri documenti della società (articolo 2320, comma terzo, del Codice civile) e, quindi, di conoscere, in sostanza, i rilievi e gli accertamenti fiscali condotti nei confronti di questa, si deve considerare che, in virtù della presunzione suddetta, il reddito di partecipazione costituisce, ai fini dell’Irpef, reddito proprio del contribuente (a lui “imputato”), a prescindere dalla mancata contabilizzazione dei ricavi e dai metodi usati dalla società per realizzarli, salve le azioni da lui eventualmente esperibili contro la società, in sede civile ordinaria, per recuperare la sua quota di utile, se dovuta.

Si tratta di una conseguenza logica e immediata del principio, accolto dal legislatore tributario, della “immedesimazione” esistente tra società a base personale e singoli soci, tanto che, rispetto al Fisco, le società di persone si pongono come uno schermo, dietro il quale operano i soci, che hanno poteri di direzione, di gestione e di controllo, anche quando non ne sono amministratori.
Pertanto, a nulla rileverebbe che il socio non abbia ancora percepito (rimanendone peraltro creditore) gli utili ai quali, a norma dell’articolo 2262 del Codice civile (applicabile anche alla società in accomandita semplice), egli ha diritto, per aver rinviato ad altro esercizio l’esazione del credito, o per aver reinvestito l’utile medesimo in attività sociali o per qualsivoglia altra ragione (Cassazione, sezione tributaria, 27 febbraio 2002, n. 2899).

Per quanto riguarda le sanzioni irrogate al socio accomandante, la Suprema corte considera irrilevante la circostanza che il contribuente non partecipi all’amministrazione della società, in quanto a esso non è impedito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti.
In altri termini, partendo dal presupposto che la sanzione viene irrogata, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per ogni azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa, i giudici di legittimità hanno statuito che la sanzione non viene irrogata sulla base della mera volontarietà del comportamento sanzionato, ma in ragione della colpa consistita nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo dell’esattezza del bilancio della società, a norma dell’articolo 2320 del Codice civile (in senso conforme, tra le altre, cfr Cassazione, sezione tributaria, 21 agosto 2002, n. 12329, e 9 dicembre 2002, n. 17492).

In ogni caso sarebbe fatta salva l’eventuale irresponsabilità per sanzioni, nei confronti del Fisco, quando sia dimostrata la buona fede del socio accomandante-contribuente.
Tuttavia, considerato che la nuova disciplina richiede in ogni caso il concorso dell’elemento soggettivo, che può essere integrato anche dalla semplice colpa, a escludere quest’ultima non basterebbe il mero rilievo che la presentazione del bilancio (o, secondo la Cassazione con la sentenza 17 febbraio 1996, n. 1240, la sua stessa approvazione) spetta esclusivamente ai soci accomandatari, non essendo questi sollevati, nei confronti del Fisco, dal controllo diretto della sua esattezza, a norma del più volte citato articolo 2320, comma terzo, del Codice civile.

Solo la sottrazione o la falsificazione di quei documenti, da parte dell’accomandatario, che ponesse l’accomandante nella pratica impossibilità, o almeno nell’estrema difficoltà di determinare gli utili di partecipazione ai quali ha diritto, escluderebbe il suo comportamento colposo e, conseguentemente, l’applicabilità della sanzione al medesimo socio accomandante, fermo restando la debenza dell’imposta per l’imponibile corrispondente al maggior reddito da partecipazione accertato (cfr Cassazione, sentenza n. 2899 del 2002).


Marcello Chiorazzi

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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