Interessi anatocistici sui rimborsi. Amministrazione condannabile, ma su 'richiesta'


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Interessi anatocistici sui rimborsi. Amministrazione condannabile, ma su 'richiesta'
Autore: Nicola Fasano - aggiornato il 10/04/2006
N° doc. 1421
10 04 2006 - Edizione delle 14:15  
 
Sentenza n. 4935 dell'8 marzo 2006

Interessi anatocistici sui rimborsi
Amministrazione condannabile, ma su "richiesta"

La domanda va necessariamente proposta nel ricorso introduttivo
 
L'anatocismo (articolo 1283 del codice civile) trova applicazione - entro certi limiti - anche nei rapporti tributari fra Fisco e contribuenti. E' questa, in estrema sintesi, la massima desumibile dalla sentenza della Corte di cassazione dell'8/3/2006, n. 4935.
La lite trae origine dall'impugnazione, da parte di una società, in Commissione tributaria provinciale, del silenzio-rifiuto, dell'ufficio distrettuale delle II.DD. e dell'intendente di Finanza, avverso le proprie istanze di rimborso dei crediti risultanti dalle dichiarazioni relative a diversi anni; il ricorrente chiedeva la condanna dell'ufficio a rimborsare le somme e a corrispondere gli interessi.

Intervenuta l'estinzione dei rispettivi crediti per compensazione, la società contribuente chiedeva (con il ricorso introduttivo del giudizio) la condanna dell'Amministrazione al pagamento degli interessi, che, con una memoria successiva, intendeva comprensivi anche di quelli anatocistici.
La Commissione adita accoglieva la domanda e condannava l'Amministrazione al pagamento degli interessi, compresi quelli anatocistici, fino alla data del pagamento del dovuto.
L'ufficio proponeva appello in Ctr, sostenendo la non debenza degli interessi oltre la data della compensazione dei crediti e, in particolare, la non spettanza di quelli anatocistici. Resisteva la società contribuente, a cui anche il giudice di secondo grado dava ragione.
Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione il ministro dell'Economia e delle Finanze.

La sentenza della Cassazione
La Cassazione procede all'analisi del merito della questione, aderendo all'orientamento giurisprudenziale più recente (che ancora non può dirsi consolidato) secondo cui il contribuente, al quale spetta il rimborso delle imposte pagate, può chiedere anche gli interessi anatocistici nei limiti e alle condizioni di cui all'articolo 1283 del codice civile.
Secondo la Corte, la presenza della pubblica Amministrazione in qualità di creditore o debitore non altera la struttura del rapporto obbligatorio, in quanto le correlative posizioni di debito e di credito, nonostante tale particolarità, vengono a porsi, sul piano del diritto sostanziale, in termini paritari, anche quando il rapporto abbia avuto origine da una fattispecie regolata dal diritto pubblico (Cassazione, sentenze n. 552/1999, n. 9273/1999, n. 2079/2000 e n. 2081/2000).

Dopo questa premessa di carattere generale, i giudici affrontano più nello specifico la materia dei rimborsi di imposta, argomentando, a tal riguardo, che l'applicabilità dell'articolo 1283 del codice civile, che consente la capitalizzazione degli interessi, sia pure entro limiti ben precisi, non può essere pregiudizialmente esclusa "posto che l'art. 38-bis del D.P.R. n. 633/72 e, in genere, le norme che regolano il rimborso delle imposte versate in eccesso, nulla prevedono a tale riguardo e che, per quanto si è detto, la disciplina delle obbligazioni tributarie, come di ogni altra obbligazione che trovi fondamento in "fatti" regolati dal diritto pubblico, deve essere ricavata, per quegli aspetti che non sono specificamente disciplinati dalle norme speciali, dalle disposizioni contenute nel primo titolo del quarto libro del codice civile".

Né, secondo la Corte, le peculiarità strutturali del processo tributario ostano all'ammissibilità di pronunce di condanna dell'Amministrazione finanziaria al pagamento degli interessi anatocistici, "positivamente previste sia dalla normativa vigente (art. 19, primo comma, lett. g, D.Lgs. 31.12.1992, n. 546) che da quella abrogata (in relazione a quanto previsto dagli artt. 16, sesto e settimo comma, e 20, D.P.R. 26.10.1972, n. 636)".
La condanna, peraltro, si restringe, solo a quei casi che rientrano nell'ambito del citato articolo 1283, ai sensi del quale "gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi".

Il giudice, pertanto, può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato che, alla data della domanda giudiziale, erano già scaduti gli interessi principali (sui quali calcolare gli interessi secondari); vale a dire, sebbene in presenza di una specifica domanda giudiziale del creditore o di stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi, se il debito era esigibile e il debitore in mora (Cassazione n. 4830 del 2004).

E' stato proprio il difetto di una specifica e chiara richiesta giudiziale, da proporsi inderogabilmente con il ricorso introduttivo, che, nella fattispecie, ha determinato la cassazione della sentenza oggetto di gravame e l'accoglimento dell'appello del ministro dell'Economia e delle Finanze.
Al riguardo, i giudici di ultima istanza evidenziano come sia necessario che "il contribuente - creditore indichi tutti gli elementi necessari alla liquidazione degli interessi, a cominciare dalla capitalizzazione del primo semestre di interessi maturati sul capitale. E soprattutto, che tale richiesta, sia stata formulata nell'atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il rimborso d'imposta, non potendosi esso considerare ... accessorio del credito principale conseguente in via automatica dall'accoglimento della domanda di rimborso o di quella degli interessi maturati dalla domanda già rivolta al Fisco".

Inoltre, richiamando le conclusioni a cui sono pervenute le Sezioni unite con la sentenza n. 10156 del 1998, la Cassazione ribadisce che "quando la formulazione delle conclusioni sia ambigua, in quanto suscettibile di esser interpretata sia come rivolta ad ottenere il riconoscimento degli interessi anatocistici sia come richiesta degli interessi moratori destinati a maturare dopo la domanda e fino all'effettivo pagamento, il Giudice del merito, stante la necessaria specificità della richiesta dell'anatocismo, non può ritenere che essa sia stata proposta, quando l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono le ragioni della domanda, alla quale egli deve far riferimento per sciogliere quell'ambiguità, non somministri argomenti in tale senso. Resta altresì escluso che all'assenza di siffatta domanda in primo grado possa rimediarsi mediante la sua formulazione per la prima volta in appello sia pure limitatamente agli interessi prodotti dalla data di tale domanda sul capitale rappresentato dagli interessi scaduti sino a tale data, non essendo consentito proporre in appello per la prima volta la domanda di pagamento di interessi maturati dopo la sentenza di primo grado se il fatto produttivo di interessi era anteriore all'inizio del processo e ciononostante la relativa domanda non sia stata proposta nel giudizio di primo grado".

Nel caso in esame, la specifica domanda alla condanna degli interessi anatocistici è stata proposta, seppur nel primo grado di giudizio, solo con la memoria illustrativa depositata prima della discussione della causa e, dunque, non nel ricorso introduttivo con cui vengono cristallizzati e delimitati il petitum e la causa petendi, i quali non possono certo essere modificati e/o integrati dalla memoria illustrativa presentata dal contribuente. Questa tardività della richiesta, pertanto, ne ha determinato l'inammissibilità.
Come osservato dalla stessa Corte, infatti, "il giudizio tributario, in base alla disciplina dettata dagli artt. 18, comma secondo, 19 e 24, comma secondo, D.Lgs. n. 546 de 1992, è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l'atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo..." (Cassazione n. 9754 del 2003).

Per completezza, è opportuno ricordare come l'applicabilità dell'anatocismo, di cui all'articolo 1283 c.c., limitatamente alla materia dei rimborsi di imposta, è stata riconosciuta dalla Cassazione solo da poco e, più precisamente, a partire dalla sentenza n. 552 del 1999. Sino ad allora, come dato atto dalla stessa Corte nella sentenza in commento, si era affermato l'orientamento secondo cui l'istituto in parola non trovava applicazione in ambito tributario dove prevalgono le disposizioni speciali che regolano compiutamente gli effetti della mora debendi.
Ciò era stato sostenuto sia nel caso che a chiedere gli interessi anatocistici fosse stato il contribuente (sentenza n. 9497 del 1998), sia nel caso che la relativa richiesta fosse stata proposta dall'Amministrazione finanziaria (sentenza n. 6310 del 1996).
Sarà interessante, quindi, seguire l'evoluzione giurisprudenziale della questione per constatare se "l'apertura" verso l'applicabilità dell'istituto dell'anatocismo sarà estesa anche al di fuori dell'alveo dei rimborsi di imposta (nel quale attualmente pare limitato) e se, nel contempo, il riconoscimento degli interessi sugli interessi potrà essere chiesto anche dal Fisco, ove ricorrano le condizioni tassative del citato articolo 1283 del Codice civile.
 
Nicola Fasano

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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