Iva di gruppo: un'interpretazione che viene dall'alto - Ordinanza n. 5503 del 12 aprile 2007.


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Iva di gruppo: un'interpretazione che viene dall'alto - Ordinanza n. 5503 del 12 aprile 2007.
Autore: Marcello Maiorino - aggiornato il 09/05/2007
N° doc. 3294
09 05 2007 - Edizione delle 17:00  
 
Ordinanza n. 5503 del 12 aprile 2007

Iva di gruppo: un’interpretazione che viene dall’alto

Sottoposte alla Corte di giustizia questioni relative al rapporto fra normativa nazionale e VI direttiva Cee
 
L’ordinanza della Cassazione n. 5503 del 12 aprile 2007 offre un interessante spunto di discussione per quanto concerne i rapporti esistenti tra il diritto comunitario e il diritto interno, segnatamente in relazione al perimetro applicativo di quest’ultimo rispetto alla disciplina normativa contenuta nelle direttive.

La Suprema corte ha sottoposto alla Corte di giustizia, in via pregiudiziale, le seguenti questioni:
  1. l’articolo 4, paragrafo 4, ultima parte, della direttiva n. 77/388/Cee del 1977, deve essere interpretato come norma non sufficientemente precisa, che consente agli Stati membri di applicare il regime in esso previsto in ipotesi particolari di vincoli economici, finanziari o giuridici tra diversi soggetti, o, viceversa, come norma sufficientemente precisa, che, quindi, impone, una volta che lo Stato membro abbia deciso di adottare tale regime, di prevederne l’applicabilità in tutti i casi di vincoli ivi descritti?
  2. la previsione di limiti temporali, nel senso che il vincolo deve esistere da un rilevante periodo di tempo, quale presupposto per l’applicazione del regime, senza che ai soggetti interessati sia consentito di dare la dimostrazione dell’esistenza di una valida ragione economica della costituzione del vincolo, costituisce un mezzo sproporzionato rispetto ai fini della direttiva e all’osservanza del principio del divieto dell’abuso del diritto? Tale regolamentazione deve, comunque, ritenersi contraria al principio della neutralità dell’Iva?

La vicenda ha il suo snodo intorno alla procedura regolata dall’articolo 73 del Dpr 633/1972 e dal decreto ministeriale di attuazione del 13 dicembre 1979, che contempla la possibilità di compensare i rispettivi crediti e debiti Iva, evitando che, all’interno di uno stesso gruppo, alcune società debbano versare l’imposta, mentre altre debbano attendere tempi lunghi per ottenere il rimborso.
La procedura trova la sua origine nell’articolo 4 della VI direttiva Iva (n. 77/388/Cee), il quale consente agli Stati membri “di trattare come unico soggetto passivo persone residenti all'interno del Paese che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate tra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi”. Tale disposizione è stata recepita solo in parte nel nostro ordinamento, e, cioè, per i soli aspetti procedurali di compensazione dei crediti e dei debiti Iva e di presentazione delle relative dichiarazioni.

Il legislatore italiano ha inteso assicurare l’effettività del legame tra le diverse società, richiesta dalla direttiva per finalità antielusive, considerando all’articolo 73, ultimo comma, del Dpr 633/1972, come controllate le società le cui quote o azioni sono possedute per oltre la metà dalla controllante fin dall’inizio dell’anno solare precedente.
Il decreto ministeriale di attuazione stabilisce che le società controllate devono essere società di capitali le cui azioni o quote sono possedute dal soggetto controllante, per una percentuale superiore al 50 per cento, fin dall’inizio dell’anno solare precedente.
Lo scopo dell’introduzione di suddetto requisito temporale è quello di evitare pratiche fraudolente o elusive, assicurandosi che l’acquisizione del controllo costituisca un’operazione avente una valida ragione economica, e non un mezzo per realizzare un vantaggio fiscale, quale l’utilizzazione del credito Iva dell’altro soggetto.
Da qui la necessità di valutare se il contenuto della norma della direttiva, impregiudicata la facoltà degli Stati membri di introduzione del regime, sia incondizionato e sufficientemente preciso circa i relativi presupposti, ovvero lasci agli Stati membri ampia facoltà di individuare le ipotesi dei vincoli (nell’ambito della categoria prevista dall’articolo 4, che danno luogo alla deroga dal principio generale secondo cui è debitore d’imposta il soggetto che effettua la cessione o la prestazione di servizi).

Poiché la norma della direttiva non prevede formalità o adempimenti per evitare un impiego abusivo del regime speciale, si pone il problema di capire se la disciplina di idonee misure antiabuso possa considerarsi rimessa alle rispettive autorità nazionali, e se le stesse possano ammettere l’uso del regime soltanto in particolari ipotesi di vincolo, come ha fatto il legislatore italiano, che ha limitato la dichiarazione di gruppo al solo caso di controllo societario.
E’ evidente come al modello descritto nella norma della direttiva possa ricondursi una vasta congerie di casi, che prevedano sia vincoli giuridici, sia vincoli puramente economici o finanziari. Un’ipotesi di vincolo, potrebbe ricorrere, a prescindere dal fatto che esista una partecipazione di controllo da un tempo precedente l’anno anteriore a quello della dichiarazione, laddove le diverse società appartengono a un unico gruppo.

Per quanto concerne l’imposizione di un limite temporale, i giudici si chiedono se quest’ultimo non costituisca un mezzo sproporzionato, ove non sia consentita la dimostrazione dell’effettiva esistenza di reali ragioni economiche e/o finanziarie che hanno suggerito l’acquisizione della partecipazione di controllo. Soprattutto in presenza di segnali, in tal senso, che provengono da un orientamento giurisprudenziale comunitario contrario alle presunzioni di frode o di evasione fiscali che non ammettano una prova contraria.

Il limite temporale imposto dal legislatore italiano potrebbe apparire ancora più sproporzionato se si ritenesse indebitamente riduttiva la limitazione, da parte dell’ordinamento nazionale, del regime previsto dalla norma della direttiva alla sola ipotesi del rapporto di controllo societario.
La verifica di proporzionalità può essere effettuata tenendo conto, oltre che dei fini della direttiva, dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in materia di abuso del diritto nel campo dell’applicazione dell’Iva, avendo, come si è detto, l’imposizione del limite temporale un evidente scopo antifraudolento o antielusivo.

 
Marcello Maiorino
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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