La 'compiuta giacenza' non equivale a conoscenza.


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La 'compiuta giacenza' non equivale a conoscenza.
Autore: Marco Denaro - aggiornato il 06/02/2008
N° doc. 7646
06 02 2008 - Edizione delle 17:00  
 
Sentenza n. 27007 del 21 dicembre 2007

La "compiuta giacenza" non equivale a conoscenza

Pronuncia nulla per mancanza di comunicazione alle parti dell'avviso di udienza qualora non sia possibile verificarne la legittimità dell'operato dell'ufficiale postale
 
La comunicazione alle parti dell'avviso di trattazione dell'udienza costituisce adempimento imprescindibile ai fini del regolare svolgimento dell'intero iter processuale. Ne consegue che l'inosservanza di tale obbligo comporta l'inequivocabile declaratoria di insanabile nullità del procedimento, senza che tale vizio possa considerasi sanato attraverso l'esibizione di un atto che non reca alcuna sottoscrizione o esaustiva descrizione - da parte dell'ufficiale postale - dell'attività dallo stesso svolta, limitandosi alla mera dicitura di "compiuta giacenza" senza possibilità di sindacato o controllo al riguardo.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione, con la pronuncia n. 27007 del 21 dicembre 2007.

La particolarità della sentenza in esame, tuttavia, non risiede nell'assioma - oramai pacifico nella giurisprudenza di legittimità (al riguardo, cfr Cassazione, sentenze 10761/2006 e 11014/2003) - secondo cui una decisione è nulla, per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, quando la stessa viene presa in un'udienza alla quale il contribuente non ha potuto prendere parte per mancanza di una valida comunicazione al riguardo, ma nella circostanza che viene presa in considerazione la valenza giuridica da attribuire, ai fini della conoscibilità o meno di un atto, all'ipotesi in cui si verifica quella che nel codice postale e delle telecomunicazioni viene definita "compiuta giacenza".
In altre parole, la comunicazione dell'avviso di trattazione spedita a mezzo posta e per la quale, in assenza del ritiro da parte del destinatario, si è realizzata la cosiddetta "compiuta giacenza" vale a poter affermare, con ampia certezza, che il destinatario ha avuto notizia del contenuto della comunicazione stessa?

Ebbene, la Cassazione ha detto di no, almeno limitatamente a quelle fattispecie - come quella in esame - in cui dall'operato dell'ufficiale postale non sia possibile verificarne la correttezza e, di conseguenza, sindacarne la legittimità.

Ma procediamo con ordine, partendo dalla normativa di riferimento.
L'articolo 31 del Dlgs 546/1992, nel disciplinare l'avviso di trattazione nell'ambito del giudizio tributario di primo e secondo grado, afferma testualmente che "La segreteria dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima".
L'articolo 16 dello stesso decreto, invece, nel disciplinare le comunicazioni e le notificazioni, al comma 1, così recita: "Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento".

La materia delle notificazioni a mezzo posta, poi, è disciplinata dalla legge 890/1982. Dal coordinamento di tali norme emerge che, in ipotesi di spedizione "a mezzo del servizio postale" dell'avviso di comunicazione della data di trattazione da parte della segreteria del giudice tributario, l'avviso di ricevimento del plico postale assume particolare rilevanza ai fini del riscontro del regolare svolgimento del processo, perché le sue risultanze debbono consentire di verificare:
  • che la comunicazione della data di trattazione sia giunta effettivamente nella sfera giuridica di conoscibilità propria del destinatario (che si verifica nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, ex articolo 1335 del Codice civile)
  • che al destinatario sia stato assicurato lo specifico spatium ("almeno trenta giorni liberi prima") concesso dal legislatore per approntare le necessarie difese (anche mediante il deposito di documenti o di memorie).

Non può valere, quindi, la presunzione - fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità dello specifico servizio postale - di arrivo dell'atto contenuto nel plico raccomandato al destinatario e, quindi, di conoscenza dello stesso desumibile dalla sola spedizione dell'atto, attestata dalla ricevuta di invio della raccomandata rilasciata dall'ufficio postale.

Ora, secondo il regolamento di esecuzione del codice postale e delle telecomunicazioni, la corrispondenza che non abbia potuto essere distribuita e che non sia stata chiesta in restituzione dai mittenti è tenuta per un periodo di quindici giorni negli uffici di destinazione, fatta eccezione per le raccomandate, per le quali il periodo di giacenza è di trenta giorni.
Sempre lo stesso regolamento impone all'agente postale di dare avviso della giacenza di oggetti raccomandati o assicurati, che non abbiano potuto essere distribuiti, ai destinatari e ai mittenti, se identificabili.

Nel caso di specie, precisa la Corte, dalla lettura degli atti processuali emerge che l'avviso per l'udienza del giorno 8 febbraio 2001 (nella quale è stata trattata e decisa la causa) non "fu affatto comunicato al contribuente né nel domicilio dallo stesso eletto presso il proprio difensore né in altro luogo: l'atto processuale, invero, reca unicamente al retro l'annotazione manoscritta (su tre righe) "Assente 1^ 15/12/00 - Assente 2^ 16/12/00 NO - SP" e nella parte superiore del recto un timbro su due righe "AL MITTENTE - PER COMPIUTA GIACENZA" nonché la scritta N - 8714/16.12".

Da questi incomprensibili dati, continua la Cassazione, "non si rileva in alcun modo l'annotazione, da parte dell'agente postale incaricato (il quale non ha sottoscritto nessuna parte dell'atto), né dell'avvenuto effettivo rilascio del prescritto avviso né dei motivi eventualmente impeditivi di tale adempimento per cui la restituzione al mittente per affermata, ma incontrollabile, "compiuta giacenza" si palesa del tutto irregolare per assoluta carenza di tutti gli elementi previsti per facilitare la conoscenza dell'atto, ivi compreso, in particolare (Cass., 3, 22 maggio 2006 n. 11929), il decorso del tempo necessario per potersi ritenuta "compiuta" la "giacenza" del plico presso l'ufficio postale a disposizione del destinatario, per il ritiro".

Da questi presupposti, i giudici di piazza Cavour concludono con l'affermare che, come oramai pacificamente assodato in tema di contenzioso tributario, l'omessa comunicazione alle parti dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione costituisce indiscutibile causa di nullità del procedimento e della decisione della commissione tributaria, con conseguente nullità sia del procedimento d'appello sia della sentenza emessa all'esito della sua definizione.

 
Marco Denaro
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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