La cessione d'azienda (2) Aspetti fiscali: le imposte dirette, casi particolari.


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La cessione d'azienda (2) Aspetti fiscali: le imposte dirette, casi particolari.
Autore: Gianluca Martani - aggiornato il 11/11/2005
N° doc. 936
11 11 2005 - Edizione delle 16:00  
 
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La cessione d'azienda (2)

Aspetti fiscali: le imposte dirette, casi particolari
 
Casi particolari
Cessione dell'unica azienda dell'imprenditore individuale precedentemente concessa in affitto o usufrutto

Una fattispecie particolare può realizzarsi qualora venga ceduta l'unica azienda dell'imprenditore individuale precedentemente concessa in affitto o usufrutto. In tale ipotesi, l'articolo 67, comma 1, lettera h), del Tuir, prevede che l'affitto o usufrutto dell'unica azienda non si considera fatto nell'esercizio d'impresa, ma, in caso di successiva cessione della stessa, totale o parziale, le plusvalenze realizzate rientrano nella categoria dei redditi diversi e come tali concorrono a formare il reddito complessivo.
A tal proposito, un dubbio interpretativo potrebbe sorgere con riferimento al fatto che la predetta norma troverebbe applicazione con esclusivo riferimento alle cessioni effettuate successivamente alla concessione in affitto o usufrutto, ma in costanza di tali rapporti. Si potrebbe così ipotizzare, in prima battuta, che se alla cessazione dell'impresa si accompagna l'affitto o usufrutto dell'unica azienda, al termine del rapporto il proprietario potrebbe imputare al proprio patrimonio privato i cespiti relativi alla sua ex-impresa senza subire alcuna tassazione. Ciò, in quanto la lettera h) del citato articolo 67 si applica ai soli casi di successiva vendita e non anche in ipotesi di autoconsumo.

Si deve, invece, osservare che l'affitto o usufrutto dell'unica azienda non costituiscono, ai fini fiscali, una definitiva cessazione dell'attività d'impresa, bensì una mera sospensione della stessa. Occorrerà, pertanto, verificare se alla conclusione dei predetti contratti conseguirà da parte del proprietario la ripresa dell'attività produttiva ovvero la sua definitiva cessazione. Solo in quest'ultimo caso si applicheranno le norme relative alla destinazione dei beni aziendali al consumo personale o familiare dell'imprenditore o ad altre finalità estranee all'impresa.
Il termine "successiva" utilizzato nella norma in esame deve, dunque, intendersi riferito non alla conclusione del rapporto di affitto o usufrutto, ma al momento della decorrenza dello stesso. Ciò allo scopo di armonizzare il regime reddituale dei canoni con il regime della plusvalenza che deriva dalla cessione dell'azienda precedentemente concessa in affitto o usufrutto.

Azienda ceduta tramite permuta
Nel caso in cui il prezzo pagato per l'acquisto di una azienda sia rappresentato non da un compenso monetario ma da un bene, si realizza un contratto di permuta. In tale eventualità, l'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 86 prevede che, qualora il corrispettivo sia rappresentato da un bene ammortizzabile, la plusvalenza tassabile è costituita unicamente dall'eventuale conguaglio in denaro ottenuto, a condizione però che il bene ricevuto in cambio venga iscritto in bilancio allo stesso valore fiscalmente riconosciuto che aveva il bene ceduto.
Tale disposizione può essere considerata norma agevolativa, in quanto rappresenta una deroga ai principi generali che prevedono quale corrispettivo di una permuta la differenza tra valore normale del bene ricevuto e il suo costo non ammortizzato, cui sarebbe sommato l'eventuale conguaglio in denaro.
La norma in esame risulta applicabile anche qualora il bene ceduto sia rappresentato da un complesso o da un ramo aziendale, in quanto l'articolo 86 del Tuir ha espressamente previsto tale possibilità rispetto al previgente articolo 54.
Diverso, invece, è il caso in cui venga data in permuta l'unica azienda. In tale ipotesi, infatti, sembra non essere applicabile il regime in questione, in quanto la norma richiede l'iscrizione in bilancio del bene ricevuto in permuta, cosa impossibile per chi ha perso lo status di imprenditore commerciale.

Cessione d'azienda a fronte di costituzione di rendita vitalizia
Particolari aspetti applicativi si pongono, sia per il cedente che per il cessionario, qualora il corrispettivo dell'azienda ceduta sia rappresentato da una rendita vitalizia.
In tale ipotesi, per quanto riguarda il cedente, ci si pone anzitutto il problema se e in quale misura tassare la plusvalenza realizzata ovvero se assoggettare a tassazione unicamente le rate della rendita corrisposte dal cessionario. Se da una parte, infatti, il Tuir, con l'articolo 86, comma 2, individua nella cessione d'azienda il presupposto per la realizzazione di una plusvalenza patrimoniale, dall'altra, con l'articolo 50, comma 1, lettera h), qualifica la rendita vitalizia come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente. Dalla combinazione delle due norme ne potrebbe derivare una duplicazione d'imposta in capo alla medesima fattispecie, con la conseguenza, quindi, che il cedente si troverebbe a subire la tassazione sia sulla plusvalenza da cessione d'azienda che sulle somme percepite nel tempo a titolo di rendita vitalizia.

A ben vedere, da un punto di vista civilistico i fatti costitutivi del presupposto impositivo sono differenti: cessione d'azienda da un lato e costituzione di rendita vitalizia dall'altro. Inoltre, risulta diversa anche la loro rilevanza e qualificazione sotto un aspetto prettamente tributario. Nel primo caso, infatti, ci troveremo di fronte a un reddito d'impresa, nel secondo caso, invece, il reddito è assimilato a quello di lavoro dipendente.

La questione è stata affrontata sia dall'Amministrazione finanziaria che dalla giurisprudenza con esiti contrastanti. La decisione n. 1206 del 6 dicembre 1989 della Commissione tributaria centrale ha affermato che, nel caso di specie, è impossibile determinare la plusvalenza perché è indefinito il quantum del corrispettivo, a causa della indeterminatezza della durata della rendita. Tale conclusione vuole anche evitare un'ipotesi di doppia tassazione, in quanto si ritiene che vi sia identità di presupposti fra plusvalenza per la cessione d'azienda e reddito assimilato a quello di lavoro dipendente.

In merito a ciò, la Direzione regionale delle entrate per il Lazio, con risoluzione del 6 luglio 1996, n. 13212/95, ha assunto una posizione diametralmente opposta alla decisione sopra accennata. A parere dell'Amministrazione finanziaria, infatti, il problema della indeterminatezza della plusvalenza ben può essere superato attraverso l'attualizzazione dell'importo della rendita vitalizia, secondo le disposizioni previste in materia di imposta di registro. Inoltre, non si porrebbe neppure un problema di doppia imposizione. in quanto esistono due autonomi presupposti d'imposta, e cioè il realizzo della plusvalenza e la rendita vitalizia. Infatti, la rata pagata periodicamente può essere scomposta in tre parti: il ritorno del capitale, la plusvalenza realizzata dalla cessione del bene e il reddito derivante dalla rendita. Alle stesse conclusioni, peraltro, è giunta anche la Direzione regionale della Campania, con risoluzione del 19 luglio 1997.

Una possibile soluzione al problema potrebbe essere vista, secondo alcuni autori, applicando il principio di specialità all'interno delle diverse fattispecie impositive previste nel Tuir. La rendita vitalizia andrebbe considerata, quindi, come una particolare modalità di corresponsione del corrispettivo in relazione alla cessione dell'azienda, assoggettata di per sé alle regole del reddito d'impresa.
In sostanza, l'articolo 50 del Tuir, in tema di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, non si renderebbe applicabile, in quanto la cessione d'azienda dietro costituzione di una rendita vitalizia troverebbe una sua prima e unica collocazione nell'articolo 86 del Tuir, in funzione della specialità di questa norma rispetto a tale fattispecie. La previsione di cui alla lettera h) del primo comma dell'articolo 50 dovrebbe essere applicata, allora, solo in via residuale, quando la cessione del bene o del capitale da cui trae origine la rendita non possa rientrare in altra fattispecie reddituale.
Tuttavia, anche volendo sposare tale impostazione, permangono le difficoltà riguardanti la determinazione della rendita ai fini del calcolo della plusvalenza, in quanto non determinabile a priori.
Problemi speculari si pongono, d'altronde, in capo al cessionario che deve valorizzare il complesso aziendale acquistato in base a un corrispettivo che, al momento dell'acquisto, non è ancora certo e determinabile.

2 - continua. La terza puntata sarà pubblicata martedì 15; la prima è su FISCOoggi di lunedì 7
 
Gianluca Martani
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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