La compilazione del quadro E bolla il reddito come professionale


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La compilazione del quadro E bolla il reddito come professionale
Autore: Fisco Oggi - Maria Ingraffia - aggiornato il 18/11/2008
N° doc. 10209
18 11 2008 - Edizione delle 17:30  
 
Sentenza n. 24911 del 10 ottobre 2008

La compilazione del quadro E
“bolla” il reddito come professionale

L’inquadramento giustifica l’applicazione dei parametri riferibili ad attività individuale e non di impresa
 
E’ legittimo l'accertamento basato sui parametri per un avvocato che ha dichiarato il reddito prodotto nel quadro E della dichiarazione dei redditi, in quanto dalla compilazione di detto quadro si deduce la natura professionale e non di impresa del reddito prodotto dal contribuente. E’ il principio sancito dalla Corte di cassazione con la sentenza 24911 del 10 ottobre 2008.

L’ufficio delle Imposte dirette notificava un avviso di accertamento con il quale veniva rilevato il mancato adeguamento del reddito di lavoro dichiarato a quello determinato sulla base dei parametri di cui al Dpcm 29/01/1996.
Il contribuente ricorreva presso la Commissione tributaria di primo grado, che ne accoglieva il ricorso.
L’ufficio proponeva appello contro tale decisione presso la Commissione tributaria regionale, che accoglieva la tesi dell’ufficio.

Contro quest’ultima sentenza il contribuente ricorre per cassazione, adducendo sette motivi, così sintetizzabili:
  • il reddito a lui riferito dev’essere qualificato quale reddito prodotto da associazioni in partecipazioni e non, come rilevato dai giudici, quale reddito prodotto dal professionista persona fisica
  • erronea applicazione della tabella B di cui all’allegato 2 del Dpcm 1996 (Indicatori dei compensi e del volume d'affari di riferimento da applicare agli esercenti attività professionali ed artistiche) alle professioni svolte in forma associativa, attività contemplate ed escluse dai parametri sulla base di quanto indicato nella tabella A dello stesso Dpcm (Indicatori dei ricavi e del volume d'affari di riferimento da applicare agli esercenti attività d'impresa)
  • l’attività di consulenza gratuita svolta nei confronti di associazioni di volontariato avrebbe dovuto essere valorizzata, da parte dell’ufficio, ai fini dell’applicazione dei parametri. L’amministrazione finanziaria, inoltre, non motivandone l’esclusione, ha violato l’articolo 3 della legge 241/1990, secondo il quale tutti i provvedimenti devono essere motivi a pena di illegittimità
  • mancata indicazione da parte dell’ufficio dei parametri sui quali commisurare gli incassi. Inoltre, anche operando una distinzione tra l’attività svolta quale associato e quella svolta quale persona fisica, l’applicazione dei parametri avrebbe dovuto essere riferita comunque all’attività prevalente, secondo quanto stabilito dall’articolo 1, punto 2, del Dpcm 1996, che nel caso di specie si tratta di attività derivante dalla partecipazione all’associazione professionale
  • “eccesso di potere” da parte dell’Amministrazione finanziaria derivante dall’applicazione dei parametri a un’attività esclusa per legge
  • infine, con il settimo motivo di ricorso, il contribuente rileva, da un lato che nel 1995 l’attività di impresa degli studi legali poteva essere esercitata solo in forma associata e dall’altro, l’inapplicabilità dei parametri contenuti nella tabella B, considerati per la prima volta dall’ufficio nell’atto di appello, mentre in primo grado il contraddittorio si era formato sulla base di quanto contenuto nella tabella A.

Per quanto attiene il primo e secondo motivo di ricorso, ovvero l’applicazione dei parametri contenuti nella tabella A o B del decreto, i Supremi giudici, affermano che già la Commissione tributaria regionale rilevava la corretta applicazione dei parametri in questione, considerato che la compilazione nel modello 740 del quadro E, relativo al reddito di natura professionale e non del quadro G, relativo al reddito di impresa in contabilità semplificata, inequivocabilmente qualificava il reddito come professionale e non di impresa.
L’aggettivo “professionale”, infatti, evidenzia la formazione di un reddito di tipo “individuale” e non di impresa. Il contribuente, inoltre, in proposito, in sede di ricorso non individua alcun elemento di valutazione, trascurato od omesso o male interpretato dal giudice di merito, che possa contestare tale dato.
Con tale assunto, vengono meno anche parte del quinto motivo di ricorso e del sesto, in base ai quali si sosteneva che l’ufficio avesse applicato parametri non fissati dal legislatore ed esclusi per legge.

Con riferimento al settimo motivo di ricorso, i Supremi giudici rilevano che nell’anno 1995 vigeva ancora il divieto di “costituire, esercire o dirigere società, istituti, uffici, agenzie o enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria”; di conseguenza, un’attività protetta, quale quella esercitata dal ricorrente, non poteva essere oggetto di un contratto di associazione in partecipazione in quanto non considerata dal Codice civile attività economica. Per quanto riguarda, invece, la seconda parte del settimo motivo di ricorso, ovvero l’applicazione dei parametri contenuti nella tabella B, dedotta dall’ufficio solo in sede di contraddittorio, la Suprema corte ritiene che tale elemento non costituisca domanda nuova né nuova eccezione ma rappresenta solamente l’esplicazione delle ragioni giuridiche del fatto denunciato e quindi non qualificabile come domanda nuova in secondo grado.

Infine, per quanto attiene gli altri motivi di ricorso, i Supremi giudici ricordano che il ricorso per cassazione deve contenere motivi dotati dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità della sentenza impugnata. Sulla base di tale principio, qualora ci si trovi dinnanzi a una questione non trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente deve allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito e deve indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente è stato indicato al fine di consentire alla Corte di controllare la veridicità dell’asserzione, prima di esaminare nel merito la questione. Tale considerazione fa venir meno il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, in quanto la sentenza impugnata non accenna in nessuna parte a tali questioni e il ricorso per Cassazione per le stesse non denunzia, come necessario, l’eventuale vizio di omessa pronuncia.

 
Maria Ingraffia
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