La valenza probatoria degli studi di settore.


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La valenza probatoria degli studi di settore.
Autore: Maria Rita D'Isanto e Lanfranco De Santis - aggiornato il 18/05/2007
N° doc. 3354
18 05 2007 - Edizione delle 14:45  
 
Finanziaria 2007 e attività di accertamento

La valenza probatoria degli studi di settore

Piena continuità con il passato dello strumento in cui l’invito al contraddittorio assurge a momento centrale
 
La Finanziaria 2007 ha modificato l’articolo 10, comma 1, della legge n. 146 dell’8 maggio 1998, che disciplina le modalità di utilizzo degli studi settore in sede di accertamento.
L’intervento normativo, con l’aggiunta del periodo "qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi", come già precisato con la
circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007, non fa altro che ribadire, ancora una volta, la valenza probatoria degli studi di settore quale presunzione relativa, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, con ciò intendendo riaffermare che gli accertamenti basati sugli studi di settore possono essere effettuati in presenza di ricavi o compensi non congrui, senza che l’Amministrazione finanziaria debba fornire altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della pretesa tributaria, e che l’accertamento può essere effettuato anche in presenza di scostamenti di modesta entità.

In sostanza, si conferma, per legge, che le incongruenze richieste dal legislatore sono rappresentate dallo stesso scostamento rispetto a Gerico: il maggior ricavo o compenso determinato sulla base degli studi di settore, per questo motivo, assume il valore di presunzione relativa.
E’ l’applicazione stessa degli studi di settore che deve, quindi, ritenersi sufficiente ad assolvere l’onere della prova gravante sull’ufficio in sede di svolgimento dell’attività accertativa.
L’onere della prova si deve intendere assolto per effetto della complessa attività posta in essere per l’elaborazione degli studi di settore.

Gli elementi che sono alla base della stima dei ricavi o compensi da studi di settore sono il frutto di una specifica attività di analisi, che prevede la fattiva collaborazione delle associazioni di categoria interessate, che forniscono elementi di valutazione e conoscenza alla Commissione di esperti che esprime il parere previsto dall’articolo 10 della citata legge n. 146/1998, prima del decreto di approvazione ministeriale. La procedura di elaborazione degli studi di settore garantisce, infatti, affidabilità, obiettività e trasparenza al ragionamento presuntivo.

Conseguentemente, è il contribuente che deve fornire prova contraria per vincere questa dimostrazione.
Al riguardo, la Cassazione, con la sentenza n. 2891 del 27 febbraio 2002, ha confermato "…la piena legittimità della utilizzazione di ragionamenti presuntivi, nell’ambito degli accertamenti analitico-presuntivi di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 600 del 1973…”, sostenendo che “…non vanno fornite altre dimostrazioni…".
La medesima Corte, nel citare anche gli studi di settore, "…ha confermato sempre di più la possibilità che l’Amministrazione utilizzi strumenti presuntivi legittimati dalla prassi e valutati già in sede preventiva a livello generale". Il contribuente ha "…l’onere di attivarsi e di mostrare o l’impossibilità di utilizzare le presunzioni in quella fattispecie o l’inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le presunzioni".

La possibilità di effettuare un accertamento da studi di settore, sulla base del semplice scostamento tra i ricavi o compensi dichiarati e quelli stimati dagli studi stessi, era già prevista dall’abrogato comma 2 dello stesso articolo 10.
Il decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006, nel procedere alla citata abrogazione, ha consentito, fin dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2005, di effettuare accertamenti basati sugli studi di settore nei confronti dei contribuenti in regime di contabilità ordinaria per obbligo o per opzione, "in presenza del semplice scostamento dalla congruità per un solo periodo di imposta", e nei confronti degli esercenti arti e professioni, con le stesse modalità applicative in cui era consentito nei riguardi dei contribuenti che svolgono attività di impresa in regime di contabilità semplificata.

Inoltre, la legge finanziaria ha stabilito, all’articolo 1, comma 24, la decorrenza dal periodo di imposta in corso al 1° gennaio 2007 della sola disposizione contenuta nella lettera a) del comma 23, che prevede l’applicabilità degli studi anche a soggetti con periodi di imposta di durata diversa da dodici mesi.
Da qui discende che, nelle intenzioni del legislatore, la disposizione contenuta nella lettera b) non assume alcun carattere innovativo.

In tal senso, l’Amministrazione finanziaria si era già esplicitamente espressa nella risposta alla interrogazione parlamentare n. 5-00555 del 17 gennaio 2007, con la quale aveva affermato che "… l’articolo 1, comma 24, della citata legge n. 296 del 2006 ha stabilito la decorrenza dal periodo di imposta in corso al 1 gennaio 2007, solo con riguardo alla modifica prevista alla lettera a) del comma 23, della medesima legge, riguardante la possibilità di applicare gli studi di settore anche nei confronti di quei soggetti che hanno un periodo di imposta diverso da dodici mesi. Pertanto, la predetta modifica è strettamente correlata alla abrogazione, ad opera del decreto legge n. 223 del 2006, del comma 2 dell’articolo 10 e ribadisce la valenza probatoria degli studi di settore ai fini dell’accertamento".

A seguito di queste ultime considerazioni, non si può, pertanto, considerare intervenuta alcuna modifica sostanziale all’assetto legislativo preesistente alle modifiche introdotte dalla legge finanziaria citata, né, tanto meno, in relazione alle posizioni già assunte dall’Amministrazione finanziaria nelle circolari
n. 58/E del 2002 e n. 48/E del 2003.

La centralità dell’invito al contraddittorio
Già nell’articolo 1, comma 3-bis, della legge n. 146/1998, era stato previsto che l’ufficio, prima di procedere alla notifica dell’avviso di accertamento, deve invitare il contribuente a comparire presso i propri uffici.
E’ in sede di contraddittorio che l’ufficio ha il compito di verificare e di adeguare le risultanze dello studio di settore alla situazione effettiva del contribuente, al quale viene fornita la garanzia sulla possibilità di offrire giustificazioni in merito al mancato adeguamento alle risultanze di Gerico.

D’altra parte, l’Amministrazione finanziaria ha già chiarito che "lo scostamento potrà essere giustificato non solo in base a prove documentali, che abbiano un riscontro diretto ed immediatamente quantificabile sui ricavi dichiarati, ma anche in base ad un ragionamento di tipo presuntivo che si fondi su elementi certi e che conduca a valutazioni che abbiano una reale capacità di convincimento" (circolare n. 32/E del 21 giugno 2005).

Possono, dunque, condividersi, in questo senso, le conclusioni cui giunge la Suprema corte nella sentenza n. 17229 del 28 luglio 2006, in base alla quale la presunzione costituita dagli studi di settore, "quale che sia la sua connotazione giuridica", può essere legittimamente utilizzata dall’Amministrazione finanziaria, a condizione che venga regolarmente esperito il contraddittorio con il contribuente.

 
Maria Rita D'Isanto e Lanfranco De Santis
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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