Lavoro occasionale, parasubordinato e autonomo con partita Iva - 1.


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Lavoro occasionale, parasubordinato e autonomo con partita Iva - 1.
Autore: Baldassare Li Bassi - aggiornato il 14/03/2006
N° doc. 1317
 
14 03 2006 - Edizione delle 13:00  
 
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Lavoro occasionale, parasubordinato e autonomo con partita Iva - 1

Dal lavoro mediamente autonomo e occasionale al lavoro autonomo per natura o in senso stretto
 
Con l'entrata in vigore del Dlgs n. 276/2003, che ha recepito i principi della legge delega n. 30 del 14 febbraio 2003, in materia di occupazione (cosiddetta "legge Biagi"), il mercato del lavoro si presenta oggi assai articolato: tra il bianco del lavoro subordinato e il nero di quello autonomo e cioè dei due grandi blocchi del lavoro "tipico", sono sbocciate numerose sfumature di grigio.
Per definire i soggetti emergenti, i giuslavoristi usano il sostantivo "atipici", mentre nel linguaggio corrente vengono preferite le parole "parasubordinati" o "mediamente autonomi".

La riforma Biagi, oltre ad avere introdotto varie nuove forme di rapporto di lavoro dipendente, alcune innovative e altre sostitutive o integrative di forme esistenti (il contratto di somministrazione a tempo indeterminato o staff leasing, il contratto di somministrazione a tempo determinato o lavoro interinale, il distacco o affitto di personale, il contratto di appalto di servizi, il lavoro ripartito o job sharing, il lavoro a tempo parziale, l'apprendistato, il contratto di inserimento), ha innovato, altresì, sia pure in chiave antielusiva, sulle collaborazioni coordinate e continuative, con l'introduzione del lavoro a progetto e sull'apporto di lavoro in associazione in partecipazione, con trasformazione automatica del rapporto in lavoro subordinato in tutti i casi in cui siano violate le relative regole.
Tale riforma, infine, ha innovato anche sul lavoro occasionale, con l'introduzione delle prestazioni di tipo accessorio rese da particolari soggetti, delle collaborazioni coordinate e continuative minime o prestazioni occasionali tecniche e del lavoro subordinato discontinuo a chiamata o intermittente (job on call).

Il lavoro autonomo non è definito in modo specifico dal legislatore civilistico e viene quindi ricondotto genericamente nella tipologia contrattuale del contratto d'opera di cui all'articolo 2222 del codice civile, e cioè "Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente...".
Anche sul lavoro autonomo, di recente, si sono innescate nuove regole previdenziali, con l'articolo 44 del Dl 269/03; l'iscrizione alla gestione separata Inps, già prevista con l'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995, per i "soggetti scoperti" titolari di partita Iva, è stata estesa infatti anche ai lavoratori autonomi occasionali con un reddito annuo superiore a 5mila euro.
Il lavoro autonomo può essere pertanto occasionale senza partita Iva e apertura di posizione Inps al superamento dei 5mila euro di reddito annuo e contributi versati direttamente dal committente o abituale con partita Iva e apertura di posizione contributiva (gestione ordinaria o separata Inps e casse professionali) a prescindere dal reddito, e contributi versati direttamente dal lavoratore.

A far data dal 24 ottobre 2005 (data prorogata più volte e, da ultimo, dal Dlgs 251/04), i rapporti di cui all'articolo 409, n. 3, del c.p.c., "che si concretano in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato" devono essere "riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa".

La riforma, prevede tuttavia tutta una serie di rapporti di collaborazioni esclusi dalle regole del progetto, e precisamente:
  • le prestazioni occasionali tecniche o collaborazioni minime
  • le collaborazioni dei pensionati di vecchiaia
  • le collaborazioni nella Pubblica amministrazione
  • le collaborazioni in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche
  • le collaborazioni aventi per oggetto professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali
  • gli uffici di amministrazione e controllo di società e la partecipazione a collegi e commissioni.

L'addio al mondo delle collaborazioni coordinate e continuative, così come definite dall'articolo 50, comma 1, lettera c-bisl del Tuir, non sarà perciò definitivo.
I pensionati di vecchiaia, ad esempio, potranno continuare a essere utilizzati in base alle vecchie collaborazioni. Parimenti dicasi per gli enti locali, che potranno continuare in generale a far ricorso ai vecchi rapporti di co.co.co., per utilizzi e compiti più disparati: da autisti scuolabus a inservienti delle mense scolastiche, da animatori di centri di aggregazione sociale allo svolgimento di ordinari compiti professionali di ufficio.
In tali ambiti, cioè, si può continuare a ragionare ancora in termini di vecchi rapporti di co.co.co. e non di lavoro a progetto.

Con l'entrata in vigore della riforma Biagi, il panorama dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa comprende, dunque, sia le nuove collaborazioni a progetto sia le vecchie collaborazioni tipiche e atipiche di cui all'articolo 50, comma 1, lettera c-bis del Tuir.
Il legislatore giuslavoristico ha previsto cioè tutta una serie di collaborazioni che non necessariamente devono essere supportate dalla definizione di un progetto o programma o fase di lavoro. Nulla vieta però di ricondurre anche tali rapporti a un progetto.

Da notare che il legislatore giuslavoristico ha escluso dalle regole del progetto gli uffici di amministratore, sindaco e revisore di società nonché i partecipanti a collegi e commissioni, ma non anche le collaborazioni a giornali, riviste ed enciclopedie.
E' da ritenere dunque che anche le suddette collaborazioni debbano essere ricondotte a un progetto, programma o fase di lavoro. E' comunque opportuno evidenziare in materia di tali rapporti, la differenza tra il diritto d'autore e la collaborazione coordinata e continuativa, qualora ovviamente si è fuori da un rapporto di natura subordinata o di lavoro autonomo con partita Iva.
Se è infatti presente la parte creativa come, ad esempio, la redazione di un articolo o servizio giornalistico, la prestazione è da inquadrare nel diritto d'autore; è solo nel caso in cui sia assente la parte creativa che il rapporto può essere inquadrato nel rapporto di collaborazione e oggi, quindi, o nel lavoro a progetto o nella collaborazione occasionale. Si pensi, ad esempio, ai correttori di bozze, all'impaginatura del giornale e a tutti coloro che si limitano a fornire notizie utili per la redazione dell'articolo.

Il lavoro a progetto non va dunque a sostituire la tradizionale collaborazione coordinata e continuativa atipica ribattezzata dalla prassi co.co.co. e definita dall'articolo 50, comma 1, lettera c-bis, del Tuir, come quel rapporto "avente per oggetto la prestazione di attività svolta senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita", ma si affianca alle vecchie collaborazioni atipiche modificandone l'ambito applicativo.
E' noto, infatti, come il mondo dei vecchi co.co.co., potendo comprendere sia prestazioni a contenuto artistico o professionale che manuali, era diventato un mosaico di flessibilità, dove si trovava un po' di tutto, dai baristi agli impiegati, dalle centraliniste agli informatici.

L'espediente del progetto o programma ovvero di una fase di lavoro, impone ora alle parti di esplicitare in anticipo, con chiarezza e precisione, le modalità concrete di attuazione di questa prestazione di lavoro, che per quanto coordinata e continuativa, rimane pur sempre senza vincolo di subordinazione anche se con autonomia attenuata. In tali rapporti, cioè, l'autonomia è enfatizzata in funzione del risultato e nel rispetto del coordinamento con l'organizzazione del committente stesso e quindi non anche in riferimento all'autonomia gestionale del collaboratore.
Solo in presenza di entrambe le enfatizzazioni dell'autonomia di risultato e di gestione, l'attività può infatti considerarsi di lavoro autonomo per natura o in senso stretto. In mancanza, poco potrà tutelare il committente il ricorso alla tipologia civilistica del contratto d'opera, spingendo quindi il prestatore ad aprirsi la partita Iva.

Il lavoro autonomo per natura, di cui alla definizione civilistica del contratto d'opera, si caratterizza infatti per la contemporanea presenza dell'autonomia di gestione e di risultato della prestazione, mentre nel rapporto di collaborazione a essere enfatizzata è solo l'autonomia di risultato, ma non anche l'autonomia gestionale del lavoratore, in quanto rapporto per definizione coordinato dal committente. In pratica, un "terzo genere" tra lavoro subordinato e contratto d'opera o lavoro autonomo.
Il lavoro a progetto, pur formalmente autonomo, ha in definitiva caratteristiche molto simili al lavoro subordinato. E infatti anch'esso si basa sull'assunzione da parte del collaboratore del solo risultato dell'attività a condizione appunto che il committente fornisca allo stesso tutti gli strumenti per raggiungerlo.

Poco potrà tutelare, pertanto, il committente, l'apertura della partita Iva da parte del collaboratore, che semmai avrebbe il potere di moltiplicare i canali del controllo sulla regolarità del rapporto e comunque di non eliminare, dal punto giuslavoristico, il potenziale rischio di una causa che potrebbe sorgere nel momento in cui il fittizio lavoratore autonomo decidesse di richiedere al giudice l'accertamento della reale natura del rapporto di lavoro.
Il Fisco, ad esempio, potrebbe riqualificare gli accordi quali contratti di collaborazione, che come è noto sono fuori dal campo impositivo Iva e recuperare quindi a tassazione sui committenti, non solo l'Iva fatturata dal fittizio lavoratore autonomo e portata in detrazione, ma anche i relativi costi ai fini Irap, che, riqualificati come di collaborazione coordinata e continuativa, sono, alla pari dei costi di lavoro dipendente, indeducibili ai fini di questa imposta.
Ai fini Iva, in particolare, anche se il fittizio lavoratore autonomo corrisponde regolarmente l'imposta, sembra evidente cioè che il committente non possa invocare il principio di "neutralità" dell'Iva o l'assenza di danno per l'erario, per giustificare una detrazione per un contratto d'opera fasullo, per il quale cioè conosce fin dall'origine la carenza totale del presupposto soggettivo Iva in capo all'operatore.
Parimenti da escludere sembra altresì che ciò faccia sorgere il diritto del committente di chiedere al lavoratore la restituzione dell'Iva pagatagli in sede di rivalsa ed esclusa in detrazione dall'Erario, nonché il diritto del fittizio lavoratore autonomo di chiedere all'Amministrazione il rimborso dell'Iva. Una volta aperta la partita Iva, infatti, il soggetto emittente la fattura è debitore di imposta non in base ai presupposti o principi generali dell'Iva, ma semplicemente in applicazione della disposizione di cui all'articolo 21, comma 7, del decreto Iva, per aver indicato l'imposta in fattura. In effetti, il soggetto che emette la fattura è costituito debitore d'imposta non perché agisce nell'esercizio d'impresa, arte o professione, ma per il principio di "cartolarità" dell'operazione.

Anche il giudice del lavoro potrebbe riqualificare il rapporto in termini di collaborazione non ricondotto a un progetto e quindi trasformarlo in lavoro subordinato fin dall'origine.

Il legislatore giuslavoristico, infatti, nell'introdurre il lavoro a progetto, ha formalizzato anche l'aspetto sanzionatorio, conseguente a un uso fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative, prevedendone la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla costituzione del rapporto.
L'ipotesi disciplinata è quella del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, ovvero individuati, ma in assenza di reali spazi di autonomia del prestatore. L'impressione, tuttavia, è che il giudice del lavoro, anche a prescindere dalla titolarità della partita Iva del prestatore e dalla qualificazione del rapporto in termini di contratto d'opera, anziché in termini di collaborazione coordinata e continuativa, possa comunque accertare l'inesistenza della prova di un reale rapporto di lavoro autonomo per natura da parte del prestatore e quindi l'esistenza di un rapporto di collaborazione che ovviamente non ricondotto ad un progetto, in realtà, si è venuto a configurare come un lavoro subordinato, sin dall'origine.
Non è dunque l'esistenza della partita Iva del prestatore ovvero il nome attribuito al contratto dalle parti (contratto d'opera piuttosto che di lavoro a progetto) a prevalere, ma il comportamento di fatto tenuto.

E' evidente, invece, come sia del tutto logico che il prestatore apra la partita Iva, qualora nel continuativo rapporto la prestazione fosse realmente autonoma secondo la tipologia contrattuale del contratto d'opera di cui all'articolo 2222 del codice civile.
Nessuna norma, infatti, vieta a un soggetto di poter svolgere in autonomia gestionale e di risultati prestazioni abituali, anche a tempo indeterminato, a favore di un unico committente.

Immaginiamo, per esempio, l'attività di un esperto informatico:

  1. Se gli è richiesto di "costruire" un software su misura che svolga funzioni che si adattino alle specifiche esigenze dell'azienda, con attività che richiede la sua costante presenza in azienda, con inserimento funzionale quindi nell'organizzazione aziendale, ma in assenza di una reale subordinazione, il contratto potrà essere stipulato a durata determinata secondo la nuova disciplina del lavoro a progetto.
    In questo senso, il progetto potrà essere individuato nel tipo di software richiesto con l'indicazione delle caratteristiche di funzionamento e degli obiettivi del programma stesso (ad esempio, programma "custom" di contabilità industriale). Sarà importante, altresì, indicare nel contratto le modalità consentite al lavoratore per accedere nell'azienda, gli orari, gli strumenti informatici messi a disposizione del collaboratore, eventuali risorse umane di cui il collaboratore si potrà avvalere per sviluppare il progetto; fasce orarie di reperibilità e/o presenza in azienda; persona cui fare riferimento nello svolgimento della sua prestazione, eccetera.
  2. Se gli è richiesto, invece, di aggiornare i sistemi informatici alle necessità organizzative e/o aziendali, con prestazione che richieda anche qui un inserimento funzionale nell'organizzazione aziendale, ma attività non riconducibile a un progetto, allora il rapporto non potrà che essere di lavoro dipendente magari nella forma del contratto di somministrazione a tempo indeterminato o determinato. L'impresa, cioè, potrebbe anche avere convenienza a rivolgersi a un'agenzia autorizzata affinché invii un consulente informatico in staff leasing, laddove la ricerca, selezione e gestione del personale viene effettuata direttamente dall'agenzia, mentre il potere direttivo, organizzativo rimarrebbe in ogni caso all'azienda utilizzatrice.
  3. Se tali attività, al contrario, non richiedono un tale inserimento funzionale, perché appunto l'esperto o consulente informatico svolge la sua opera in totale autonomia, senza alcun coordinamento spazio-temporale ovvero di subordinazione con il committente (svolgendo, ad esempio, la maggior parte del suo lavoro presso la sua sede), potrà trattarsi allora di un contratto d'opera di lavoro autonomo per natura o propriamente detto, anche a tempo indeterminato, con partita Iva.

Sulla scorta di tali precisazioni, è facile intuire come per molte attività in passato gestite con contratto di co.co.co., solo di durata ma in assenza di un risultato specifico, secondo le regole dell'articolo 50, comma 1, lettera c-bisl, del Tuir, sarà rischioso migrarle nel lavoro a progetto o nel lavoro a fattura, fermo restando che l'eventuale esigenza di flessibilità potrebbe anche essere soddisfatta con il contratto di somministrazione di manodopera.
Si pensi, per esempio, ai consulenti di marketing che svolgevano stabilmente in azienda questa attività mediante un contratto di collaborazione di cui al citato articolo 50, comma 1, lettera c)-bis, del Tuir. In questa ipotesi. si ritiene infatti che la reiterazione dell'attività svolta dal consulente configuri una prestazione di durata senza fornire uno specifico risultato nel senso voluto dal legislatore giuslavoristico. Cosa diversa sarebbe, infatti, se il consulente fosse incaricato di realizzare la campagna pubblicitaria di uno o più prodotti ben individuati che devono essere collocati sul mercato. Solo in questa ultima ipotesi, infatti, è più facilmente rilevabile un risultato specifico e non generico.
Con l'obiettivo di svolgere ricerche di mercato, le società specializzate potrebbero, ad esempio, incaricare determinati lavoratori di effettuare interviste. Al riguardo, un progetto potrebbe infatti essere identificato nel tipo e nello scopo della ricerca di mercato, nel modo di effettuarla (personalmente, telefonicamente, su moduli prestampati dal committente, eccetera), nel numero totale delle persone da contattare indicando anche come il lavoratore a progetto potrà utilizzare gli strumenti suoi e del committente, fasce orarie di reperibilità e/o presenza in azienda; forme di collaborazione con altri dipendenti senza alcun potere gerarchico; eccetera.

Da notare, tuttavia, che tra i casi per i quali è possibile stipulare anche un contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato o in staff leasing, ci sono anche le attività di marketing, analisi di mercato e organizzazione della funzione commerciale. L'esigenze di flessibilità di questo settore aziendale potrebbe quindi essere soddisfatta anche attraverso tale contratto.

Da notare, altresì, che il contratto di somministrazione a tempo indeterminato può essere concluso solo per determinate attività, e, fra queste, sono comprese anche le attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale. Per tali attività, dunque, che in passato potevano essere agevolmente gestite sotto forma di collaborazione, qualora non fosse possibile ora ricondurli a un progetto, una flessibile soluzione contrattuale potrebbe quindi essere rappresentata proprio dall'istituto contrattuale in questione.

Altra attività per la quale in passato si sono registrate numerose collaborazioni è quella amministrativa. Anche qui, sembra rischioso sostenere la liceità di una collaborazione a progetto avente come risultato specifico quello della tenuta dei documenti contabili o di emissione delle fatture o di recupero crediti.
Probabilmente, un rapporto di collaborazione a progetto, potrebbe configurarsi, ad esempio, in riferimento a uno studio di fattibilità oppure alla registrazione di documenti contabili finalizzata al recupero dell'arretrato.
Qualora non fosse possibile individuare un progetto, l'esigenza di flessibilità, di tale settore, non potrà però essere soddisfatta con il lavoro in staff leasing, in quanto attività non contemplata, ma con il diverso istituto della somministrazione a tempo determinato, che tuttavia è consentito solo per soddisfare esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo.
L'attività, ad esempio, svolta dal ragioniere e dal contabile in generale, è legata all'attività amministrativa dell'azienda. In quasi tutte le medie e grandi imprese esiste infatti, all'interno della propria struttura, un ufficio che si occupa sia degli adempimenti fiscali sia degli adempimenti amministrativi. Soprattutto in coincidenza dei periodi primaverili, l'ufficio amministrativo subisce dei grossi incrementi di attività dovuti alle scadenze fiscali o alla presentazione del bilancio di esercizio. In questi casi, non è effettivamente agevole individuare un progetto, programma di lavoro o fasi di esso. L'esigenza di flessibilità di questo settore aziendale potrebbe quindi essere soddisfatta attraverso un contratto di somministrazione a tempo determinato.
L'azienda cioè, anziché rivolgersi a strutture professionali esterne, potrebbe avere convenienza a chiedere direttamente all'agenzia di lavoro interinale l'invio di un lavoratore esperto e specializzato in contabilità/bilancio e adempimenti amministrativi. Un contabile ragioniere, inoltre, potrebbe essere inserito, non solo perché sussistono ragioni tecniche, produttive o organizzative, ma anche sostitutive, per esempio, perché si debba procedere alla sostituzione di lavoratori assenti per ferie, aspettativa, congedo a vario titolo, malattia, eccetera. L'azienda otterrebbe così un lavoratore già "formato" e "specializzato" evitando di perdere del tempo non solo nella ricerca del personale ma anche nella formazione del personale.

1 - continua. La seconda puntata sarà pubblicata mercoledì 15

 
Baldassare Li Bassi

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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