Le deroghe al segreto bancario alla luce delle modifiche apportate con la Finanziaria 2005


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Le deroghe al segreto bancario alla luce delle modifiche apportate con la Finanziaria 2005
Autore: SSEF - aggiornato il 29/07/2005
N° doc. 359
Le deroghe al segreto bancario alla luce delle modifiche apportate con la Finanziaria 2005

Sommario: 1. Introduzione; 2. Profili storici ed evolutivi del segreto bancario in ambito fiscale; 3. La Finanziaria 2005: ampliato il terreno di operatività delle indagini bancarie; 3.1.   I cinque ambiti delle modifiche apportate dal novellato  n. 7) dell’articolo 32, del  DPR n. 600 del 1973; 3.2.   Le modifiche apportate dal novellato  n. 2) dell’articolo 32, del  DPR n. 600 del 1973; 4. Le operazioni di sportello sotto i 12.500 euro e nuovo obbligo di acquisire il codice fiscale; 5. Lo scambio telematico dei dati e l’entrata in vigore delle nuove disposizioni. Il differimento al 1° gennaio 2006 delle nuove procedure.

 

1.    Introduzione

La legge Finanziaria n. 311 del 30 dicembre 2004, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina fiscale delle deroghe al segreto bancario. Le disposizioni innovative, che abbracciano numerosi aspetti della disciplina operativa, si ritrovano nei commi 402 e 403 dell’art. 1 della medesima legge, pubblicata nel supplemento ordinario n. 192 alla “Gazzetta Ufficiale” del 31 dicembre 2004. Le modifiche in parola non innovano radicalmente l’istituto dei controlli bancari, limitandosi piuttosto ad apportare alcuni correttivi all’impianto di base delle regole previgenti, in stretta continuità con l’evoluzione proveniente dal passato.  Si tratta, infatti, di una procedura che pur se pensata, nei suoi tratti di base, sin dal lontano 1982, fino a oggi non è stata sperimentata sul campo come procedura di massa, applicabile come strumento ordinario in sede di controllo fiscale del contribuente.

L’assetto delle regole attuali in materia, pertanto, rappresenta il frutto di una lunga evoluzione che prende avvio dalla data di entrata in vigore della riforma tributaria del 1973. L’impianto complessivo dell’istituto, infatti, risente delle diverse fasi evolutive che la normativa ha vissuto nel corso degli oltre trent’anni che ci separano da quella data.

Durante il periodo che precede l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dalla Finanziaria 2005 è possibile individuare tre fasi storiche in cui la normativa di deroga al segreto bancario ha avuto una portata e un significato progressivamente diversi rispetto a oggi. I tre periodi in parola possono essere così raggruppati:

-                     primo periodo: dal 1973 al 1982 (versione originaria degli artt. 32 e 35 del DPR n. 600 del 1973)

-                     secondo periodo: dal 1983 al 1991 (DPR n. 463 del 1982)

-                     terzo periodo: dal 1992 al 2004 (articolo 18 della legge n. 413 del 1991).

Poiché, come si diceva innanzi, la nuova normativa si è limitata ad ampliare l’ambito  dei poteri già preesistenti in capo all’amministrazione finanziaria, si ritiene opportuno, nel presente lavoro, riportare in via preliminare i tratti salienti delle tre fasi evolutive che hanno preceduto l’ultima riforma intervenuta sulle deroghe in ambito fiscale al segreto bancario.

Successivamente, saranno approfondite le problematiche più attuali, venute alla luce a seguito delle modifiche da ultimo apportate con la Finanziaria 2005. Tali modifiche, che peraltro concernono pure obblighi di carattere generale, talvolta non limitati ai profili tributari, hanno avuto per oggetto:

- l’ampliamento dei poteri di indagine bancaria alle cosiddette operazioni “fuori conto”

- l’estensione dell’obbligo in capo alle banche di identificare il cliente anche al di sotto dell’importo di 12.500 euro

- il ritocco alla normativa concernente la utilizzabilità dei versamenti e dei prelevamenti in sede di accertamento

- l’allargamento del numero di soggetti (oltre a banche e poste) cui l’amministrazione finanziaria potrà richiedere notizie

- modifica delle procedure e delle modalità di scambio delle informazioni tra amministrazione finanziaria e banche.

 

2. Profili storici ed evolutivi del segreto bancario in ambito fiscale

Il fondamento giuridico del segreto bancario, sul piano storico, è nella legge bancaria. L’art. 10 del RDL n. 375 del 12 marzo 1936, nel testo rivisitato e oggi sostituito dall’art. 7, comma 1 del D.Lgs. n. 385 del 1 settembre 1993, stabilisce che “tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, a eccezione del Ministro dell'economia e delle finanze, Presidente del CICR. Il segreto non può essere opposto all'autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini, o i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente”.

Per quanto riguarda l’evoluzione, in ambito fiscale, della normativa sulle deroghe al segreto bancario sono storicamente identificabili quattro diverse fasi, ciascuna con una diversa dose dei poteri attribuiti all’amministrazione finanziaria: con una graduazione progressiva, intervenuta nel corso degli anni, sia sul piano della estensione delle possibili attività istruttorie sia sul piano delle facilitazioni sul fronte dell’accertamento in senso stretto.

All’origine, con l’approvazione nel 1973 del DPR n. 600 del 1973, ogni tipo di movimentazione bancaria svolta in capo al contribuente era perfettamente schermata da un filtro che rendeva davvero impenetrabile, nei riguardi dell’amministrazione finanziaria,  il mondo degli istituti di credito.  Gli uffici delle imposte, infatti, all’epoca avevano possibilità quasi nulle di accesso alle informazioni bancarie concernenti eventuali operazioni poste in essere dal contribuente assoggettato a controllo. L’unico strumento, nelle mani dell’amministrazione finanziaria, era quello previsto dall’art. 35 (oggi soppresso), secondo cui  l’ufficio poteva richiedere alla banca copia dei conti da essa intrattenuti col contribuente di volta in volta interessato dal controllo. Ma questa possibilità era consentita solo in ipotesi rarissime, ovvero in presenza di fatti estremamente gravi, dal punto di vista fiscale, vale a dire quando l’ufficio avesse già provato, in danno del contribuente assoggettato a controllo, forme gravissime di evasione (ricavi evasi per almeno il triplo rispetto a quelli dichiarati, omessa tenuta di tutte le scritture contabili per almeno un triennio, eccetera). Non solo. Ma per consentire all’ufficio di venire in possesso della “copia dei conti” era comunque previsto un duplice filtro procedurale. Nel senso che la richiesta dell’ufficio poteva essere formulata solo dopo aver acquisito il “parere conforme” dell’allora Ispettorato compartimentale delle imposte dirette. Inoltre, la richiesta in parola doveva essere preventivamente autorizzata dal Presidente della Commissione tributaria di primo grado.

Come si capisce, la schermatura in tal modo predisposta era di rilevanza così ragguardevole sotto il duplice profilo, sostanziale (condizioni oggettive di accesso alla deroga) e procedurale (duplice passaggio, dapprima presso l’Ispettorato e poi presso il Presidente di commissione) che, durante il periodo in questione, l’utilizzo dei poteri di deroga al segreto bancario da parte degli uffici finanziari fu scarsissimo e praticamente molto vicino a zero.

La seconda fase, nella più recente ricostruzione storica, della normativa fiscale di deroga al segreto bancario, si realizza con la riforma del 1982 (DPR n. 463 del 15 luglio 1982). Qui i poteri dell’amministrazione finanziaria vengono ampliati in maniera ragguardevole, anche se ciò avviene in via solamente potenziale. Le novità sono due: sul piano dei poteri istruttori, vengono rafforzate le prerogative degli uffici, ai quali viene addirittura consentito, per la prima volta, di accedere essi stessi, oltre alla Guardia di finanza, presso gli sportelli e le sedi degli istituti di credito, in funzione ispettiva e per il controllo della posizione riguardante il singolo contribuente. In secondo luogo, e qui è la seconda novità, ancora più rilevante della prima, l’ampliamento dei poteri attribuiti all’ufficio va oltre la fase istruttoria, in quanto si consente a quest’ultimo di utilizzare i dati bancari all’interno dell’avviso di accertamento, con un iter fortemente facilitato, per l’ufficio finanziario, sul piano probatorio. Viene infatti prevista, a favore dell’ufficio delle imposte, l’operatività di una presunzione legale: in base a essa gli importi risultanti dalle movimentazioni bancarie possono essere messi a base dell’accertamento, tout court, se il contribuente non fornisce la prova contraria. Questa prova contraria, inoltre, non è “libera”, ma può essere data esclusivamente dimostrando, con riferimento a ciò che  risulta dalle movimentazioni bancarie, una di queste due circostanze:

- che l’interessato “ne ha  tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta”;

- che i movimenti in parola “non hanno rilevanza allo stesso fine”.

Il meccanismo fin qui descritto, tuttavia, pur essendo potenzialmente prodigo di maggiori poteri a favore dell’amministrazione finanziaria, di fatto era destinato anche in questa seconda fase a funzionare poco e male: ancora un volta, solo in via di eccezione, ovvero solamente in una sparuta serie di casi particolari, e non come procedura di routine,  applicabile ordinariamente verso tutti.  Ciò per via del fatto che, anche in questa seconda fase, dal 1982 al 1991, restano in piedi le due forme di schermatura che sin dall’origine avevano confinato l’utilizzo concreto delle deroghe al segreto bancario a ipotesi molto difficilmente riscontrabili nella realtà concreta. Resta in piedi, infatti, durante tutta la seconda fase,  sia il doppio filtro procedurale (secondo cui l’accesso ai dati bancari è subordinato al parere preliminare dell’Ispettorato compartimentale delle imposte dirette e all’autorizzazione del Presidente della Commissione di primo grado), sia lo schermo sul piano sostanziale, che continua a vietare l’accesso ai dati bancari per la generalità delle situazioni soggette a controllo, fatta eccezione per quei casi molto gravi di evasione (doveva trattarsi, ancora una volta, di un’evasione che fosse stata già accertata, prima ancora di avere il via libera a poter richiedere i dati presso gli istituti di credito). E, infatti, le ipotesi che, in questa seconda fase,  fanno da presupposto all’accessibilità dei dati bancari contemplano situazioni che nella prassi applicativa molto di rado si realizzano con quelle caratteristiche di gravità volute dalla norma. E ciò, soprattutto perché si tratta di ipotesi da comprovare in modo “certo”,  prima di richiedere al Presidente della Commissione tributaria l’autorizzazione di deroga al segreto: ricavi accertati pari al quadruplo di quelli dichiarati, omessa tenuta di tutte le scritture, contabilità inattendibile tale da giustificare un accertamento induttivo (fermo restando, in tutti i casi, l’ulteriore requisito rappresentato dalla soglia minima di 100 milioni di vecchie lire in termini di evasione da comprovare, sempre in via pregiudiziale rispetto alla richiesta di autorizzazione alle indagini bancarie).

Il terzo passaggio, nell’evoluzione della normativa di deroga al segreto bancario, si realizza nel 1991, con l’articolo 18 della legge n. 413 del 30 dicembre 1991. Le modifiche apportate con la novella lasciano immutato l’impianto di base della riforma apportata nel 1982. La novità consiste semplicemente nella eliminazione della duplice forma di schermatura che, durante i vent’anni di applicazione delle prime due fasi, aveva reso di fatto impraticabile l’accesso ai dati bancari, in sede di controllo ordinario sul contribuente.  E così, volendoci, limitare in questa sede alle modifiche disposte sul solo versante delle imposte dirette, va ricordata la soppressione dell’art. 35 del DPR n. 600 del 1973, a cui si affianca la riscrittura dell’articolo 32. Il risultato è che, dopo il 1991,  l’accesso ai dati bancari non è più circoscritto a quelle sparute ipotesi  di evasione già pregiudizialmente accertata per importi rilevanti, ma diventa uno strumento accertativo “ordinario” , almeno sulla carta. Uno strumento, dunque, utilizzabile dall’amministrazione finanziaria (Uffici imposte, uffici Iva e Guardia di finanza) nei confronti di chiunque, senza più obbligo di fornire preliminarmente alcuna prova giustificativa.  Scompare anche il filtro autorizzatorio previsto precedentemente in capo al Presidente della Commissione tributaria di primo grado, che era stato in passato investito quale organo giurisdizionale in funzione di controllo preventivo di terzietà.

L’unico “schermo” sopravvissuto, rispetto alle prime due fasi,  è quello di tipo procedurale consistente in un’autorizzazione preventiva che l’ufficio operativo o il comando della Guardia di Finanza debbono previamente acquisire. Tale autorizzazione, tuttavia, è rimessa alla stessa amministrazione procedente e, più precisamente, alla rispettiva struttura di vertice esistente a livello territoriale (struttura che dopo le varie riforme apportate nel corso degli ultimi anni, corrispondono oggi, per l’Agenzia delle Entrate, al direttore regionale, e, per la Guardia di Finanza, al Comandante regionale).  Restano in piedi invece, durante questa terza fase,  le altre previsioni di base della riforma varata nel 1982: sia quelle attinenti l’estensione dei poteri istruttori, sia quelle attinenti l’area dell’accertamento (inversione dell’onere della prova in danno del contribuente assoggettato a controllo).

 

3. La Finanziaria 2005: ampliato il terreno di operatività delle indagini bancarie

Le modifiche introdotte dalla Finanziaria 2005 realizzano una fase ulteriore (la quarta) nella ricostruzione storico-evolutiva dell’istituto di deroga al segreto bancario. Le innovazioni  concernono essenzialmente l’ampiezza dei poteri istruttori e di quelli di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Tali modifiche possono a grandi linee suddividersi in due parti:  

a)                ampliamento oggettivo e soggettivo degli ambiti di operatività delle deroghe al segreto bancario;

 

b)                informatizzazione dello scambio di dati concernenti le richieste di deroga al segreto bancario e le correlate risposte delle banche. 

Più precisamente, i commi 402 e 403 dell’art. 1 della L. 30 dicembre 2004, n. 311, separano nettamente fra imposte dirette (comma 402) ed Iva (comma 403) i terreni di operatività delle rispettive modifiche apportate. Si tratta, infatti, di modifiche che, sul piano della tecnica di redazione,  scorrono con perfetto parallelismo. Ciò nel senso che non cambiano minimamente, fra i due tributi, i contenuti delle modifiche stesse. Per cui,  si perviene a una disciplina delle procedure di controllo e di accertamento, mediante indagine bancaria, davvero uniforme tra imposte dirette ed Iva. Restano ferme, piuttosto, alcune distinzioni, peraltro presenti già  nella normativa originaria. Come, in particolare, quella relativa alla presunzione legale di ricavo operante per i “prelevamenti” risultanti dal conto del contribuente.  Anche dopo le modifiche apportate dalla Finanziaria 2005, pertanto, tale presunzione è operativa solo ai fini delle imposte dirette, ai sensi dell’art. 32, n. 2) del DPR n. 600 del 1973, mentre essa non può operare ai fini Iva, giusta art. 51, secondo comma, n. 2) del DPR n. 633 del 1972.

In ragione, tuttavia, di tale perfetto parallelismo delle modifiche apportate in materia di imposte dirette e Iva, nel prosieguo del presente lavoro si farà riferimento alla sola normativa afferente le imposte dirette (comma 402), mentre per la disamina delle corrispondenti modifiche apportate ai fini Iva, non si deve far altro che riferire il commento all’omologo testo coordinato, del vigente art. 51 del DPR n. 633 del 1972, come da ultimo modificato dal menzionato comma 403.

Di seguito vengono esaminate distintamente le due disposizioni di base che, nella lettura coordinata conseguente alle modifiche testuali apportate, racchiudono i tratti salienti delle novità introdotte dalla Finanziaria 2005 sui poteri di deroga al segreto bancario in ambito fiscale. Importanza secondaria, infatti, rivestono i “ritocchi” normativi alle disposizioni di cui ai numeri 5) e 6-bis, che si limitano ad allineare le rispettive previsioni, per esigenze di coordinamento complessivo, a quanto più radicalmente innovato dal comma 402 con il nuovo testo dei numeri 7) e 2) dell’art. 32,  del DPR n. 600 del 1973.


3.1   I cinque ambiti delle modifiche apportate dal novellato  n. 7) dell’art. 32, del  DPR n. 600 del 1973

La modifica più rilevante concerne la sostituzione del primo periodo del n. 7) dell’art. 32 del DPR n. 600 del 1973. Il nuovo testo introduce sostanzialmente novità su cinque fronti.

Il primo ambito concerne il profilo autorizzatorio. E’ confermata la necessità della previa autorizzazione da parte del comandante regionale del Corpo della Guardia di Finanza, ovvero, del direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, prima di poter rivolgere alle banche o agli altri soggetti a queste assimilabili, una richiesta di dati e notizie concernenti un determinato contribuente. A queste figure, già in precedenza previste, si aggiunge ora la possibilità che l’autorizzazione in parola possa essere concessa, in via alternativa, anche dal direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate.  Si deve infatti ritenere che vi sia alternatività fra gli organi cui compete il rilascio dell’autorizzazione in parola.

La seconda novità riguarda la tipologia di soggetti a cui l’amministrazione finanziaria potrà rivolgersi per richiedere dati e notizie da utilizzare per finalità di controllo e accertamento. La nuova disposizione prevede infatti che le richieste della Guardia di Finanza o degli uffici delle Entrate potranno essere rivolte non solo a banche e poste (limitatamente, per queste ultime, alle attività finanziarie e creditizie), ma anche a:

-                     intermediari finanziari

-                     imprese di investimento

-                     organismi di investimento collettivo del risparmio

-                     società di gestione del risparmio

-                     società fiduciarie.

Una terza previsione, inoltre, toglie ogni velo a tutte le intestazioni fittizie in passato intrattenute con società fiduciarie. Si estendono a tutto campo, infatti, i poteri d’indagine dell’amministrazione finanziaria su ogni tipo di società fiduciaria, eliminandosi ogni incertezza registrata fino a ieri sul distinguo tra le cosiddette fiduciarie di gestione “statica” (che sono quelle svolgenti solo l’amministrazione di beni, assoggettate alle disposizioni di cui alla legge n. 1966 del 1939) e le fiduciarie di gestione “dinamica” (che sono quelle che svolgono, a esempio, attività di gestione e intermediazione di portafogli titoli, inquadrate nel D.Lgs. n. 58 del 1998)[1]. Con le modifiche varate nella Finanziaria 2005, l’amministrazione finanziaria potrà in futuro richiedere a tutte le tipologie di società fiduciarie di comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali esse hanno detenuto, amministrato o gestito i seguenti elementi patrimoniali, inequivocamente individuati:

-                     beni;

-                     strumenti finanziari;

-                     partecipazioni in imprese.

Su quest’ultimo aspetto le novità sono di due tipi: anzitutto le richieste potranno essere fatte non più ai sensi del n. 5), ma ai sensi del n. 7) del medesimo articolo 32. Mentre fino a ieri, infatti, le richieste di informazione potevano effettuarsi solamente per categorie di soggetti e senza una rilevanza diretta nella procedura di accertamento, in futuro queste notizie potranno essere rivolte dall’amministrazione finanziaria nell’ambito dell’istruttoria individuale per l’accertamento riguardante il singolo contribuente. A differenza del passato, quindi, le informazioni acquisibili tramite fiduciaria potranno essere direttamente utilizzate dall’amministrazione all’interno di un accertamento, con inversione automatica dell’onere della prova, a sfavore del contribuente. Ciò per via del fatto che il nuovo testo del n. 2) dell’articolo 32 del DPR 600 del 1973 stabilisce l’inversione dell’onere della prova, a favore dell’amministrazione finanziaria, in relazione a tutte le tipologie di “dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti … a norma del numero 7) …”. A ciò deve inoltre aggiungersi che vengono ulteriormente facilitate le chance dell’agenzia delle Entrate di poter aggredire, utilizzando a esempio la presunzione di cui al terzo comma dell’articolo 37 del DPR n. 600 del 1973, quelle intestazioni fittizie realizzate per il tramite delle fiduciarie.

La quarta novità, insita nelle modifiche al numero 7),  riguarda la procedura stessa di acquisizione dei dati e delle notizie. La disposizione previgente stabiliva che il contenuto delle richieste che uffici e GdF potevano effettuare nei riguardi degli istituti di credito dovevano pedissequamente ricalcare un questionario appositamente approvato con decreto del ministro delle Finanze (Dm 9 dicembre 1999).  Ora la nuova formulazione del n. 7) “elimina” ogni riferimento al modello conforme di questionario, per cui è da ritenere che tale modello sia stato soppresso,  in quanto destinato a essere sostituito dalla modulistica su base informatizzata che dovrà essere approvata  con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate (comma 404).

La quinta e ultima delle novità rinvenibili dalla riformulazione del n. 7) concerne l’elemento oggettivo dell’indagine bancaria, ovvero il tipo di operazioni che potranno in futuro essere intercettate in sede di controllo fiscale. Il nuovo n. 7) stabilisce, infatti, che le richieste dell’amministrazione finanziaria possono avere ad oggetto dati e notizie riferibili non solo a “rapporti di conto” intrattenuti dal contribuente controllato. In futuro esse potranno anche riguardare, più estensivamente che in passato, “qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi”.   Questa modifica è  essenzialmente finalizzata a estendere alle cosiddette operazioni “fuori conto” il potere, in precedenza precluso, di acquisizione delle notizie in ambito fiscale.  Secondo la procedura in vigore fino al 2004, infatti, la richiesta formulata a un istituto di credito poteva avere a oggetto solamente un numero ben circoscritto di operazioni: in particolare solo quelle annotate in “conti” continuativi facenti capo all’interessato, o comunque risultanti da operazioni in qualche modo connesse con gli stessi conti. Per questo, nel 1996 la ben nota circolare 116 del ministero delle Finanze aveva potuto specificare che la banca la quale sia raggiunta da una richiesta dell’amministrazione finanziaria è tenuta a non trasmettere, a esempio, le notizie relative all’acquisto di certificati di deposito che siano stati dal contribuente negoziati allo sportello, in moneta contante (cosiddette movimentazioni “per cassa”). Ciò, tuttavia, sempreché i certificati stessi non fossero rimasti in custodia presso la banca, ciò che li farebbe transitare per forza dal conto corrente, rendendoli per ciò stesso menzionabili verso l’amministrazione finanziaria, in caso di controllo bancario.

In base alla previgente normativa, inoltre, rimanevano al riparo da ogni possibile indagine anche i cosiddetti conti transitori (quelli, cioè, creati internamente dalle banche, per finalità organizzatorie interne, senza la preesistenza di un vincolo contrattuale sottoscritto dall’interessato). Sempre in base alla normativa previgente, le indagini bancarie erano pure precluse in materia di informazioni concernenti i “servizi accessori”, come quelli relativi alle cassette di sicurezza.

La principale tipologia di operazione “coperta” da segreto assoluto, tuttavia, fino all’entrata in vigore della Finanziaria 2005, è rappresentata dalla cosiddetta operazione “fuori conto”. Si tratta della classica operazione “di sportello”, talvolta scientemente effettuata dal contribuente presso una località lontana dal luogo di abituale  svolgimento dell’attività, con il deliberato fine di sfuggire alle possibili maglie di un futuro controllo bancario. Un controllo che, appunto, fino a ieri si sarebbe limitato alle movimentazioni “risultanti da conti”, ovvero connesse con i conti medesimi.

Esempi tipici di operazioni “fuori conto” sono le seguenti: incasso allo sportello di un assegno bancario, richiesta di assegno circolare pagato in contanti, cessione di effetti al dopo incasso, richiesta di bonifico pagato in denaro contante. 

Con le modifiche apportate dalla Finanziaria 2005 tutte queste limitazioni ai poteri d’indagine, a suo tempo dettagliatamente  esplicitate nella circolare n. 116 del 1996, vengono meno alla radice. Per cui la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate potranno in futuro richiedere alle banche notizie concernenti anche operazioni fuori conto, nessuna esclusa, ivi comprese tutte quelle viste sopra, a suo tempo considerate impenetrabili rispetto agli uffici fiscali dalla circolare n. 116/E/1996.

A proposito dell’estensibilità dei poteri di indagine ai “servizi prestati” al cliente, appare utile riportare  la definizione normativa di servizi accessori stabilita dal vigente testo unico delle disposizioni in materia finanziaria (articolo 1, comma 6 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58). Ai sensi di tale disposizione, infatti, per “servizi accessori” si intendono:

a) la custodia e amministrazione di strumenti finanziari;

b) la locazione di cassette di sicurezza;

c) la concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di effettuare un'operazione relativa a strumenti finanziari, nella quale interviene il soggetto che concede il finanziamento;

d) la consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni connesse, nonché la consulenza e i servizi concernenti le concentrazioni e l'acquisto di imprese;

e) i servizi connessi all'emissione o al collocamento di strumenti finanziari, ivi compresa l'organizzazione e la costituzione di consorzi di garanzia e collocamento;

f) la consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari;

g) l'intermediazione in scambi, quando collegata alla prestazione di servizi d'investimento.

 

3.2 Le modifiche apportate dal novellato  n. 2) dell’articolo 32, del  DPR n. 600 del 1973

Le novità nel testo riscritto dell’articolo 32, n. 2) del DPR n. 600 del 1973 possono ridursi sostanzialmente a tre. La prima concerne i titolari di reddito di lavoro autonomo. In passato si era dubitato che nei riguardi di essi potesse operare la presunzione legale stabilita nel medesimo n. 2) che abilita l’ufficio a porre a base delle rettifiche come “ricavi” i prelevamenti annotati nei conti e non risultanti dalle scritture contabili. Ciò per via del fatto che, dal punto di vista tecnico, la nozione di ricavo è circoscritta ai componenti positivi del reddito d’impresa, mentre la corrispondente voce nell’ambito del reddito di lavoro autonomo è tecnicamente denominata “compenso”. In passato, tuttavia, la corte di Cassazione già in via interpretativa aveva risolto a favore del Fisco la querelle (Cassazione, sezione I, sentenza n.  11094 del 6 ottobre 1999). Nell’occasione, il supremo consesso aveva infatti affermato: “deve comunque escludersi, che, nel caso, si debba tenere conto della parola "ricavi" usata al n. 2 dell'art. 32 del D.P.R. 600/73, per affermare che la norma disciplinerebbe solo i redditi d'impresa e non quelli di lavoro autonomo in sede di verifica dei conti correnti acquisiti ai sensi del n. 7 dello stesso art. 32.”  Ora la Finanziaria 2005 spazza via ogni dubbio, per cui la presunzione legale potrà, a pieno titolo, operare in danno del contribuente controllato, sia che si tratti di imprenditore, sia che si tratti di libero professionista.

La novella ha suscitato osservazioni critiche nei primi commenti della dottrina, in quanto tale equiparazione sarebbe non ragionevole e comunque contraria ai principi di buon senso poiché costringerebbe il professionista a tenere memoria di tutti i prelevamenti effettuati sul proprio conto[2].

La seconda modifica concerne l’ampliamento, a finalità accertative, delle possibilità che l’amministrazione finanziaria avrà di acquisire notizie relative alle cosiddette operazioni “fuori conto”. “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti … a norma del numero 7) …sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito … o che non hanno rilevanza allo stesso fine. …”.  Da ciò discende, quindi, che, sia nei riguardi delle imprese, sia verso gli esercenti un’arte o professione, un semplice assegno cambiato allo sportello potrà in futuro essere intercettato dall’amministrazione finanziaria  ed essere trasformato in “ricavo” o “compenso” in evasione.  L’ufficio delle Entrate, infatti, potrà calcolare a tali fini non solo i prelevamenti risultanti dai conti, ma anche “gli importi riscossi” a qualunque titolo, anche allo sportello di una banca fuori piazza.

Questo inasprimento, che opera a pieno titolo anche sul versante accertativo, è tuttavia temperato da quella che sembra un’altra modifica, questa volta a favore del contribuente, che potrebbe forse introdurre elementi di moderazione nell’utilizzo del meccanismo che più in generale presiede all’inversione dell’onere della prova (punto 2 dell’articolo 32 primo comma, del Dpr n. 600/73, oltre che, ai fini Iva, punto 2, secondo comma, dell’articolo 51 del Dpr n. 633/72). Il testo vigente fino a ieri comportava, infatti, il vincolo, per gli uffici delle Entrate,  di considerare “singolarmente” le operazioni risultanti dai conti correnti. Questo significava, secondo l’orientamento invalso presso gli uffici finanziari, dover conteggiare tutte le operazioni di versamento e di prelevamento “a una a una”, ai fini della quantificazione  della cifra finale di evasione da addebitare. 

Nella nuova disposizione è invece scritto che a base degli accertamenti gli uffici debbono assumere “i dati ed elementi” attinenti ai rapporti e alle operazioni (mentre in passato si parlava di “singoli” dati ed elementi). La soppressione di quest’ultima parola potrebbe quindi significare che gli uffici possano in futuro considerare solo gli ammontari complessivi risultanti dai conti. E quindi i valori sarebbero da assumere “per masse” e senza dover pedissequamente sommare, ai fini del quantum da accertare, i singoli righi dell’estratto conto.

Dal combinato disposto normativo derivante dal nuovo testo di n. 2) emerge inoltre che la modifica intervenuta finirà per riguardare non solo imprese e professionisti, ma anche le altre  categorie di contribuenti, non esercenti attività autonome. A seguito dell’ampliamento, soprattutto verso intermediari finanziari, imprese di investimento e società fiduciarie, della possibilità di acquisire notizie, ai sensi del n. 7),   su eventuali operazioni di investimento finanziario poste in essere dal contribuente, si aprono infatti notevoli possibilità per l’amministrazione finanziaria di effettuare accertamenti sulla base di incrementi patrimoniali emersi dalle informazioni reperite per il tramite di quest’ultima tipologia di soggetti (articolo 38, quinto comma, Dpr n. 600/73).

 

4. Le operazioni di sportello sotto i 12.500 euro e nuovo obbligo di acquisire il codice fiscale

Il comma 332 dell’articolo 1 della Finanziaria 2005, entrato in vigore con effetto dal 1° gennaio 2005, ha apportato modifiche su un ambito non propriamente fiscale, ma pur tuttavia strettamente connesso all’evoluzione dei poteri di indagine fiscale delle movimentazioni bancarie relative al contribuente controllato. Dal  1° gennaio 2005, pertanto, sono stati estesi alle operazioni “fuori conto” gli  obblighi delle banche di acquisire i dati identificativi, compreso il numero di codice fiscale. Fino a fine 2004, l’identificazione era obbligatoria solo nei riguardi della clientela abituale (cioè quella intestataria di conti continuativi, a prescindere da limiti di valore), mentre per le operazioni di sportello effettuate dall’utenza occasionale l’obbligo scattava solo per operazioni di importo superiore a 12.500 euro[3].

Quest’ultima incombenza, di identificazione obbligatoria estesa a tutta la clientela occasionale, è collegata al dovere di registrazione di tali operazioni nel cosiddetto “archivio unico informatico”, istituito in base alla L. n. 197 del 1991, per finalità dirette alla segnalazione di operazioni sospette ai sensi della normativa antiriciclaggio. Diverse banche, comunque, già in passato si erano ispirate a regole di prudenza, per motivi interni di sicurezza, per cui anche prima della Finanziaria 2005 esse erano solite  censire, “a tappeto” le generalità di tutti i soggetti con cui entravano in rapporto, anche laddove non strettamente obbligate dalla legge (a esempio, per singole operazioni di sportello effettuate per importi sotto i 12.500 euro). 

Ora questa prassi è diventata un obbligo diffuso, che dal 1° gennaio riguarda “ogni soggetto che intrattenga con loro (cioè, le banche, nda) qualsiasi rapporto o effettui qualsiasi operazione di natura finanziaria”. Le banche sarebbero inoltre obbligate, sia pur in maniera implicita, a far risultare le informazioni in parola su supporto informatico, dato che successivamente l’istituto di credito dovrà comunicare i dati con modalità telematica, secondo procedure e tempi che saranno definiti da un provvedimento emesso dal direttore dell’agenzia delle Entrate. 

Su questo punto vanno registrate le perplessità avanzate dall’Abi con lettera circolare del 31 marzo 2005. Fino all’approvazione delle modalità di attuazione rimesse al provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate vi sarebbero difficoltà oggettive nel reperimento di questi dati che sfuggono tuttora alla rilevazione automatica[4].

La mancata osservanza dell’obbligo di comunicazione dei dati in parola  comporterebbe comunque l’applicazione della sanzione amministrativa tributaria stabilita dall’articolo 13, comma 2 del DPR n. 605 del 1973, nel testo da ultimo sostituito dall’art. 20 del D.Lgs. n. 473 del 1997: sanzione che va da un minimo di € 206 a un massimo di € 5.164 (importi dimezzati in caso di trasmissione di dati incompleti). Oltre alle banche, destinatari di questo nuovo obbligo sono le poste (limitatamente alle operazioni di natura finanziaria) e qualunque altro operatore finanziario, ivi compresi gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio e le società di gestione del risparmio.

 

5. Lo scambio telematico dei dati e l’entrata in vigore delle nuove disposizioni. Il recente differimento al 1° gennaio 2006

Il 1° luglio 2005 il direttore dell’agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento con cui sono stati differiti al 1° gennaio 2006 gli effetti delle nuove disposizioni che prevedono l’obbligo di effettuare “esclusivamente in via telematica” le richieste e le risposte aventi per oggetto le indagini bancarie. Prima di quella data, inoltre, dovrà essere evidentemente emanato il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate che dovrà approvare - in sostituzione dei vecchi modelli di questionario previsti su supporto cartaceo (di cui al DM 9 dicembre 1999) – “le disposizioni attuative e le modalità di trasmissione delle richieste e delle risposte, nonché dei dati e delle notizie riguardanti i rapporti e le operazioni indicati nel citato numero 7)”.  Per quanto concerne i tempi di risposta a disposizione dell’operatore finanziario, i commi 402 e 403 dell’art. 1 della L. n. 311 del 2004, provvedono ad accorciare da 60 a 30 giorni il tempo per evadere la richiesta.  I trenta giorni previsti dalla novella, tuttavia, costituirebbero un termine minimo allungabile anche oltre in presenza di richieste concernenti operazioni particolarmente complesse[5].  Questo termine potrà essere tuttavia prorogato per un periodo di 20 giorni, su istanza dell’operatore finanziario, in presenza di giustificati motivi.

Nelle motivazioni del recente provvedimento del 1° luglio, che sposta di sei mesi la decorrenza originaria, si fa riferimento al carattere “fortemente innovativo” delle nuove disposizioni con particolare riferimento alla definizione delle regole tecniche “in materia di sicurezza e di posta elettronica certificata”.  Il comma 404 dell’art. 1 della L. n. 311 del 2004 (finanziaria 2005) stabilisce, peraltro, che “una diversa decorrenza successiva” può essere prevista “con uno o più provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate”. E questo significa che eventuali ulteriori slittamenti sarebbero ugualmente possibili utilizzando il medesimo strumento normativo (provvedimento del direttore dell’Agenzia), senza necessità di modificare la legge ordinaria. A partire dal 1° gennaio 2006, pertanto, sia le richieste degli uffici e della Guardia di Finanza, sia le relative risposte da parte degli operatori finanziari, potranno effettuarsi solo  trasmissione telematica, anche per risposte negative.

La disciplina fin qui vista desta lascia un sottile margine di incertezza in merito ai termini di decorrenza delle nuove disposizioni. Da un punto di vista strettamente giuridico, in realtà, il nuovo testo sia dell’art. 32 DPR n. 600 del 1973 sia dell’art. 51 del DPR 633 del 1972 è già perfettamente in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2005. Solo in relazione all’attuale comma 3 dell’art. 32 DPR 600 del 1973 e, ai fini Iva, al comma 4 dell’art. 51 DPR 633 del 1972 (commi che disciplinano lo scambio di informazioni su base telematica nei sensi dianzi visti) è stabilita un’efficacia differita al 1° luglio 2005, efficacia ulteriormente spostata, da ultimo, al 1° gennaio 2006.

Non è chiaro, quindi, se l’estensione ai nuovi soggetti delle richieste, ovvero l’ampliamento del loro oggetto fino a comprendere le operazioni fuori conto, potrà avere efficacia da subito, cioè prima del 1° gennaio 2006, ovvero se tutto resta conforme alle procedure previgenti, in vigore fino al 2004, fino al varo definitivo dei provvedimenti di messa a regime delle disposizioni relative allo scambio telematico obbligatorio delle informazioni.

 Tenuto conto dei dati puramente testuali sembra in effetti condivisibile quanto affermato al riguardo  dall’Agenzia delle entrate. Secondo la circolare n. 10/E del 16 marzo 2005, infatti, l'impostazione che estende il differimento dell'efficacia anche ai nuovi poteri accertativi sembra non condivisibile: “il dato testuale delle disposizioni modificate, nell'individuare i mezzi di trasmissione delle richieste del Fisco, ammettono le modalita' di cui all'art. 60 del DPR 600/1973 ovvero lo strumento della raccomandata con avviso di ricevimento, anche con specifico riferimento ai poteri di recente istituzione. Tale previsione, cui segue quella che prescrive che lo scambio debba essere effettuato esclusivamente in via telematica, non avrebbe ragion d'essere se non potesse essere interpretata nel senso che, fin quando non entrerà in vigore l'obbligo di scambio telematico dei dati, trovano applicazione le ordinarie modalità di trasmissione anche con riguardo ai nuovi poteri, da ritenere operativi fin dal 1° gennaio 2005” .

Qualunque sia la tesi che sarà considerata prevalente, in effetti, poco cambia dal punto di vista dei contribuenti. Per i quali rileva invece il fatto che, una volta che sarà sbloccata la procedura telematica, la nuova dimensione ampliata dei poteri d’indagine potrà riguardare, con efficacia sostanzialmente retroattiva, tutte le annualità suscettibili di accertamento e non solamente quelle successive all’entrata in vigore delle nuove regole. Trattandosi, infatti,  di disposizioni di natura procedimentale concernenti la disciplina dei poteri istruttori, gli effetti sfavorevoli di questo inasprimento accertativo si riverberano a carico del contribuente anche per il passato (in tal senso, da ultimo, la sezione tributaria della Cassazione, con sentenza n. 14789 del 2002, relativa all’analogo problema postosi con le modifiche introdotte nel 1991 dall’art. 18 della L. n. 413).                                                                                   

dott. Giuseppe Pasquale

dirigente Ssef

Sede di Bari

professore a contratto di diritto tributario

Università di Bari



[1] In senso conforme, si veda Nunzio Dario La Trofa , Fari puntati anche su Sgr e società fiduciarie, in Il Sole 24 Ore del 5 gennaio 2005, nonché le prime istruzioni operative fornite in materia dal Comando  generale della Guardia di Finanza (si veda, al riguardo, Benedetto Santacroce , Controlli bancari, dati on line, in Il Sole 24 Ore del 26 maggio 2005). 

[2] Si veda Luigi Ferraioli in Autonomi tra mille sospetti, in Il Sole 24 Ore del 26 maggio 2005.

[3] Importo così da ultimo elevato dall’art. 1 del DM 17 ottobre 2002, del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno della giustizia e delle attività produttive, pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale” n. 290 dell’11 dicembre 2002.

[4] Così Marco Bellinazzo e Benedetto Santacroce , in Indagini bancarie, dati dal 2005, in Il Sole 24 Ore del 1° aprile 2005.

[5] Così anche le istruzioni interne diramate dal Comando generale della Guardia di Finanza, in Benedetto Santacroce , Controlli bancari, dati on line, in Il Sole 24 Ore del 26 maggio 2005.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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