Legittima l'apertura 'consensuale' di borse.


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Legittima l'apertura 'consensuale' di borse.
Autore: Gianfranco Antico - aggiornato il 16/07/2007
N° doc. 3677
16 07 2007 - Edizione delle 14:30  
 
Sentenza n. 9565 del 23 aprile 2007

Legittima l’apertura “consensuale” di borse

L’assenza di una manifestazione di volontà contraria rende incontestabile l’operato dei verificatori Questi devono però adottare le cautele del caso, per evitare l’eccezione di “sudditanza psicologica”
 
L’autorizzazione del procuratore della Repubblica occorre solo per procedere ad “apertura coattiva” di borse, non essendo invece necessaria ove l’acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione e in continua presenza del figlio e della moglie del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà.
L’importo principio è desumibile dalla sentenza n. 9565/2007, nella quale la Corte di cassazione, ha peraltro ribadito che l’autorizzazione all’accesso domiciliare è connotata da un largo margine di discrezionalità nella valutazione - che va effettuata con prudente apprezzamento ex ante - della sussistenza degli indizi e che la motivazione può essere sintetica, risultando sufficiente che sia indicata la nota e l’autorità richiedente e che si espliciti che il relativo rilascio trova causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della normativa fiscale.

Svolgimento del processo
L’amministratore unico di una società di capitali impugnava due avvisi di accertamento, con cui l’Amministrazione finanziaria determinava, ai fini Irpeg e Ilor, il reddito e le imposte dovute per gli anni 1991 e 1992, oltre accessori, e irrogava le sanzioni pecuniarie per la mancata istituzione, tenuta e conservazione delle scritture contabili.
L’adita Commissione tributaria provinciale, previa riunione dei ricorsi, in parziale accoglimento degli stessi, annullava l’accertamento relativo all’anno 1991, riduceva il reddito imponibile dell’anno 1992 e respingeva, per il resto, l’impugnazione.
In accoglimento dell’appello di parte, la Commissione tributaria regionale annullava gli avvisi relativamente ai redditi accertati e alle imposte liquidate, per illegittimità degli elementi posti a base degli accertamenti, in quanto irritualmente acquisiti.
Con ricorso notificato il 6 aprile 2001, il ministero dell’Economia e delle Finanze e l’agenzia delle Entrate hanno chiesto la cassazione dell’impugnata sentenza, per violazione dell’articolo 33, commi 1 e 3, del Dpr 600/1973, nonché dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992 e dell’articolo 52, commi 1, 2 e 3, del Dpr 633/1972.
L’intimata, con controricorso notificato l’11 maggio 2001, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.

Motivi della decisione
Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria ha trovato accoglimento in Cassazione.
Rileva il Collegio, che "i giudici di appello sono pervenuti alla rassegnata decisione di annullare gli avvisi impugnati, relativamente ai redditi accertati, opinando che non si dovesse tenere conto degli elementi probatori, desumibili dalla documentazione in atti e valorizzati dall'amministrazione, in quanto tale documentazione era a ritenersi inutilizzabile, essendo stata acquisita illegittimamente, sia perché l'autorizzazione all'accesso domiciliare, rilasciata dal Procuratore della Repubblica di Padova, era priva di motivazione, sia pure perché, per procedere all'apertura di borse era necessaria una ulteriore autorizzazione, nel caso inesistente, sia infine, perché non era stata versata in atti ed era quindi a ritenersi inesistente, l'autorizzazione alla utilizzazione ai fini fiscali dei dati e delle notizie rilevanti ai fini penali".

La Corte “bacchetta” i giudici di secondo grado, sostenendo che "tale decisione fa malgoverno, anzitutto, del condiviso principio secondo cui l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all'accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni di norme tributarie, ……è connotata da un largo margine di discrezionalità nella valutazione - che va effettuata con prudente apprezzamento ex ante - della sussistenza dei gravi indizi", per costante giurisprudenza di Cassazione (cfr sentenze nn. 1344/2002 e 16424/2002).

Il Collegio ritiene, infatti, che la motivazione del provvedimento non può che essere sintetica e che, quindi, lo stesso è assolto, come nel caso di specie, se "sia indicata la nota e l'autorità richiedente l'autorizzazione e si espliciti che il relativo rilascio trova causa e giustificazione nell'esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale da parte del legale rappresentante della società".
Inoltre, "la decisione non appare, neppure, condivisibile quando afferma essere, in ogni caso, necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica per procedere all'apertura di borse, dal momento che la disposizione del comma 3 dell'art. 52 citato richiede la specifica autorizzazione solo nel caso si tratti di apertura coattiva". Invece, "dagli atti in esame, e segnatamente dalla sentenza impugnata, non si evince che l'apertura delle due borse sia avvenuta coattivamente, desumendosi, anzi che tutta l'attività di ricerca si sia svolta con la collaborazione ed in continua presenza del figlio e della moglie del signor A.B. e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà".
Di conseguenza, considerato che la parte si era limitata a dedurre l’illegittima acquisizione della documentazione contenuta nelle due borse, in quanto non assistita da specifica ulteriore autorizzazione, la decisione dei giudici di secondo grado appare emessa in violazione della specifica disciplina.

Ancora erroneo - affermano i giudici di Cassazione - è l’operato dei giudici di appello laddove affermano l’illegittimità dell’utilizzazione degli atti acquisiti a seguito dell’accesso, per il mancato rilascio dell’ulteriore apposita autorizzazione di legge. Ciò, in base al pacifico e condiviso principio secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista dall’articolo 33, comma 3, del Dpr 600/73, per l’utilizzazione e la trasmissione agli uffici dell’Amministrazione finanziaria di documenti, dati e notizie penalmente rilevanti acquisiti dalla Guardia di finanza, è necessaria soltanto quando l’acquisizione sia avvenuta nell’esercizio di attività di polizia giudiziaria e non già quando essa sia correlabile all’espletamento di compiti propri della polizia tributaria (Cassazione, sentenze nn. 15538/2002 e 5557/2000).
In ogni caso, è principio ormai consolidato che la predetta autorizzazione è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel relativo procedimento o di terzi, e pertanto nessuna conseguenza può derivare dalla incompetenza dell’organo inquirente che l’ha concessa, atteso che neppure l’eventuale mancanza dell’autorizzazione, pur potendo avere riflessi disciplinari, a carico del trasgressore, investe l’efficacia probatoria dei dati trasmessi (Cassazione, sentenza nn. 15538/2002 e 15914/2001).

Alla luce di tale consolidato orientamento, il Corte suprema ritiene che la commissione di merito sia incorsa nel denunciato vizio, giacché gli elementi e i dati acquisiti in sede di accesso mantengono la loro validità e rilevanza probatoria, ancor quando l’autorizzazione alla relativa utilizzazione non fosse stata rilasciata.

Brevi riflessioni
La sentenza che si annota fissa dei paletti ben precisi:
  1. l’accesso presso l’abitazione privata del contribuente - tutelata dall’articolo 14 della Costituzione - può essere effettuato solo previa autorizzazione del procuratore della Repubblica (come ribadito dalla Corte di cassazione, fra le altre, con sentenza n. 7368/1998) e, in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2 dell’articolo 52 del Dpr 633/1972. Il provvedimento autorizzatorio - che ha natura amministrativa e non giurisdizionale ed è insindacabile davanti al giudice tributario - deve essere motivato, se pur sinteticamente, anche per relationem, con il semplice rinvio ai gravi indizi di violazione fiscale
  2. l’autorizzazione del procuratore della Repubblica per l’apertura di borse e cassetti è necessaria solo nei casi in cui è coattiva.

E’ proprio questo il punto che merita qualche riflessione in più.
La Corte di cassazione ha sempre sostenuto (vd. “
Aprire borse e cassetti si può”, in FISCOoggi” del 21 luglio 2006) che l’apertura di cassetti e borse e quant’altro risulti protetto da chiusure è consentita, dietro autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio. Diversamente, nel caso di accesso domiciliare, già autorizzato dall’Autorità giudiziaria, non è necessaria una ulteriore autorizzazione specifica all’apertura di cassetti e borse, per la forza attrattiva della prima autorizzazione.Una volta, pertanto, a monte, valutato ciò, l’autorizzazione si estende all’intero domicilio.

In questo intervento, la Corte, oltre a far proprio i precedenti pronunciamenti, esplicita che, in ogni caso, l’autorizzazione del magistrato non è necessaria nel caso in cui ci sia il consenso della parte, proprio perché la norma richiede l’autorizzazione solo per l’apertura coattiva e non in generale.
Si è sostenuto che il consenso e/o dissenso deve essere trascritto sia nel processo verbale di accesso o giornaliero sia nel pvc (cfr Commissione tributaria Centrale, sezione IX, con decisione n. 2841 del 10 luglio 1995).
La Cassazione, in quest’occasione, va oltre: l’assenza di una manifestazione di volontà contraria legittima sempre l’operato dei verificatori.
In ogni caso, è d’obbligo che i verificatori adottino tutte le cautele del caso, al fine di evitare l’eccezione di sudditanza psicologica (Cassazione, sentenza n. 1036/1998).

 
Gianfranco Antico
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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