Mancato erede, fuori da ogni disputa.


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Mancato erede, fuori da ogni disputa.
Autore: Marco Denaro - aggiornato il 30/11/2007
N° doc. 4869
30 11 2007 - Edizione delle 17:00  
 
Sentenza n. 23884 del 19 novembre 2007

Mancato erede, fuori da ogni disputa

Inammissibile il suo ricorso, per mancanza di interesse a impugnare
 
Colui che dichiara di aver rinunciato all'eredità difetta dell'interesse a impugnare la sentenza relativa all'Ilor dovuta da una società di persone, in cui il defunto rivestiva la qualifica di socio accomandante. L'interesse in questione potrebbe astrattamente configurarsi solo se il ricorrente avesse affermato la propria qualità di erede, proponendo eccezioni concernenti il quantum della pretesa tributaria nei confronti della società, nell'eventualità che la rettifica del reddito societario potesse, in via sussidiaria, incidere sul conferimento del proprio dante causa.

In questi termini si è recentemente espressa la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 23884 del 19 novembre 2007, si è occupata dei rapporti che intercorrono tra soci e tra questi e i loro eredi, nell'ambito di un giudizio tributario instaurato a seguito di un atto impositivo notificato a una società di persone.
Ma veniamo ai fatti di causa.

Una Commissione tributaria provinciale rigettava i ricorsi proposti dal socio di una Sas e dagli eredi dell'accomandante (che, ai sensi dell'articolo 2313 del Codice civile, risponde, per le obbligazioni sociali, solo limitatamente alla quota conferita), avverso due avvisi di accertamento Ilor notificati alla società e relativi agli anni 1991 e 1992.
L'appello, presentato soltanto dagli eredi del socio accomandante, veniva parzialmente accolto dalla Ctr, sulla considerazione che, se è vero che soggetto passivo Ilor era la società e non il singolo socio (e quindi la rinuncia all'eredità non ha rilevanza ai fini Ilor), è altrettanto vero che, a norma dell'articolo 8 del Dlgs 472/1997, l'obbligazione per il pagamento delle sanzioni non si trasmette agli eredi, i quali, pertanto, non possono essere chiamati a rispondere delle sanzioni che avrebbe dovuto pagare il contribuente defunto.

Avverso questa sentenza, proponevano ricorso per cassazione gli eredi del socio accomandante, lamentando che i giudici d'appello, pur avendo escluso la responsabilità del patrimonio del socio accomandante per il debito Ilor (peraltro, senza considerare che vi è responsabilità sussidiaria nei limiti della quota conferita), avrebbero poi incongruamente esaminato il merito dell'esistenza o meno di un debito di imposta in capo agli eredi.
Gli istanti, pertanto, chiedevano ai giudici di legittimità di annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui non risultava riconosciuto il venire meno in capo agli eredi, a seguito della rinuncia all'eredità, dell'obbligazione tributaria riferibile al de cuius in via sussidiaria e nei limiti della quota di partecipazione conferita.

La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile.
Nella fattispecie in esame, ha premesso la Corte, erano stati impugnati avvisi di accertamento concernenti l'Ilor relativa a una società di persone e, pertanto, il giudizio non riguardava l'impugnazione di un atto emesso nei confronti dei singoli soci, né tantomeno dei loro eredi o presunti tali.

I ricorrenti, poi, dichiaratisi rinuncianti all'eredità del socio accomandante, avevano censurato la sentenza impugnata per non aver i giudici d'appello, in relazione alla dichiarata rinuncia all'eredità del socio, accertato l'inesistenza di un'obbligazione di imposta a carico degli eredi.
In altri termini, i ricorrenti - esercitando una tutela per così dire "preventiva" - ritenevano di avere interesse all'impugnazione della sentenza d'appello, al fine di evitare che l'obbligazione tributaria della società fosse riferibile, in via sussidiaria, al loro dante causa defunto.

Al riguardo, i giudici di piazza Cavour hanno rilevato come tale interesse avrebbe potuto ritenersi sussistente ove essi avessero affermato (e non negato) la propria qualità di eredi e proposto eccezioni concernenti il quantum della pretesa nei confronti delle società, per scongiurare l'ipotesi che la rettifica del reddito societario potesse, eventualmente e in via sussidiaria, andare a incidere sul conferimento del proprio dante causa.
Invece, nel caso in esame, essi non solo non avevano in alcun modo contestato il quantum della pretesa impositiva nei confronti della società, ma si erano limitati a dedurre di aver rinunciato all'eredità del de cuius, spiegando essi stessi, in pratica, la propria totale estraneità e assoluta carenza di interesse in un giudizio relativo all'accertamento del reddito di una società di persone di cui era socio un soggetto deceduto, e alla cui eredità essi dichiarano di aver rinunciato.

Al limite, ha continuato la Suprema corte, essi potevano (rectius dovevano) far valere la rinuncia all'eredità "solo se ed in quanto chiamati a rispondere col proprio patrimonio di eventuali obbligazioni tributarie (dirette o sussidiarie) del de cuius, senza contare che, a prescindere da ogni altra considerazione, risultando il de cuius socio accomandante di una società di persone, non avrebbe risposto in via sussidiaria illimitatamente bensì solo nei limiti del conferimento e, avendo gli odierni ricorrenti dichiarato di aver rinunciato all'eredità, non avrebbero in ogni caso avuto interesse ad un bene (conferimento sociale del de cuius) rispetto al quale essi non potevano vantare, in ragione della affermata rinuncia, alcun diritto".

Infine, hanno concluso i giudici, se è vero che il principio dell'accertamento unitario dei redditi previsto dall'articolo 5 del Tuir (per cui la rettifica compiuta nei confronti della società è destinata a riverberare i suoi effetti sui singoli soci) consente ai soci (e ai relativi eredi) di intervenire nel giudizio concernente l'accertamento del reddito della società, è anche vero che tale intervento può riguardare solo il quantum della rettifica operata nei confronti della società (per le conseguenze che ne derivano sull'accertamento del reddito di partecipazione del socio), non certo questioni attinenti la posizione personale del socio stesso, dei suoi eredi (o addirittura, come nella specie, dei suoi "mancati" eredi).

Tali questioni, infatti, potrebbero essere fatte valere solo nell'ambito di un procedimento concernente l'impugnazione di un atto riguardante direttamente i suddetti soggetti, dovendo in ogni caso rilevarsi che, ove anche i singoli soci fossero legittimati a intervenire nel giudizio relativo all'accertamento del reddito sociale, e per essi fossero legittimati i relativi eredi, certamente e in ogni caso non lo sarebbero i "mancati" eredi, ossia i rinunzianti all'eredità, che restano estranei e indifferenti a tutte le vicende riguardanti il patrimonio del de cuius.

Ne consegue che i "mancati" eredi potrebbero avere interesse a far valere la propria qualità "solo se ed in quanto essa fosse messa in discussione da un atto che, individuatili come eredi, reclamasse nei loro confronti l'adempimento di un'obbligazione tributaria facente capo ad un preteso dante causa".

Sempre in tema di successione ereditaria, si ritiene opportuno segnalare un'altra recente pronuncia della Cassazione (la n. 6488/2007(1)), nella quale la Corte di legittimità ha avuto modo di precisare, di contro, che l'erede che abbia accettato con beneficio di inventario - istituto che impedisce la commistione tra il patrimonio personale e quello del defunto - risponderà dei debiti del de cuius (e quindi anche di quelli tributari) nei limiti del valore dei beni ereditati e non ultra vires hereditatis.

NOTE:
1) Per un commento della sentenza,
cfr Francesca La Face, "Debiti tributari al riparo dal beneficio d'inventario", in FISCOoggi del 22 maggio 2007.

 
Marco Denaro
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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