Niente rimborso Iva per le case di cura. La pretesa era stata avanzata sulla base di un'errata interpretazione della direttiva Cee n. 77/388


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Niente rimborso Iva per le case di cura. La pretesa era stata avanzata sulla base di un'errata interpretazione della direttiva Cee n. 77/388
Autore: FIsco oggi - Mauro Di Biasi - aggiornato il 06/12/2006
N° doc. 1792
 
06 12 2006 - Edizione delle 15:00  
 
Commissione tributaria regionale Campania

Niente rimborso Iva per le case di cura

La pretesa era stata avanzata sulla base di un’errata interpretazione della direttiva Cee n. 77/388
 
La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, con la sentenza n. 219/5/06, ha statuito che sono illegittime le pretese avanzate dagli operatori del settore sanitario volte a ottenere rimborsi dell’Iva corrisposta sugli acquisti effettuati, non detratta per i limiti previsti per i soggetti svolgenti, in tutto o in parte, operazioni esenti dall’imposta.

Oggetto della questione, promossa da parte di una casa di cura e sottoposta all’attenzione della magistratura tributaria, è stato il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria avverso distinte istanze di rimborso Iva avanzate dalla casa di cura stessa.
Tali istanze traevano origine dalla considerazione che l’istituto svolge una delle attività considerate esenti dall’imposta sul valore aggiunto, secondo quanto disposto dal numero 19 dell’articolo 10, Dpr n. 633/1972. Dispone, infatti, la norma che sono operazioni esenti dall’imposta, tra l’altro, le prestazioni di ricovero e cura rese da enti ospedalieri o da cliniche e case di cura convenzionate, compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto.

Ciò premesso, la casa di cura, negli anni interessati dai rimborsi, aveva portato in detrazione dell’imposta versata sulle operazioni imponibili, la sola percentuale dell’Iva pagata sugli acquisti, corrispondente al rapporto tra l’ammontare delle operazioni esenti effettuate e il volume di affari complessivo del periodo di riferimento, così come del resto statuito dal terzo comma del citato articolo 19 del Dpr n. 633 del 1972.

Ma, secondo la stessa casa di cura attrice, considerato che l’articolo 13, parte B, lettera c), della VI direttiva Cee in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (direttiva Cee n. 77/388 del 17 maggio 1977), impone agli Stati di esentare le forniture dei beni destinati esclusivamente a una attività esentata a norma dello stesso articolo, ove tali beni non abbiano formato oggetto di un diritto a detrazione, a norma dell’articolo 17, numero 3, lettera c), del medesimo provvedimento comunitario, la mancata trasposizione, da parte del nostro Paese, nell’ordinamento interno, di tale previsione - mancata trasposizione e conseguente inadempimento dello Stato italiano, tra l’altro riconosciuti dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 25 giugno 1997, causa C-45/95 - avrebbe avuto come effetto diretto un indebito versamento di imposta e un consequenziale diritto al rimborso.

La ricostruzione operata dall’istituto di cura, non ha, però, trovato il consenso e l’avallo dei giudici partenopei, che hanno dato ragione all’Amministrazione finanziaria.
Sulla base, infatti, di una scrupolosa analisi della normativa comunitaria, e sposando l’interpretazione proposta dall’Amministrazione, la Ctr ha disatteso le pretese della ricorrente, interpretando la disposizione dettata dalla direttiva comunitaria nel senso che gli Stati membri devono prevedere nei loro ordinamenti che le rivendite di beni, per i quali il cedente al momento dell’acquisto non ha detratto la relativa imposta, in quanto i beni in questione erano inizialmente destinati a una attività esente, devono andare essi stessi esenti da Iva.

L’interpretazione dei giudici tributari campani, in effetti, è del tutto confacente con l’obiettivo della norma comunitaria stessa, consistente nella volontà di evitare il fenomeno della doppia tassazione, fenomeno che si verificherebbe laddove si applicasse l’imposta al momento della rivendita di beni acquistati, senza aver potuto esercitare il diritto alla detrazione.

Risulta chiaro, pertanto, che la direttiva in parola non è attinente alla fattispecie in esame, nella quale si chiede il rimborso dell’Iva pagata per l’acquisto di beni destinati ad attività esenti. Al contrario, l’articolo 13, parte B, lettera c) del richiamato documento comunitario, così come recepito nel numero 27-quinquies dell’articolo 10 del Dpr n. 633 della 1972 (numero aggiunto dall’articolo 4 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 313, concernente “Nuove norme in materia di imposta sul valore aggiunto”), si riferisce alla fase di rivendita di beni che sono stati utilizzati per l’esercizio di un’attività esente, la cui Iva a monte è rimasta a carico dell’acquirente, e non, invece, alla fase di acquisto di tali beni da parte di chi eserciti una attività esente.
Dispone, infatti, chiaramente, il numero 27-quinquies dell’articolo 10, Dpr n. 633/72, che sono esenti dall’imposta le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta.

 
Mauro Di Biasi

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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