Operazioni inesistenti, a tassazione i ricavi 'fittizi'.


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Operazioni inesistenti, a tassazione i ricavi 'fittizi'.
Autore: Giovambattista Palumbo - aggiornato il 22/10/2007
N° doc. 4394
22 10 2007 - Edizione delle 15:00  
 
Conseguenze delle attività illecite

Operazioni inesistenti, a tassazione i ricavi "fittizi"

La legittimità dell'accertamento analitico con cui si ci limita a disconoscere i costi trova conferma in diverse sentenze pronunciate dalla Suprema corte di cassazione
 
E' legittimo, in caso di operazioni inesistenti, disconoscere i costi e sottoporre comunque a tassazione i relativi ricavi, anch'essi fittizi. La fittizietà o meno dei ricavi non avrà alcun rilievo né ai fini della loro tassazione, né ai fini del metodo accertativo (analitico o induttivo) che l'ufficio intende seguire. Né, d'altra parte, il fatto che un'operazione sia oggettivamente o soggettivamente inesistente comporterà l'applicazione di una differente disciplina. Entrambe le ipotesi rispondono, infatti, a un comune denominatore: costituiscono attività penalmente illecite.

L'articolo 1 del Dlgs 74/2000 ricomprende nella nozione di operazioni inesistenti non solo le operazioni "oggettivamente" inesistenti, ma anche quelle "soggettivamente" inesistenti, laddove definisce le fatture per operazioni inesistenti come quelle emesse "a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi". Sul piano penale, quindi, nelle fattispecie in esame, la condotta dell'evasore rientra nell'illecito disciplinato dall'articolo 2 del Dlgs 74/2000, che punisce "chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazione annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi".

Recupero dei costi fittizi e tassazione dei ricavi fittiziamente dichiarati
Fatta questa premessa, si può agevolmente comprendere (e approvare) quanto recentemente stabilito dalla Suprema corte in due fondamentali sentenze in materia di operazioni inesistenti.
Con la pronuncia n. 12918 del 1° giugno 2007 i giudici hanno affermato che, in tema di accertamento dei redditi di impresa, non integra violazione dell'articolo 75 del Dpr 917/1986 la circostanza che l'ufficio si limiti a recuperare soltanto i costi fittizi, senza poi abbattere i maggiori ricavi fittiziamente dichiarati.
In caso contrario, del resto, vi sarebbe una palese violazione dell'articolo 75 citato e dell'articolo 21 del Dpr 633/1972, in relazione all'articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale.

La fattispecie della fatturazione per operazioni inesistenti è infatti espressamente disciplinata dall'articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972, il quale stabilisce che il dato formale della fatturazione prevale comunque su quello sostanziale dell'operazione e non c'è dubbio che sussista (rectius, che debba sussistere) una sistematica interdipendenza tra la disciplina Iva e quella dell'imposizione diretta, il che legittima dunque il concorso alla formazione del reddito imponibile anche dei ricavi relativi a operazioni inesistenti.
Il legislatore ha inteso così tutelare adeguatamente l'interesse dell'Erario, conciliandolo comunque con il sistema impositivo fondato sulla autodichiarazione del contribuente, chiamato a rendere noti tutti gli elementi, attivi e passivi, che concorrono a formare la base imponibile, e, quindi, a fornire tutti gli elementi sostanziali che valgono a dimostrare l'effettivo ammontare delle sue entrate e dei correlativi esborsi.

Nella sentenza citata, la Corte, spiega infatti che "risponde all'art. 53, comma 1, della Costituzione la subordinazione del quantum del tributo all'osservanza di taluni obblighi (non defatiganti od eccessivi, ma corrispondenti al comportamento che ogni titolare di impresa dovrebbe osservare) (Corte Cost. n. 186/1982)".
Per tali motivi, conclude la Corte, "non integra la violazione dell'art. 75 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 la circostanza che l'ufficio si limiti a recuperare soltanto i costi fittizi, senza poi abbattere i pretesi maggiori ricavi fittiziamente dichiarati (cfr. Cass. n. 4224/2006)".

Proventi illeciti e legittimità dell'accertamento analitico
Nel procedere ad accertamento, quindi, l'ufficio potrà indifferentemente decidere di effettuare un accertamento analitico, ex articolo 39, comma 1, del Dpr 600/1973, disconoscendo i soli costi rivelatisi fittizi, senza dover necessariamente procedere a una ricostruzione induttiva del reddito.
Con altra interessante e recente sentenza, la n. 8990 del 16 aprile 2007, ancora la Corte di cassazione ha sottolineato che, laddove il contribuente abbia posto in essere operazioni inesistenti, non è suscettibile di sindacato la scelta dell'Amministrazione finanziaria di procedere all'accertamento in via analitica, in luogo dell'accertamento induttivo o sintetico, in quanto i redditi aventi fonte nell'attività illecita costituiscono comunque materia imponibile.

Nel caso all'esame dei giudici di legittimità, il contribuente contestava in particolare il fatto che la Ctr avesse ritenuto legittimo l'accertamento analitico di un reddito derivante da operazioni commerciali giudicate inesistenti nel loro complesso, sia con riguardo agli acquisti di merce sia con riguardo alle vendite; sicché, secondo lo stesso contribuente, dall'affermata fittizietà dei costi non sarebbe potuto desumersi un maggior reddito, essendo fittizie le vendite e quindi anche i ricavi. L'accertamento avrebbe violato, cioè, il principio di capacità contributiva fissato dall'articolo 53 della Costituzione.

La Corte ha respinto però le suddette eccezioni con esauriente motivazione, evidenziando come il contribuente non avesse contestato l'esistenza di un reddito tassabile, né che il relativo ammontare fosse difforme da quello accertato, ma si limitava a criticare l'ufficio e la decisione della Commissione regionale (che ne aveva ritenuto legittimo l'operato) per aver proceduto ad accertamento con metodo analitico, escludendo la deducibilità di costi ritenuti fittizi, anziché determinare, in modo induttivo e sintetico, il reddito o quella parte di reddito asseritamente costituita da proventi di reato.

I giudici, però, hanno fatto notare come la questione fondamentale non fosse "rappresentata dalla disquisizione sul tipo di accertamento condotto dall'ufficio - che ben poteva essere svolto ai sensi dell'art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, in base a presunzioni semplici, essendo emersa la falsità degli elementi indicati nella dichiarazione dalle verifiche eseguite in conformità alle disposizioni del precedente art. 33", quanto piuttosto dalla constatazione che l'articolo 14, comma 4, della legge 537/1993, interpretando autenticamente l'articolo 6 del Dpr 917/1986 "ha stabilito che fra le diverse categorie di reddito debbono ritenersi compresi i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale" (vedi anche Cassazione, sentenze 13335/2003, 3550/2002, 11148/1996, 12782/1995, 4381/1995).

Secondo la Cassazione, dunque, "i proventi illeciti, dovendo essere determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria di redditi (art. 14, comma 4, citato), ben potevano esserlo in conformità alle disposizioni dell'art. 39 del D.P.R. n. 600/1973, concernente i redditi di impresa delle persone fisiche. Fermo restando che, comunque, la tassabilità non potrebbe essere esclusa, quand'anche tali proventi non fossero stati inquadrati dall'ufficio nella corretta categoria reddituale (Cass. n. 15567/2000)".
Il fatto stesso che i ricavi dichiarati fossero stati dichiarati nell'ambito di un'attività (penalmente) illecita (operazioni inesistenti ex Dlgs 74/2000) e per fini illeciti (evasione fiscale) comporta che sia del tutto irrilevante la concretizzazione o meno dei ricavi.

La ratio di una tale conclusione, del resto, risiede nella constatazione "di esperienza" che, comunque, ponendo il contribuente in essere le operazioni inesistenti non per fini di beneficenza ma per fini di (illecito) lucro, ai ricavi fittiziamente dichiarati corrispondevano ben altri ricavi a loro volta però non dichiarati.

Interdipendenza tra imposte dirette e Iva
Una tale conclusione è quindi ormai pacifica, sia ai fini delle imposte dirette che dell'Iva.
La sentenza della Cassazione 24471/2006 aveva, infatti, già stabilito che è manifestamente fondata l'affermazione secondo cui, in forza dell'articolo 14, comma 4, della legge 537/1993, le attività illecite sono soggette, oltre che alle imposte sui redditi, anche all'Iva.
Analoghe considerazioni sono desumibili inoltre dalla sentenza 3550/2002, in cui si legge che "sono assoggettabili anche ad Iva, in forza del principio stabilito dall'art. 14, comma 4 della L. 24 dicembre 1993, n. 537, i proventi derivanti da attività illecita".

Continuano i giudici stabilendo che "l'affermazione di principio secondo la quale i proventi provenienti da attività illecita non sarebbero assoggettabili ad imposta è manifestamente errata. Essa contrasta con il preciso disposto dell'art. 14, comma 4, della L. 24 dicembre 1993, n. 537, secondo il quale "i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo", devono intendersi ricompresi nelle categorie di reddito di cui all'art. 6 del Tuir. Anche se la norma è riferita alla disciplina delle imposte sul reddito, è inequivocabilmente una norma di principio, in forza della quale non si può eccepire la esenzione tributaria per i proventi derivanti da attività illecite".

Alla luce di tali pronunce, l'articolo 14 citato rappresenta una norma di principio generale del nostro ordinamento, un criterio ermeneutico valido sia ai fini delle imposte dirette che ai fini Iva.
Un ulteriore motivo di conferma della necessaria interdipendenza e correlazione tra imposte e della sussistenza di una serie di principi fondamentali che rappresentano le fondamenta del sistema giuridico tributario.

 
Giovambattista Palumbo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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