Plafond ed acquisti in esenzione - nota a sentenza. Corte di Cassazione,V Sez., 8 luglio 2005 n. 14435


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Plafond ed acquisti in esenzione - nota a sentenza. Corte di Cassazione,V Sez., 8 luglio 2005 n. 14435
Autore: Angelo Nicolella - aggiornato il 03/10/2005
N° doc. 592
Plafond ed acquisti in esenzione - nota a sentenza

Corte di Cassazione,V Sez., 8 luglio 2005 n. 14435

Sommario: 1. Il contenuto della sentenza; 2. Acquisti senza il pagamento dell’imposta imposta: la ratio ed i presupposti soggettivi ed oggettivi; 3. Determinazione ed utilizzo del plafond; 4. Le sanzioni per l’utilizzo del plafond oltre il limite consentito;  5. Conclusioni.

In questa occasione, la Corte di Cassazione è intervenuta per dirimere il contrasto tra i Giudici di merito e l’Amministrazione Finanziaria circa l’applicazione delle norme, sia sostanziali che sanzionatorie, nell’ ipotesi di acquisti senza il pagamento dell’ IVA (cd. plafond).

È opportuno, peraltro, subito osservare al riguardo che la  questione ha oggi perso parte della sua importanza, in conseguenza della riforma del sistema delle sanzioni tributarie non penali, operata dal D.Lgs. 471 del 1997.

Infatti, l’art. 7 del Decreto non ha più previsto la specifica esimente, prevista dal comma 5 del precedente art. 48 del DPR n. 633 del 1972 (ora abrogato), nei limiti della soglia del 10%.

1. Il contenuto della sentenza

Come si è evidenziato in premessa la Suprema Corte è intervenuta ancora una volta sull’interpretazione delle norme che regolano gli acquisti in esenzione d’imposta.

In breve, i Giudici di merito, accogliendo le prospettazioni fornite dalla contribuente hanno stabilito che non è dovuta alcuna ulteriore imposta, né, a maggior ragione, sanzione, nell’ipotesi di sforamento del plafond, contenuto nei limiti della soglia di tolleranza del 10%, così come stabilito dall’art. 48, comma 5, del DPR n. 633 del 1972.

Viceversa, i Giudici di legittimità, confermando quanto già affermato in precedenti occasioni[1], hanno ribadito che occorre fare una distinzione tra norme di carattere sostanziale e norme di tipo sanzionatorio.

Nel primo caso, l’interpretazione delle disposizioni normative previste dall’art. 8 del DPR n. 633 del 1972 (rubricato cessioni all’esportazione) non può che indurre a ritenere la debenza dell’imposta per lo splafonamento, quale che sia la relativa entità e, quindi, sia che esso resti contenuto nel limite di tolleranza del 10%, sia che ecceda lo stesso.

Ciò nel rispetto del generale obbligo, previsto dal regime ordinario, di corrispondere l’imposta sugli acquisti e sulle importazioni.

Invece, il contenimento dello sforamento entro l’indicata soglia del 10% rileva al diverso fine sanzionatorio, nel senso che resta esclusa l’applicazione di sanzioni ove il detto limite non venga superato.

Ciò nella ragionevole considerazione che, talora incolpevolmente, possono essere concluse operazioni commerciali che implichino un contenuto sforamento del limite d’esenzione complessivamente consentito.

2. Acquisti senza il pagamento dell’imposta imposta: la ratio ed i presupposti soggettivi ed oggettivi

L’analisi del contenuto della sentenza esaminata non può prescindere da una descrizione, seppur sintetica, della disciplina degli acquisti in esenzione d’imposta, dapprima sotto il profilo sostanziale e poi, successivamente, dal punto di vista delle sanzioni, avvertendo sin da adesso che il caso di specie è ormai diversamente regolato dall’art. 7 del D.Lgs. n. 471 del 1997.

Orbene, secondo l’art. 8 (comma 1, lettera c) del DPR 633/72, si considerano non imponibili, ai fini IVA, le cessioni di beni, diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi, rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, beni o servizi senza pagamento dell’imposta.

La finalità della normativa in esame è chiaramente quella di realizzare il principio della detassazione delle operazioni rese nei confronti dei soggetti che svolgono prevalentemente la loro attività verso l’estero, prevedendo per gli stessi la possibilità di usufruire del regime di acquisto senza il pagamento dell’imposta, in luogo del normale sistema delle detrazioni, evitando così l’onere finanziario dell’esborso del tributo afferente gli acquisti, in attesa della procedura di rimborso.

Venendo ad esaminare l’ambito di applicazione della norma, si osserva che, sotto il profilo oggettivo, sono ammessi al regime di esenzione sia le cessioni di beni (con le eccezioni in precedenza indicate), che le prestazioni di servizi, nonché le importazioni e gli acquisti intracomunitari dei beni, compreso l’acquisto di beni strumentali (anche in leasing) e di prestazioni di servizi in genere, pur se non inerenti all’attività di esportazione o di scambio intracomunitario.

Infatti, la più rilevante innovazione, introdotta dalla L. n. 28 del 1997, consiste appunto nell’eliminazione di ogni riferimento alla necessità dell’intenzione dell’acquirente di esportare o di cedere in altro Stato membro i beni acquistati[2].

Sotto l’aspetto soggettivo, le operazioni indicate non sono soggette all’imposta quando sono realizzate nei confronti di coloro che hanno effettuato nell’anno precedente[3] cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, con l’utilizzo del plafond degli esportatori abituali[4].

Va subito evidenziata, al riguardo, la necessità del rispetto di un rapporto minimo[5] (fissato al 10%) tra l’ammontare delle esportazioni ed il volume d’affari complessivo, calcolato ai sensi dell’art. 20 del DPR n. 633 del 1972.

3. Determinazione ed utilizzo del plafond

I soggetti che hanno acquisito lo status di esportatore agevolato, nel senso appena descritto, possono effettuare in ciascun anno acquisti ed importazioni senza applicazione d’imposta, entro un limite quantitativo (cd. plafond), che è costituito dall’ammontare complessivo delle operazioni non imponibili, in quanto eseguite verso l’estero ed annotate nel registro delle fatture dell’anno precedente.

Pertanto, in seguito alle modifiche apportate dalla L. n. 28 del 1997, ai fini della costituzione del plafond, assumono rilievo soltanto le operazioni imponibili verso l’estero, la cui fattura sia stata registrata, ai sensi dell’art. 23 del DPR n. 633 del 1972, nell’anno solare precedente, rimanendo, invece, irrilevante la data di conclusione dell’operazione ai fini doganali.

È indubbio che l’adozione del criterio della registrazione contribuisce a semplificare gli adempimenti dei contribuenti, in quanto il plafond disponibile viene ora a coincidere con le risultanze contabili e con i dati evidenziati in sede di dichiarazione annuale IVA.

Inoltre, ciò comporta che, nel caso di emissione anticipata di fattura o di pagamento anticipato dei corrispettivi, tali importi concorrono non solo alla determinazione dello status di esportatore agevolato, ma anche a quello del plafond[6].

D’altro canto, per quanto attiene all’utilizzazione del medesimo, esso è considerato unitariamente e cumulativamente, nel senso che tutti i ricavi delle operazioni effettuate verso l’estero concorrono a formare l’unico plafond, il quale è spendibile, in caso di plurime attività svolte dal soggetto passivo, anche in settori diversi da quello in cui i ricavi stessi sono stati conseguiti[7].

La normativa di riferimento consente ai soggetti interessati di assumere mese per mese, come ammontare di riferimento, anziché i corrispettivi delle operazioni verso l’estero registrate nell’anno solare di riferimento (cd. plafond fisso), quello delle cessioni verso l’estero effettuate nei dodici mesi precedenti (cd. plafond mobile), al netto degli acquisti in sospensione d’imposta[8].

Per quanto attiene, infine, la determinazione del momento di utilizzazione del plafond, è da ritenere che, per gli acquisti, assume rilevanza il momento dell’effettuazione dell’operazione, mentre per le importazioni è rilevante il momento dell’accettazione della relativa dichiarazione doganale.

Sotto il profilo formale, il trattamento di non applicazione dell’imposta è subordinato alla consegna o spedizione, da parte dell’operatore, ai propri fornitori, prima dell’effettuazione di ogni operazione agevolata, di un’apposita dichiarazione d’intento, redatta in duplice esemplare su modello conforme a quello approvato.

Tale dichiarazione, che evidenzia appunto l’intento del soggetto di avvalersi del beneficio fiscale in esame, può valere anche per più operazioni poste in essere dalle stesse parti ed è valida sino ad avviso contrario manifestato dall’interessato[9].

Al fine di agevolare l’attività di controllo da parte dell’Amministrazione, è stata disposta, per i contribuenti che si avvalgono della facoltà di acquistare o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta, la compilazione di un apposito prospetto, in sede di dichiarazione annuale, in cui vengano indicati, mese per mese:

*       l’ammontare delle esportazioni, delle operazioni assimilate e delle operazioni intracomunitarie effettuate;

*       l’ammontare degli acquisti e delle importazioni fatti senza pagamento dell’imposta;

*       il metodo di calcolo utilizzato, solare o mensile.  

A puro scopo esemplificativo, si riporta di seguito un esempio di compilazione di tale prospetto, secondo il metodo solare (per il Modello Unico 2004, quadro VC):






















4. Le sanzioni per l’utilizzo del plafond oltre il limite consentito

Esaminato il profilo sostanziale della fattispecie in esame, poniamo adesso la nostra attenzione sull’aspetto delle sanzioni, peraltro adesso radicalmente modificate dall’entrata in vigore dei D. Lgs. emanati nel corso del 1997, che hanno riformato l’intero sistema delle sanzioni amministrative tributarie.

L’art. 46, comma 3, del DPR 633/72 prevedeva, nell’ipotesi di utilizzo di un plafond sugli acquisti in esenzione d’imposta in misura superiore a quella consentita, una pena pecuniaria da due a quattro volte l’imposta relativa alle operazioni effettuate.

Tuttavia, l’art. 48, comma 5, dello stesso DPR prevedeva una specifica esimente, nel caso in cui la differenza fra i dati indicati e quelli accertati non fosse superiore al dieci per cento.

Ciò nell’intenzione del legislatore di non punire le fattispecie in cui, talora incolpevolmente, possano essere state concluse operazioni commerciali, che implichino un contenuto sforamento del limite d’esenzione complessivamente consentito.

Infatti, come ha avuto più volte modo di chiarire l’Amministrazione Finanziaria, il margine di errore del 10% deve essere riferito all’importo complessivo dello splafonamento realizzatosi nell’anno[10].

Ne consegue, quindi, l’irrilevanza del numero delle volte in cui questo sforamento è avvenuto nel corso dell’anno e del metodo di calcolo adottato (solare o mensile)[11].

Va, peraltro, rilevato che, in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 471 del 1997, le previsioni sanzionatorie appena descritte sono state abrogate.

In luogo di queste, l’art. 7, comma 4, del D.Lgs. appena indicato, prevede una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta, per chi beneficia del plafond all’acquisto, oltre il limite consentito.

La riduzione della sanzione applicabile è stata, però, accompagnata dall’eliminazione della specifica esimente (tollerabilità entro la soglia del 10%) analizzata in precedenza.

Non è stata, infine, rinnovata nemmeno l’ulteriore esimente prevista dal comma 8 dell’abrogato art. 48, la quale prevedeva la non applicazione delle pene pecuniarie, ad esclusiva discrezione degli organi del contenzioso tributario, nelle ipotesi di obbiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono.

Ciò sia per ovvie ragioni di armonizzazione con le discipline degli Paesi, membri della Comunità Europea, nell’ambito dell’unico tributo forse a reale efficacia transnazionale, sia per il venir sempre più meno, nel corso degli anni, di quelle ragioni di incertezza sull’interpretazione dei comportamenti posti in essere, in una prima fase di applicazione del tributo.

Ne consegue che tutte le considerazioni che si esporranno nel paragrafo successivo, in ordine alla correttezza o meno delle valutazioni effettuate dalla Suprema Corte, hanno comunque rilevanza soltanto per le violazioni in materia commesse prima del 1 aprile 1998, data di entrata in vigore della nuova disciplina delle sanzioni tributarie non penali, in materia di imposte dirette, di IVA  e di riscossione.

 

5. Conclusioni

Dall’esposizione effettuata sulla disciplina regolatrice degli acquisti in esenzione d’imposta, si rileva una sostanziale correttezza ed un evidente equilibrio nelle conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione nel caso di specie, tra l’altro sulla scorta di un orientamento già più volte esposto in precedenza[12].

Ed invero, per espressa volontà del legislatore, appare indubbia l’inapplicabilità alla fattispecie della sanzione originariamente prevista dall’art. 46 del DPR n. 633 del 1972, in presenza della specifica esimente prevista dall’art. 48 dello stesso decreto.

Viceversa, i Giudici di merito hanno sicuramente attribuito alla disposizione normativa una portata ed effetti certamente non voluti dal legislatore, il quale non ha previsto un’estensione dell’esenzione d’imposta, con conseguente inesistenza dell’obbligazione  tributaria, nelle ipotesi di un superamento del plafond, seppur contenuto entro la soglia del 10%.

Ciò nell’ambito di un’interpretazione del complesso normativo di riferimento, rispettosa del generale obbligo, previsto dal regime ordinario, di corrispondere l’imposta sugli acquisti e sulle importazioni, coerente, peraltro, con la ratio ed il significato letterale delle disposizioni applicate, in precedenza diffusamente esposte.

Né può trovare accoglimento l’ulteriore osservazione, in altre occasioni manifestata, secondo cui la fattispecie non sarebbe comunque sanzionabile, in quanto la stessa non arrecherebbe nessun pregiudizio al Fisco, tenuto conto che l’IVA sugli acquisti sarebbe stata successivamente compensata, fino alla concorrenza, con quella incassata e da versare sulle vendite.

Infatti, si ricorda che la facoltà di compensazione dell’imposta pagata sugli acquisti non è un obbligo e va esercitata nei termini e nei modi ordinari.

Infine, sotto altro profilo, giova anche osservare che gli acquisti in esenzione, implicando il mancato pagamento dell’imposta, realizzano un pregiudizio economico immediato per il Fisco, in quanto il venditore, emettendo fattura in esenzione, non provvede ad effettuare i versamenti altrimenti dovuti, secondo le modalità e nei tempi previsti.

Dr. Angelo Nicolella

Funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Eboli  



[1] Cfr., da ultimo, Corte di Cassazione sentenze nn. 6476 del 6 maggio 2002 e 5647 del 17 aprile 2001

[2] Sull’interpretazione della  dizione intende esportare, della possibilità di esportare e dei termini relativi, v., tra le tante, le seguenti valutazioni espresse nel corso degli anni dall’Amministrazione Finanziaria: Circ. Min. n. 26/411138 del 3 agosto 1979; R.M. n. 412046 del 2 febbraio 1980; R.M. n. 405187 del 4 maggio 1983; R. M. n. 465194 del 11 novembre 1991

[3] Non possono, pertanto, acquistare beni e servizi senza pagamento d’imposta gli operatori economici che hanno iniziato l’attività d’impresa da meno di un anno

[4] R. M. n. 102/E del 21 giugno 1999

[5] L’obbligo del rispetto di tale rapporto minimo percentuale è stato reintrodotto dal DL n. 746 del 1983, a decorrere dal 1° gennaio 1984

[6] V., in ordine a tali considerazioni, la circolare n. 145/E del 10 giugno 1998

[7] Questa è stata un’altra delle novità introdotte dalla L. n. 28 del 1997. Infatti, in precedenza, valeva l’opposto principio della separazione dei plafond disponibili in funzione delle diverse attività verso l’estero, svolte dal medesimo soggetto (Circolare n. 73/400122 del 19 dicembre 1984) 

[8] Nel caso di passaggio dal metodo del plafond fisso a quello mobile, all’inizio dell’anno il plafond disponibile corrisponde alle esportazioni registrate nell’anno solare precedente. Nell’ipotesi inversa, il plafond è quello che sarebbe risultato disponibile per il mese di gennaio, se si fosse mantenuto il metodo mobile. V., sul punto, la risoluzione n. 77/E del 6 marzo 2002, la quale ha anche ribadito che la modifica, a scelta del contribuente, con passaggio dal metodo fisso a quello mobile (e viceversa) può essere operata solo all’inizio di ciascun anno solare.

[9] A tutela del cedente è sufficiente la dichiarazione d’intento sottoscritta dal cessionario sotto la propria responsabilità, sicché il cedente che si attiene alla dichiarazione pone in essere un comportamento del tutto adeguato alla legge, non incombendogli alcun onere, né alcuna facoltà di specifico controllo, in ordine all’eventuale non veridicità della stessa (Cassazione, 21 novembre 2001, n. 14694)

[10] V., tra le tante, la circolare n. 185/D del 15/07/1996, la risoluzione n. 2378 dell’8 gennaio 1990, la risoluzione n. 4367 del 31 dicembre 1984

[11] V., espressamente sul punto, la circolare n. 321/D del 19 dicembre 1997

[12] V. la giurisprudenza richiamata nella nota n. 1

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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