Presupposti applicativi delle cfc rules e cause esimenti (1).


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Presupposti applicativi delle cfc rules e cause esimenti (1).
Autore: Nicola Fasano - aggiornato il 29/05/2006
N° doc. 1553
29 05 2006 - Edizione delle 15:15  
 
Controlled foreign companies

Presupposti applicativi delle cfc rules e cause esimenti (1)

La normativa risponde all'esigenza di contrastare il trasferimento di imponibile in Paesi a fiscalità privilegiata
 
La disciplina sulle "controlled foreign companies" è argomento di estrema attualità, sia in ambito europeo, sia nel contesto interno.
Sotto il primo profilo, infatti, pende dinanzi alla Corte di giustizia europea una causa (C-196/04) che vede coinvolta l'Amministrazione finanziaria inglese che, in materia di cfc, ha un regime simile a quello italiano, basato sull'imputazione "per trasparenza" al soggetto residente, salvo l'onere della prova contraria, dei redditi prodotti dalla controllata estera localizzata in un Paese a bassa fiscalità (nel caso di specie l'Irlanda), indipendentemente dall'effettiva percezione.

Recentemente, l'Avvocato generale ha presentato le sue conclusioni, prospettando l'incompatibilità della legislazione inglese con i principi comunitari, in particolare con quello della libertà di stabilimento sancito dall'articolo 43 del Trattato Ce, principi che ammettono tale restrizione solo se rispondente a ragioni imperative di interesse generale, perseguite in modo adeguato e proporzionato allo scopo stabilito.
L'Avvocato generale ha concluso che la limitazione in questione è ammissibile solo per contrastare "le costruzioni puramente artificiose, il cui scopo sia quello di eludere la legge fiscale", da accertare, caso per caso, in base a un esame globale dell'operazione, senza applicare indistintamente una disciplina penalizzante per tutti i soggetti che decidono di insediarsi in Paesi a bassa fiscalità.

C'è, pertanto, molta attesa in ordine alla sentenza della Corte di giustizia, che se dovesse confermare le conclusioni dell'Avvocato generale, potrebbe determinare rilevanti modifiche anche nella normativa italiana, di struttura simile a quella inglese oggetto del contenzioso comunitario.
Il legislatore nazionale, infatti, potrebbe essere costretto, quanto meno, a eliminare dalla "lista nera" quei Paesi (come Cipro e, limitatamente ad alcuni soggetti, Malta) in essa ricompresi e da poco entrati a far parte dell'Unione europea.

In ambito interno, inoltre, la disciplina cfc, estesa, come si vedrà, anche alle collegate estere, in virtù del disposto dell'articolo 168 Tuir, attende il relativo regolamento attuativo previsto dalla stessa norma, ancora in fase di elaborazione e che dovrebbe essere emanato a breve, essendosi recentemente pronunciato, con parere favorevole, il Consiglio di Stato.
Aspettando gli imminenti sviluppi, è opportuno esaminare l'attuale disciplina italiana.

Premessa
Negli ultimi decenni si è assistito al trasferimento, sempre più massiccio, di reddito imponibile da giurisdizioni con tassazione ordinaria verso i Paesi a regime di fiscalità privilegiata ("paradisi fiscali"). Per contrastare tale fenomeno, i primi hanno adottato varie normative, tra cui spicca quella in materia di imputazione dei redditi dei soggetti partecipati non residenti (controlled foreign companies), a cui spesso ci si riferisce utilizzando l'acronimo "cfc".

Tale legislazione è stata introdotta nel nostro ordinamento tributario con l'articolo 1, comma 1, della legge 21/11/2000, n. 342, che ha inserito nel Dpr n. 917/86 l'articolo 127-bis. Con decreto ministeriale del 21/11/2001, n. 429, è stato, poi, emanato il relativo regolamento attuativo.
Il Dlgs n. 344/2003 (decreto Ires), in attuazione dei criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 80/2003, da un lato ha trasfuso, senza grandi modifiche, il testo dell'articolo 127-bis nel nuovo articolo 167 e, dall'altro, ha introdotto l'articolo 168 in materia di imprese estere collegate.

L'esposizione riguarderà principalmente l'articolo 167 del Tuir, riguardante le controllate estere, sia perché il successivo articolo 168 esplicitamente richiama il primo, salvo quanto da esso diversamente disposto, sia perché, di fatto, la disciplina delle collegate estere non è ancora operativa, essendo in attesa del relativo decreto attuativo, la cui emanazione pare imminente.

In prima approssimazione, l'articolo 167 dispone la tassazione in capo ai residenti dei redditi delle società estere residenti o localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata da essi controllate, proporzionalmente alla partecipazione posseduta, indipendentemente dall'effettiva distribuzione di utili ("imputazione per trasparenza").

L'introduzione delle cfc rules, dunque, priva i controllanti residenti della possibilità di ottimizzare, in relazione alla propria situazione fiscale, il flusso dei dividendi da controllata estera, scegliendo il momento della delibera e distribuzione degli utili della partecipata.
Grazie a tale normativa non solo si ottiene un'anticipazione della tassazione, ma anche una modifica dei criteri di tassazione. Infatti, oggetto dell'imposizione risulta essere l'utile civilistico della partecipata estera, rideterminato con le norme sul reddito d'impresa del diritto tributario italiano, con tutte le conseguenti variazioni.

Presupposti soggettivi
La disciplina contenuta nell'articolo 167 Tuir, in base al combinato disposto dei commi 1 e 2, trova applicazione ogni qualvolta un soggetto residente italiano possiede una partecipazione di controllo in una impresa, società o altro ente localizzati in un Paese a fiscalità privilegiata.
Più precisamente, per espressa previsione del comma 2, lo strumento antielusivo in questione si applica solo nei confronti dei seguenti soggetti residenti, anche non titolari di reddito di impresa:
  • persone fisiche
  • soggetti di cui all'articolo 5 Tuir e cioè società semplici, Snc, Sas e soggetti equiparati
  • soggetti passivi Ires, esclusi quelli ex articolo 73, comma 1, lettera d), del Tuir (a eccezione quindi di società ed enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato) che possiedono - direttamente o indirettamente - partecipazioni di controllo in società estere, localizzate in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato, inclusi nella black list approvata con decreto ministeriale 21/11/2001.

La norma precisa che la disciplina cfc si applica anche se i suddetti soggetti detengono la partecipazione nella società estera indirettamente, cioè per il tramite di una società fiduciaria o di interposta persona (la circolare 16.11.2000, n. 207, ha chiarito che il termine "persona" va inteso in un'accezione molto ampia, conformemente all'interpretazione estensiva che di tale termine danno le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni).
Sono attratti nell'ambito di applicazione della normativa cfc, ai sensi del comma 1, ultimo periodo, anche i redditi conseguiti da controllate estere non localizzate nei Paesi della black list, se i redditi in questione provengono da stabili organizzazioni situate in Paesi o territori in essa inseriti.

Presupposti oggettivi - il controllo
Ai sensi del comma 3, i criteri da prendere a riferimento per stabilire l'esistenza del controllo sono quelli fissati dall'articolo 2359 del codice civile. Si fa, pertanto, riferimento alle seguenti tipologie di controllo:

  • controllo di diritto: possesso della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria della società
  • controllo di fatto (interno): possesso di un numero di voti sufficiente a esercitare un'influenza dominante sull'assemblea ordinaria della società
  • controllo contrattuale (esterno): presenza di accordi contrattuali che consentano l'esercizio di un'influenza dominante sulla società. In tal caso, però, come chiarito nella relazione all'articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale n. 429 del 21/11/2001, è necessaria, ai fini dell'imputazione del reddito "una, seppur minima, partecipazione all'utile dell'impresa estera da parte del soggetto italiano".

Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di diritto o di fatto, si computano anche gli eventuali voti spettanti a società controllate (cosiddetto controllo "a catena"), società collegate, a società fiduciarie e a persone interposte, che rappresentano ipotesi tipiche di controllo indiretto.
Se la partecipazione è detenuta da persone fisiche, ai fini della verifica della sussistenza del controllo, andranno computati anche i voti eventualmente spettanti al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado(1).

Per quanto concerne il momento in cui deve essere effettuata la verifica del controllo, l'articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale 21/11/2001, n. 429, stabilisce che rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o del periodo di gestione della controllata estera, non rilevando il periodo di possesso. Se, tuttavia, né lo statuto della controllata estera né la normativa dello Stato estero permettono di individuare tele termine, la sussistenza del controllo andrà verificata alla data di chiusura dell'esercizio fiscale del soggetto controllante residente(2).

Per espressa previsione dell'articolo 3, comma 7, Dm 429/2001, anche in tale contesto trovano applicazione le disposizioni antielusive contenute nell'articolo 37-bis del Dpr 600/1973. L'Amministrazione finanziaria, pertanto, potrebbe disconoscere gli effetti fiscali di un frazionamento o di una cessione della partecipazione di controllo in data precedente alla chiusura dell'esercizio della società estera, messi in atto al solo scopo di evitare l'applicazione dell'articolo 167.

1 - continua. La seconda puntata sarà pubblicata martedì 30

NOTE
1. Non assumono invece alcuna rilevanza, ai fini della verifica della sussistenza del controllo, altri criteri eventualmente individuati dalla legislazione dello Stato in cui è localizzata la società controllata estera (circolare ministeriale n. 207/2000).

2. Con la circolare n. 18/E del 2002, l'Agenzia delle entrate ha chiarito che, ai fini dell'applicabilità della disciplina cfc, debba esistere, oltre al controllo, anche una partecipazione agli utili del soggetto non residente, ancora posseduta alla data di chiusura dell'esercizio della controllata, visto che il reddito di quest'ultima viene imputato per trasparenza al soggetto residente che esercita il controllo come conseguenza del possesso, da parte sua, della partecipazione agli utili della cfc.

 
Nicola Fasano
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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