Pro quota ai soci gli utili in nero.


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Pro quota ai soci gli utili in nero.
Autore: Francesca La Face - aggiornato il 16/03/2006
N° doc. 1328
16 03 2006 - Edizione delle 13:00  
 
Corte di cassazione, sentenza n. 3113 del 13 febbraio 2006

Pro quota ai soci gli utili in nero

Legittima la presunzione di attribuzione anche nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base azionaria
 
L'ufficio notificava un avviso di accertamento - che traeva origine da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza - con il quale contestava, al socio di una Srl, redditi da capitale non dichiarati.
Il contribuente impugnava l'avviso di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale, eccependo l'erroneità del procedimento attraverso il quale l'ufficio aveva indotto la sussistenza di maggiori redditi.
La Commissione adita accoglieva il ricorso, annullando l' avviso di accertamento.

Avverso tale decisione, l'ufficio proponeva appello, ribadendo le proprie doglianze e la correttezza di quanto operato.
La Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello dell'ufficio.

Avverso la sentenza d'appello, il contribuente inoltrava ricorso davanti alla Commissione tributaria centrale, che respingeva il gravame avanzato.

Contro detta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione, lamentando:
  • che i giudici di appello avrebbero respinto l'impugnazione proposta senza fornire spiegazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della propria decisione
  • che la Commissione tributaria regionale sarebbe incorsa in errore compiendo una praesumptis de praesumpto, cioè "valorizzando una presunzione come fatto noto per farne derivare un'altra presunzione".

Tanto premesso, con la sentenza in rassegna (n. 3113 depositata il 13/2/2006), la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente.
In particolare, la Corte suprema ritorna sulla nota questione della presunzione di distribuzione di utili ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria nell'ipotesi in cui emergano ricavi non dichiarati dalla società sottoposta a verifica.

I giudici di legittimità hanno sostenuto, sulla scia di quanto affermato dalla costante e prevalente giurisprudenza della Cassazione, che la ristretta base azionaria consente una presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati e non viola il divieto di praesumptis de praesumpto, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti di una società di capitali, ma dalla ristrettezza della base azionaria e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tale caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (cfr. Cass. n. 16729/2005; Cass. n. 16885/2003; Cass. n. 14006/2003; Cass. n. 7564/2003; Cass. n. 7234 del 1/6/2000; Cass. n. 3990 del 3/4/2000; Cass. n. 2606 del 8.3.2000).
La ristretta base azionaria, tanto più se essa è anche familiare, è il presupposto sufficiente per potere legittimamente presumere che gli utili non contabilizzati, tanto da una società di capitali quanto da una società di persone, siano stati distribuiti ai soci, sui quali grava l'onere di fornire l'eventuale prova contraria.

Lo stesso principio è stato affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 20078 del 17/10/2005, la quale ha sostenuto che "... l'esperienza suggerisce di ritenere probabile che in una società composta soltanto di pochi soci, (...) addirittura legati da rapporti di parentela, gli utili non contabilizzati siano ripartiti tra coloro che, proprio perché pochi e apparentati, sono in grado, esercitando la dovuta diligenza, di controllare bene ed agevolmente il socio gestore, contro il quale possono esercitarsi, anche a fini probatori tributari, le azioni di responsabilità previste dagli art. 2392 e seguenti del codice civile" (cfr. Cass. n. 20078 del 17/10/2005; Cass. n. 7492 del 22/5/2002).

La correttezza logico-giuridica del criterio d'imputazione ai soci degli utili extracontabili di una società di capitali è stata ripetutamente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, sulla considerazione della "complicità" che normalmente avvince i membri di una ristretta compagine sociale (cfr. Cass. n. 941 del 17/2/1986; Cass. n. 5729 del 25/5/1995).

Da ultimo, la Corte suprema, con la sentenza in commento, ha osservato, richiamando il suo precedente orientamento, che "la presunzione di attribuzione ai soci, pro quota, degli utili non contabilizzati di una società di capitali a ristretta base azionaria, non viene meno per il fatto che in sede penale sia stato accertato che il socio di minoranza (nel caso di specie la moglie) non avesse partecipato alla gestione aziendale" (cfr. Cass. n. 20078/2005).

In conclusione, sulla base di quanto precede, si può, pertanto, ribadire che nel caso di società di capitali, pur non sussistendo, a differenza delle società di persone, una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, viene generalmente ammesso che l'appartenenza della società a una stretta cerchia familiare possa costituire, sul piano degli indizi, prova dell'avvenuta distribuzione.

 
Francesca La Face

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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