Qua si disprezza il contraddittorio, senza offesa signor giudice!.


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Qua si disprezza il contraddittorio, senza offesa signor giudice!.
Autore: Angelo D'Andrea - aggiornato il 07/11/2007
N° doc. 4668
07 11 2007 - Edizione delle 15:00  
 
Ctp Trento, sentenza n. 103 del 20 settembre 2007

Qua si disprezza il contraddittorio, senza offesa signor giudice!

Quando una frase è sconveniente e oltraggiosa per la Commissione
 
Prima di tutto l’educazione, sicuramente lo si insegna ancora a scuola e in famiglia. In ogni caso, un professionista che presenta un ricorso in Commissione tributaria dovrebbe saperlo. Tuttavia, a volte accade di farsi prendere la mano. E quando accade, il risultato è una frase sconveniente, ancorché offensiva, infilata nel corpo di un atto formale. Ciò produce immediatamente l’impressione e la considerazione che la linea difensiva proposta dal contribuente sia fondata su deboli presupposti e fragili argomentazioni di merito fiscale.
Entrando nel merito fiscale, si sta trattando di una complessa attività di indagine su operazioni fittizie relative alla cessione di quote societarie, occultamento di scritture contabili e spostamento degli obblighi di dichiarazione in capo a un soggetto extracomunitario irreperibile.

La vicenda prende avvio da un pvc della Guardia di finanza nell’ambito di un processo penale pendente presso la Procura della Repubblica di Trento. L’attività istruttoria evidenzia per il 2004 un volume d’affari di oltre 63 milioni di euro. Si contesta subito che tale considerevole importo sia stato sottratto a tassazione omettendo di dichiararlo ai fini Iva, Irap e Irpef. Scritture contabili che possano contrastare e smentire queste prime fasi delle indagini finanziarie non vengono prodotte. Anzi, il legale rappresentante dell’impresa sotto inchiesta dichiara di non essere in possesso di alcuna documentazione in quanto l’intero capitale sociale era già stato ceduto a un terzo, con conseguente mutamento della ragione sociale della società e suo trasferimento di sede legale in una località della provincia di Modena.

La Guardia di finanza, naturalmente, procede a verificare quanto dichiarato. Chi è colui al quale sono state trasferite le quote del capitale sociale? Un imbianchino. Un imbianchino titolare di una società che commercializza telefonia mobile e impianti ricetrasmittenti? Può darsi. L’imbianchino è di nazionalità extracomunitaria, e ciò non significherebbe nulla, se non fosse che si tratta di una persona irreperibile. All’Anagrafe del piccolo comune del modenese quella persona risulta non residente, più in zona già dal 2002. Inesistente è anche quella che avrebbe dovuto essere la sede della società, dopo il suo trasferimento dal Trentino.
Non basta, i funzionari delle Entrate di Trento riescono a documentare che il primo titolare ha continuato a gestire l’attività dell’azienda, una società in nome collettivo, anche dopo la sua presunta cessione, compiendo atti che solo chi è responsabile della gestione di un’attività economica può e deve compiere.
Da notare che la presunta cessione dell’azienda era datata a febbraio 2005. Nello stesso periodo diventa attiva un’altra società intestata allo stesso soggetto, questa volta si tratta di una Srl. E allora cosa rilevano i nostri funzionari? Rilevano che lo stesso titolare abbia fondato la Srl nel 2002, l’abbia lasciata inattiva per tre anni e solo nel 2005, quando dichiarava la vendita della Snc a un extracomunitario, abbia cominciato a farla marciare: dunque, in realtà, l’attività della Snc era continuata nella Srl e non già nell’azienda “ceduta”.

Il fine di tutta questa operazione? Sono gli atti degli stessi funzionari delle Entrate di Trento a fondare una risposta: la cessione della Snc ha avuto lo scopo di occultare le scritture contabili, spostare su un soggetto irreperibile gli obblighi di dichiarazione annuale relativi al 2004, omettere altresì di dichiarare i relativi redditi di partecipazione nella presentazione del modello Unico 2005 (addirittura su questo modello l’intraprendente imprenditore trentino riportava solo un credito Iva per il 2004, un credito presunto, mai accantonato in realtà dato che la quasi totalità delle merci acquistate proveniva da operatori comunitari con conseguente Iva neutra).

"Nel merito delle riprese, l’omessa dichiarazione dei redditi e la mancata esibizione della documentazione contabile giustifica l’accertamento induttivo ai sensi degli artt. 41, 42 del DPR 600/73 per quanto riguarda le imposte dirette ed ai sensi dell’art 55 del DPR 633/72 per quanto riguarda l’Iva, nonché l’irrogazioni delle relative sanzioni. Si ritiene parimenti corretto l’ammontare degli importi accertati e ricondotti a tassazione in quanto scaturenti da dati e notizie raccolte nell’ambito dell’attività istruttoria e non confutati da idonea documentazione contabile da parte ricorrente": queste sono le conclusioni della sentenza di primo grado emessa il 20 settembre dalla II sezione della Ctp di Trento la quale respinge i ricorsi del contribuente e, cosa mai successa prima a memoria d’ufficio – come dicevamo in apertura – decide di ammettere l’articolo 89 del Codice di procedura civile (applicabile al processo tributario in virtù dell’articolo 1 del Dlgs 546/1992) sullo stralcio di frasi offensive e sconvenienti. Un articolo non molto frequentato nella pratica ma, evidentemente, utile all’occorrenza, ovvero quando si ravvisa un linguaggio non adeguato nei confronti di un organo giudicante.

Per cui, pur non avendo effetto sostanziale, il giudice trentino ha disposto la cancellazione di alcune “frasi sconvenienti”. La norma dà anche facoltà al giudice di "assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l’oggetto della causa". Non fino a questo punto è stato sconveniente parte del testo del ricorso presentato dal contribuente, il quale però dovrà rifondere all’Amministrazione finanziaria 20mila euro di spese.

 
Angelo D'Andrea
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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