Redditometro e onere della prova - Cass., sez. trib., sent. 13 giugno 2005 n. 12671


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Redditometro e onere della prova - Cass., sez. trib., sent. 13 giugno 2005 n. 12671
Autore: Scuola Superiore dell'Econonia e delle Finanze - aggiornato il 11/07/2005
N° doc. 148
della Scuola superiore dell'economia e delle finanze
a cura del Ce.R.D.E.F - Centro Ricerche Documentazione Economica e Finanziaria   
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Redditometro e onere della prova

Cass., sez. trib., sent. 13 giugno 2005 n. 12671

La prova di non avere prodotto i redditi impiegati per l’acquisto di un bene indice di capacità contributiva deve essere fornita dal contribuente. A tal fine non ha valore probatorio una controdichiarazione volta rendere simulato l’acquisto se priva di data certa anteriore al giudizio.

La Cassazione ha rigettato il ricorso di un contribuente relativo alla contestazione dei presupposti per l’applicazione dell’accertamento c.d. sintetico, ex art. 38, quarto comma, DPR n. 600 del 1973 noto come “redditometro”.

Il contribuente possedeva, secondo l’ufficio, redditi maggiori rispetto a quelli dichiarati essendo titolare di un bene indice di capacità contributiva. Nel corso del giudizio il contribuente opponeva che si trattava di acquisto simulato ed esibiva perciò una controdichiarazione per la quale, tuttavia, la data certa non poteva ritenersi anteriore rispetto al giorno dell’esibizione ex art. 2704 c.c..

Il redditometro è un meccanismo di accertamento di tipo presuntivo, in cui il mero verifica possesso di determinati beni, indici di capacità contributiva, comporta in capo all’ufficio finanziario il potere (discrezionale) di prescindere dalla dichiarazione dei redditi e rideterminare così il reddito imponibile sulla base dei coefficienti contenuti nei decreti emanati ex art. 38, quarto comma citato.

Trattandosi di presunzione c.d. iuris tantum, con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, questi può provare di non aver mai posseduto i redditi impiegati per l’acquisto dei beni costituenti indice di ricchezza, ovvero che si tratti di redditi esenti.

L’onere della prova compete al contribuente, mentre in capo all’ufficio vi è discrezionalità quanto alla decisione di ricorrere ai coefficienti presuntivi mentre la quantità di reddito presunto viene determinata in via automatica per mezzo dei coefficienti in esame. [n.d.r.]

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 Con ricorso notificato al MINISTERO delle FINANZE il 23 gennaio 1999 (depositato con plico postale spedito il 3 febbraio 1999 e ricevuto il 22 febbraio 1999) T.R., in forza di cinque motivi chiedeva, con la rifusione delle spese di "ogni grado", di cassare la sentenza n. 42/04/96 depositata il 12 agosto 1998 dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia la quale aveva respinto il gravame da lui avanzato avverso la decisione (n. 111/07/96) con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Udine aveva accolto, limitatamente al valore dell'autovettura, l'impugnazione - da lui proposta sostenendo esseri trattato di donazione e non di compravendita - dell'avviso con il quale l'Ufficio delle imposte Dirette di Udine, sulla scorta dell'atto di "cessione di azienda" (avente ad oggetto la vendita al minuto di mobili) stipulato da lui con la madre C.R. il 22 dicembre 1988, aveva accertato in capo ad esso T. un reddito non dichiarato per l'anno 1987 di L. 98.000.000, pari ad un sesto della somma del prezzo (indicato in L. 550.000.000 e rettificato dall'Ufficio del Registro in L. 570.000.000) di detta cessione e del valore (L. 20.000.000) di un'autovettura.

 Nel controricorso notificato il 3 marzo 1999 (depositato il 22 marzo 1999) il Ministero intimato instava per il rigetto dell'avverso ricorso con refusione delle spese processuali.

 Il 31 marzo 2005 il contribuente depositava memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

 1. Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale - precisato di non poter esaminare le "questioni" relative (1) all'"acquisto della autovettura V." e (2) alla "illegittimita' della sanzione... irrogata dall'Ufficio" ("la prima perche' sul punto la decisione di prime grado e' passata in giudicato e la seconda per il disposto di cui all'art. 346 c.p.c.") e rilevato, "in via preliminare", che "con l'atto d'appello non sono state introdotte nuove domande" in quanto "gia' nel ricorso di primo grado l'... appellante aveva enunciato il mancato pagamento del prezzo da parte del figlio, acquirente, alla madre, venditrice" -, dopo avere (1) affermato che ("per costante giurisprudenza anche di legittimita'"), "e' senz'altro legittimo il ricorso ad accertamento sintetico del redditi del contribuente che abbia effettuato acquisti per importi non congrui con i redditi dichiarati, laddove il contribuente stesso non provi la concreta provenienza della provvista con la quale e' stato effettuato l'acquisto, indice di maggiore capacita' contributiva'" (2) evidenziato che il contribuente in appello "offre di provare, che tra le parti, contrariamente a guanto risulta dal contratto di cessione dd. 22.12.1988, stipulato con scrittura privata autenticata dal Notaio C., non vi fu pagamento del prezzo e quindi non vi fu trasferimento di denaro del quale dare contezza della provenienza", "esaminata la documentazione versata dall'appellante, riguardato il contratto di cessione e valutato nel suo complesso il comportamento processuale della parte", ha disatteso il gravame del T. ritenendo "non... raggiunta la prova della causa di liberalita' della cessione" in quanto "la controdichiarazione redatta tra madre e figlio non porta alcuna data certa se non quella del suo deposito in queste grado di giudizio";

 "la sua mancata esibizione in primo grado... fa dubitare della sua riferibilita' ad una data anteriore al giudizio di appello"; pur essendo vero che "l'esistenza di un accordo dissimulato prescinde dalla sua formalizzazione per l'iscritto", "trattandosi comunque di patti aggiunti opposti a terzi la certezza della data della loro stipula diviene elemento insopprimibile".

 Lo stesso giudice di appello, quindi, ha giudicato - "privi, di qualsiasi rilevanza" le "dichiarazioni della pretesa donante e del professionista, che l'avrebbe assistita" (le quali, secondo l'appellante, avrebbero dovuto suffragare la controdichiarazione) perche' "il primo... nulla aggiunge a quanto risultante dalla controdichiarazione" e "il secondo ... proveniente dal difensore della parte in primo grado, la cui attendibilita' e' decisamente modesta"; - "di ben poco valore", oltre che "smentiti dai fatti emergenti nel contratto stesso", gli "altri elementi presuntivi portati dalla parte a supporto della tesi della simulazione della quietanza" atteso che "la giovane eta' dell'odierno appellante (e cioe' ventisei anni) ... non aveva impedito allo stesso di collaborare con la madre nella conduzione dell'azienda (e come lui stesso enuncia in modo quasi paritario) e di formarsi una famiglia" per cui e' "senz'altro possibile che il giovane (ma non giovanissimo) T. all'epoca potesse ben vantare dei redditi autonomi e non dovesse essere necessariamente, dato il privilegio della gioventu', nullatenente".

 La Commissione Tributaria Regionale, infine, considerato che "all'atto di cessione di azienda ha partecipato anche il coniuge dell'appellante, in regime di comunione legale dei beni, per dichiarare che l'acquisto e' avvenuto "a titolo personale con danaro proprio (del T.), ricavato da vendita di beni personali e con il consenso del coniuge"", ha posto in rilievo che "tale dichiarazione, non confutata o smentita da alcuno, avvalora la precedente quietanza del prezzo".

 2. Con il primo motivo di ricorso il T. contesta l'affermazione contenuta nella sentenza gravata secondo cui "trattandoci comunque di patti aggiunti opposti a terzi la certezza della data della loro stipula diviene elemento insopprimibile" e lamenta (ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1415, 1416, 1417 e 2704 cod. civ. adducendo che " il probema non si pone in termini di opponibilita' a terzi delle controdichiarazioni (al contratto simulato) di asta non certa ex art. 2704 c.c." in quanto "la negativa di cui agli artt. 1415, 1416 e 1417 c.c. tende a rendere inopponibile a terzi il contratto simulato (come negozio) e... non la enunciazione dei fatti e le dichiarazioni che il documento contrattuale contiene" mentre nel caso si tratta di accertare "il fatto storico del pagamento del prezzo" che, "documentato in quell'atto come dichiarazione di una delle parti", e' "preso in considerazione dall'ente impositore come manifestazione di ricchezza" da parte di esso ricorrente, cioe' "come conseguenza di un reddito prodotto... in anni in cui era certamente impossibile" che egli lavorasse.

 Per il contribuente, quindi, egli "era ammesso a provare in sede giurisdizionale la non rispondenza, al vero della dichiarazione di saldo" e tanto era stato fatto "anche a mezzo della contro dichiarazione" ("c.d. atto integrativo datato ... 22 dicembre 1999 a firma C.R. (recte, R.) e T.R.") la quale "doveva essere presa in considerazione.... indipendentemente dalla certezza della sua data", non potendo tale atto "non avere lo stesso valore dell'atto notarile solo perche' privo di data certa".

 La doglianza va disattesa perche' infondata, oltre che, comunque, priva di rilevanza.

 A. Pur indicando come "elemento insopprimibile" la "certezza della data" della stipula dei "patti aggiunti" risultanti dal "c.d. atto integrativo datato... 22 dicembre 1988" se "opposti a terzi", invero, la Commissione Tributaria Regionale non ha affatto affermato la inopponibilita' all'Amministrazione Finanziaria dello Stato dei patti contenuti in detto "atto integrativo" ma ha solamente desunto, dal positivo riscontro del congiunto concorso sia della mancanza di data certa che dalla omessa esibizione dell'atto in primo grado, che non vi era certezza in ordine alla data di stipula della convenzione e, quindi, in ordine alla possibilita' di collocazione temporale della stessa, "ad una data antetiore si giudizio di appello".

 Cosi' decidendo, quindi, la Commissione Tributaria Regionale non ha dato alle norme di cui si denuncia la violazione un senso diverso da quello loro proprio, cioe' (Cass., II, 12 febbraio 2004 n. 2707; id., II, 26 gennaio 2004 n. 1317) un significato differente dalla interpretazione (comunemente accolta dalla giurisprudenza di questa Corte o dalla prevalente dottrina) di ciascuna di esse e del - loro combinato disposto - tanto che il ricorrente non ha neppure allegato una diversa interpretazione -, ma ha soltanto tratto, dall'impossibilita' di collocazione temporale, un elemento di giudizio per formare il proprio convincimento in ordine alla inattendibilita' della dichiarazione stessa.

 B. La censura, peraltro, si palesa del fatto irrilevante atteso che - non avendo il ricorrente neppure allegato una qualche diversita' del contenuto tra i due atti tale da indurre, se rettamente valutato, ad un giudizio diverso da quello preso nella sentenza impugnata - la dichiarazione racchiusa nell'atto di notorieta', sottoscritto dalla madre (venditrice) ed esibito nel giudizio di appello, e' sostanzialmente reiterativo del contenuto dell'"atto integrativo" per cui la valutazione della non idoneita' di detta dichiarazione a costituire prova dell'assunto del contribuente costituisce implicito ma inequivoco giudizio negativo anche in ordine all'efficacia probatoria del contenuto dell'"atto integrativo".

 3. Con il secondo motivo di ricordo il T. lamenta (ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell'art. 38, quarto comma, DPR n. 600 del 1973 - per il quale, nel resto vigente "all'epoca cui si riferisce il reddito accertato", "se il reddito complessivo risultante dalla determinazione analitica e' inferiore a quello fondatamente attribuibile al contribuente in base ad elementi e a circostanze di fatto certi, l'ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze" - adducendo che "perche' scatti la presunzione e' necessario che ci sia pluralita' di elementi e circostanze e soprattutto la certezza" mentre nella specie il giudice a quo "afferma... la sufficienza (si un solo indizio", ovverosia (la sufficienza) dell'affermazione di ricezione del pagamento", peraltro "smentita", a suo giudizio, "da controdichiarazione, da dichiarazione di terzi, da documentazione bancaria etc. etc.".

 Per il contribuente "la presunzione fiscale deve partire da fatti certi (e non da un fatto dubbio)" atteso che "la "concordanza" pretende la pluralita' degli indizi" (mentre "qui ve ne e' uno solo, peraltro equivoco, e contraddetto da molti altri") laddove nel caso "non c'e' la gravita'" e manca pure la "concordanza".

 La censura va disattesa perche' priva di pregio.

 Sulla specifica questione di diritto (costituita dal se l'accertamento sintetico dei redditi debba avere come presupposti piu' fatti indicativi di ricchezza o possa basarsi anche su un solo fatto dimostrativo di essa), invero, in carenza di convincenti argomentazioni contrarie, deve essere ribadito il principio affermato da questa sezione con la sentenza n. 12060 del 9 agosto 2002 - peraltro in consonanza con quello, reso per l'ordinario processo civile, secondo cui (Cass., III, 24 aprile 2001 n. 6038; id., III, 18 gennaio 2000 n. 491; id., II, 4 maggio 1999 n. 4406; id., III, 3 febbraio 1999 n. 914; id., lav., 12 dicembre 1996 n. 11117), ai sensi dell'art. 2121, primo comma, cod. civ. il giudice di merito, sempre che la stessa aia grave e precisa, puo' fondare il suo convincimento anche esclusivamente su una prova presuntiva semplice, non essendo tale prova inferiore alle altre -, cioe' il principio per il quale nel giudizio (quale il presente) conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi - benche' l'art. 2729, comma 1, c.c. e l'art. 39, comma 4, del DPR n. 600 del 1973 si esprimano al plurale - potendosi il convincimento (pure) del tributario giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave.

 4. Con il terzo motivo di ricorso il T. contrasta il "rilievo" attribuito alla sentenza impugnata al fatto che "all'atto di cessione di azienda ha partecipato anche il coniuge dell'appellante, in regime di comunione legale dei beni, per dichiarare che l'acquisto avvenuto "a titolo personale con danaro proprio (del T.), ricavato da vendita di beni personali e con il consenso del coniuge"" e lamenta (ai sensi dell'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione dell'art. 2734 cod. civ. nonche' "insufficiente e contraddittoria motivazione" esponendo che "se effettivamente la coniuge avesse cio' dichiarato...., lungi dal provare il reddito proverebbe il contrario, cioe' che il denaro proveniva da vendita di beni";

 "la Commissione di appello ha travisato la dichiarazione dell'atto pubblico e la ha voluta utilizzare in modo parziale e contraddittorio" in quanto "non e' assolutamente vero" che sua moglie "abbia dichiarato" che egli "compra con denaro proprio" essendo "vero invece" ("basta leggere il documento") che esso "T. e la C. risultavano aver dichiarato che l'acquisto avvenne con "ricavato da vendita di beni personali e con il consenso del coniuge"" per cui, poiche' "l'art. 2734 c.c. pretende... che la confessione sia assunta in modo inscindibile", la sua "dichiarazione "confessoria" va assunta in toto";

 non avendo "nel caso... l'Amministrazione Finanziaria... esplicita, non e e contestato che il pagamento sia avvenuto con disponibilita' conseguente a vendita di beni", "in ipotesi fosse ritenuta vera la dichiarazione, questa farebbe venir meno il carattere confessorio del pagamento come conseguente a disponibilita' derivanti da redditi prodotti".

 La doglianza, come proposta, e' inammissibile.

 A. La recisa negazione ("non e' assolutamente vero"), da parte del ricorrente, del fatto, ritenuto invece dal giudice di appello, che la moglie dei contribuente "abbia dichiarato" che esso T. "compra(va) con denaro proprio" e l'attribuzione, di contro, della dichiarazione in questione ("l'acquisto avvenne con "ricavato da vendita di beni personali e con il consenso del coniuge"") alle stesse parti che hanno stipulato l'atto negoziale evidenziano un vizio idoneo, se sussistente, a determinare eventualmente nel concorso anche del requisito della decisivita' dello stesso) la revocazione della decisione (ove fondata sul fatto relativo) avendo il ricorrente addotto che per l'accertamento del vizio "basta leggere il documento".

 La censura, quindi, denuncia - anche letteralmente ("la Commissione di appello ha travisato la dichiarazione dell'atto pubblico") - un vero e proprio travisamento del fatto relativo all'identificazione del soggetto (o dei soggetti) che avrebbe(ro) emessa la dichiarazione in questione e tale vizio, come noto. (Cass., III, 11 dicembre 2003 n. 18902; id., I, 29 maggio 2003 n. 8600; id., III, 16 maggio 2003 n. 7635; id., II, 3 aprile 2003 n. 5149, ex plurimis), non puo' costituire motivo di ricorso per cassazione perche', risolvendosi nell'asserita inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile (al giudice competente) unicamente con il mezzo della revocazione, ex art. 395, n. 4, c.p.c.

 B. L'inammissibilita' della censura in dipendenza della appurata natura del vizio, poi, rende incontestato l'accertamento del giudice del merito in ordine al fatto che la dichiarazione in questione sia stata resa dalla moglie del contribuente (quindi da un terzo) e, di conseguenza, priva di fondamento fattuale tutte le considerazioni svolte dal ricorrente in ordine alla pretesa violazione dell'art. 2734 cod. civ. ("dichiarazioni aggiunte alla confessione") non potendosi- certamente considerare confessoria, nei confronti dell'erario, la dichiarazione della moglie, resa, verosimilmente, ai sensi e per gli effetti previsti dal secondo comma dell'art. 179 cod. civ. 5.

Con il quarto motivo di ricorso il T. impugna il fatto che la Commissione Tributaria Regionale (a suo giudizio) abbia indotto - solo "dalla dichiarazione della venditrice di aver ricevuto il prezzo" e "pur in presenza di controdichiarazioni, delle stesse parti, di dichiarazioni di terzi, di documentazione bancaria e di presunzione tributaria in pro della donazione" - il pagamento di un prezzo da parte sua e da questo pagamento "la disponibilita' ..., come conseguenza, non di una donazione o di una vincita, ovvero della dichiarata vendita di cespite..., di un reddito non dichiarato" e lamenta (ai sensi dell'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell'art. 2729 cod. civ. nonche' "difetto di motivazione" adducendo che il giudice a quo e' incorso in una ""praesumptio de praesumpto" vietata" in quanto non era possibile un pagamento "in contanti" di L. 550.O0O.OOO perche' "la normativa vigente vietava l'uso del contante" e "un tale uso comunque avrebbe "lasciato traccia"";

 non si e' tenuto "in assoluto conto" che egli aveva dichiarato di "aver conseguito la disponibilita' finanziaria non con reddito da lavoro ma con vendita di beni"; "neppure si e' accertato, pur essendovi gli strumenti e potendo la Commissione disporre idoneo accertamento, se effettivamente la madre avesse incassato i 550 milioni, che avrebbero dovuto essere trasmessi, via banca, dal figlio e confluiti su libretti o conti correnti presso un istituto bancario".

 Il ricorrente aggiunge che vi era anche una "pluralita' di indizi univoci e con concordanti di segno assolutamente centrali a quello accolto dalle Commissioni Tributarie", sulla "valenza" dei quali "si e' omesso di argomentare" (con conseguente "vizio di motivazione"), costituiti dalla: "controdichiarazione delle parti coeva al contratto", "scartata" dalla Commissione ("errando") "perche' priva di data certa";

 "dichiarazioni di terzi rispetto si rapporto d'imposta" ("la madre e il commercialista") la prima delle quali era stata tenuta "in assoluto non cale (dimenticando)" e la seconda era stata dichiarata "apoditticamente inattendibile ... perche' promanante dal difensore";

 "copia estratti del conto corrente bancario della madre", il cui esame "e' stato totalmente omesso dalla Commissione Tributaria Regionale".

 Secondo il contribuente "da tutti questi elementi, certi univoci e concordanti, si doveva trarre la prova certa della simulazione relativa del pagamento del prezzo risultante dall'atto" e "comunque" la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto "escludere" che egli avesse prodotto i "redditi indicati".

 Il motivo e' infondato perche' non sussiste nessuno dei due vizi denunciati.

 A. La violazione del principio che vieta la c.d. "praesumptio de praesumpto", invero, e' stata solo affermata ma non illustrata; il giudice a quo, peraltro, confermando l'accertamento impugnato, ha semplicemente ritenuto "senz'altro legittimo il ricorso ad accertamento sintetico dei redditi del contribuente che abbia effettuato seguisti per importi non congrui, con i redditi dichiarati, laddove il contribuente stesso non provi la concreta provenienza della provvista con la quale e' stato effettuato l'acquisto, indice di maggiore capacita' contributiva", con cio' ricavando il fatto ignoto (l'indice di capacita' contributiva) non gia' da un'altra (mai indicata) presunzione ma direttamente ed unicamente dal fatto noto dell'acquisto di un bene per un importo ritenuto non congrue "con i redditi dichiarati" dal contribuente stesso.

 B. Il "difetto di motivazione", poi, non si riscontra affatto nella decisione gravata.

 B.1. La deduzione, nel ricorso per cassazione, di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, infatti (Cass., lav., 10 novembre 2004 n. 21377; id., III, 30 agosto 2004 n. 17369; id., lav., 12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 febbraio 2004 n. 2399; id., lav., 1 agosto 2003 n. 11936), conferisce al giudice di legittimita' non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi' la sola facolta' di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito (2) di individuare le fonti del proprio convincimento, (2) di assumere e valutare le prove, (3) di controllarne l'attendibilita' e la concludenza, (4) di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita' dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi', liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge): il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorieta' della medesima, quindi, puo' legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancata esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione della ratio decidendi, cioe' del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

 Al fine della congruita' della motivazione, poi, e' sufficiente che da questa risulti che i vari elementi probatori acquisiti siano stati valutati nel loro complesso, anche senza una esplicita confutazione di altri elementi non menzionati, purche' risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati.

 B.2. Nel caso, il giudice tributario di appello - dopo avere evidenziato che il T. in tal grado ha esibito (1) "atto integrativo dd. 22 dicembre 1988", (2) "dichiarazioni" (a) "della pretesa venditrice" e (b) "del commercialista presente alla stipula del contratto" oltre che, "a riprova della simulazione del contratto quanto alla quietanza di pagamento del prezzo in esso contenuta", (3) "copia del movimenti dei conti correnti intestati sita ditta M. nonche' alla signora R.C.", (4) dichiarazione della stessa signora "attestante la non titolarita' di altri conti correnti bancari" e ("alla pubblica udienza dell'otto luglio 1998, ... su richiesta del Collegio") (5) "copia della cessione d'azienda de qua" - ha espressamente affermato di aver "esaminato la documentazione versata dall'appellante, riguardato il contratto di cessione e valutato nel suo complesso il comportamento processuale della parte".

 Il giudice a quo, quindi, non ha affatto omesso di valutare gli specifici elementi indicati dal contribuente (impossibilita' di un pagamento "in contanti" di L. 550.000.000; pretesa sua dichiarazione di "aver conseguito la disponibilita' finanziaria non con reddito da lavoro ma con vendita, di beni"; "controdichiarazione delle parti coeva al contratto"; dichiarazioni di terzi rispetto al rapporto d'imposta ("la madre e il commercialsta"); "copia estratti dei conto corrente bancario della madre") ma ha soltanto dato agli stessi elementi una valutazione diversa da quella desiderata dal ricorrente:

tale valutazione, pero', puo' essere censurata innanzi a questa Corte (che non e' giudice del merito) unicamente per vizio di illogicita' e/o di contraddittorieta', che, pero', non e' stato ne' prospettato ne' illustrato.

 C. Nessun obbligo, infine, aveva la Commissione Tributaria Regionale di disporre "idoneo accertamento" diretto a verificare, come assume il ricorrente, "se effettivamente la madre avesse incassato i 550 milioni, che avrebbero dovuto essere trasmessi, via banca, dal figlio e confluiti su libretti o conti correnti presso un istituto bancario" atteso che, a prescindere dalla rilevanza della circostanza, come reiteratamente affermato da questa sezione (sentenze 27 febbraio 2004 n. 4040, 28 ottobre 2003 n. 16161, 9 maggio 2003 n. 7129, 28 marzo 2003 n. 4713, 13 gennaio 2003 n. 282, 25 maggio 2002 n. 7678, 3 aprile 2002 n. 4776, ex pluribus), il giudice tributario, a fronte del mancato assolvimento dell'onere probatoria da parte del soggetto onerato, non e' tenuto ad acquisire d'ufficio le prove in forza dei poteri istruttori attribuitigli dall'art. 7 D.Lg.vo n. 546 del 1992 perche' tali poteri (1) sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell'onere probatorio principale e (2) vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parita' delle parti nel processo (art. 111, secondo comma, Cost., premesso al precedente primo comma dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, per cui "Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale") soltanto (Cass., trib., 4 maggio 2004 n. 8439 cit.) per sopperire all'impossibilita' di una parte di esibire documenti in possesso dell'altra parte.

 6. Con il quinto (ed ultimo) motivo il T. - assumendo (pg. 4 del ricorso per cassazione) di aver chiesto nell'atto di appello alla Commissione Tributaria Regionale (1) l'"audizione di R.C. e di P.S. e (2) di "richiedere intonazioni agli istituti di credito" - lamenta (ai sensi dell'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione dell'art. del D.Lg.vo n. 546 del 1992 nonche' "difetto di motivazione in ordine all'ammissione della prova" adducendo che la Commissione Tributaria d'appello "non ha motivato nel modo piu' assoluto il perche' non ha voluto accogliere le istanze probatorie istruttorie" e "non ha motivato correttamente in ordine alla valenza delle dichiarazioni giurate prodotte in causa".

 Secondo il ricorrente, dall'"inammissibilita' nel processo tributario delle prove testimoniali non discende la pari inutilizzabilita' di prove similari, assunte stragiudizialmente" per cui "le dichiarazioni dei terzi dovevano essere valutate come prove atipiche, come elementi indiziari";

 "la Commissione aveva il potere-dovere di procedere ex art. 7 D.Lgs. 546/92 all'assunzione diretta, non testimoniale, e di valutare indi le risultanze nella loro portata indiziaria, al fini decisionali" e, pertanto, "non avendolo fatto", "ha violato il diritto costituzionalmente garantito alla prova".

 Anche tale motivo va disatteso.

 A. Il ricorrente, invero, contravvenendo al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c., non ha indicato in tale atto, come necessario (Cass., I, 3 settembre 2004 n. 17907; id., III, 28 luglio 2004 n. 14227; id., III, 21 maggio 2004 n. 9711; id., III, 18 giugno 2003 n. 9712), le specifiche circostanze sulle quali la madre ed il professionista avrebbero dovuto essere "uditi" ne' quali fossero le informazioni da richiedere agli istituti di credito ne', ancora, quali fossero gli istituti di credito destinatari di tali informazioni per cui questa Corte non e' stata posta nelle condizioni di valutare la decisivita' (cfr., Cass., lav., 21 ottobre 2003 n. 15751) dell'acquisendo materiale (lato sensu) probatorio: nel caso, le indicate specificazioni si rendevano vieppiu' indispensabile per verificare se le "circostanze" e le "informazioni" che si intendeva acquisire erano diverse da quelle gia' contenute (direttamente od indirettamente) nelle rispettive dichiarazioni extraprocessuali delle predette due persone e nella "copia dei movimenti dei conti correnti", esibiti dal contribuente, essendo evidente la totale inutilita', da un lato, di far ribadire le dichiarazioni dette dai rispettivi autori e, dall'altro, della conferma dell'eventuale inesistenza in capo alla alienante di conti correnti diversi da quelli i cui estratti, conto erano stati esibiti, ovverosia di elementi fattuali gia' acquisiti al giudizio di appello.

 B. Il riscontro della effettiva valutazione, da parte della Commissione Tributaria Regionale, di tutti gli indizi offerti dal contribuente, infine, e' stato gia' compiuto innanzi (sub 5. B.) nell'esame del precedente motivo di ricorso.

 7. Le spese processuali del giudizio di legittimita' vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell'art. 92, secondo comma, c.p.c.

 P.Q.M.

 La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimita'.

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