Registro, il conto si serve alla fine.


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Registro, il conto si serve alla fine.
Autore: Giovambattista Palumbo - aggiornato il 11/01/2008
N° doc. 7462
11 01 2008 - Edizione delle 16:00  
 
Commissione tributaria provinciale di Firenze, sentenza n. 150/20/2007

Registro, il conto si serve alla fine

La tassazione deve tener conto del risultato complessivo raggiunto con i diversi atti collegati
 
La messa in atto di diverse operazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo, comporta, per espressa previsione dell’articolo 20 del Testo unico del registro, una sola qualificazione giuridica dell’operazione complessiva e la sottoposizione a imposta in base alla natura dell’effetto giuridico finale.
E’ quanto espresso dai giudici della Ctp di Firenze (sentenza, n. 150/20/2007, depositata lo scorso 5 novembre) che, chiamati in causa su una complessa vicenda di elusione di imposta di registro, hanno confermato la legittimità dell’avviso emesso per una maggiore imposta di oltre 5 milioni di euro.

Ciò che contestava l’ufficio era il fatto che la cessione del ramo di azienda fosse stata realizzata mediante un (preordinato) conferimento dello stesso.
Il ramo di azienda era stato infatti conferito a una società appartenente allo stesso gruppo della “contestuale” cessionaria delle azioni emesse in contropartita del conferimento.

A seguito del conferimento del ramo di azienda, la conferitaria aveva provveduto all’aumento del proprio capitale sociale, mediante l’emissione di 50mila nuove azioni ordinarie, con sovrapprezzo. I titoli, assegnati come corrispettivo del conferimento, erano stati, però, contestualmente ceduti dalla conferente a un altra società del gruppo della conferitaria (con sede in Cipro).

La cessione veniva, cioè, attuata attraverso la realizzazione di operazioni, tutte contestuali e tutte tra loro collegate:
  • sottoscrizione da parte della conferente di un aumento di capitale della conferitaria, mediante conferimento del ramo di azienda
  • emissione di azioni privilegiate della conferitaria
  • contestuale cessione, da parte della conferente, delle azioni della conferitaria ad altra società del gruppo, con sede in Cipro.

Data la sostanza degli eventi, la qualità dei soggetti, la scansione temporale delle operazioni e la loro descrizione nelle stesse delibere delle società intervenute, l’ufficio applicava l’articolo 20 del Tur, norma prevista proprio al fine di impedire operazioni del genere, poste in essere per camuffare da conferimento un vero e proprio atto di cessione di azienda.

Il contribuente,da parte sua, sosteneva invece che:

  • l’articolo 20 non poteva applicarsi al caso, in quanto relativo solo agli effetti giuridici delle operazioni e non a quelli sostanziali ed economici delle stesse
  • la norma antielusiva per eccellenza, l’articolo 37-bis, che, secondo il ricorrente si poteva in teoria applicare, sarebbe però stata violata, con conseguente nullità del recupero.

L’ufficio faceva presente che, per effettuare il recupero per cui era causa, non era stato utilizzato l’articolo 37-bis, ma, come detto, esclusivamente, l’articolo 20 del Tur.

Fugato ogni dubbio in merito a tale questione, restava solo da valutare se l’articolo 20 e le sue conseguenze”accertative”, come sosteneva il ricorrente:

  • dovessero comunque essere limitate dalla volontà negoziale delle parti come manifestata negli atti stessi, cioè da quanto avevano ivi dichiarato
  • non potessero tenere conto degli eventuali scopi ulteriori indirettamente perseguiti
  • non potessero tenere conto dei vari collegamenti negoziali, dato che il collegamento tra più atti distinti è irrilevante ai fini della determinazione dell’imposta di registro

oppure se, come invece sosteneva l’ufficio:

  • il prelievo dovesse attuarsi sulla base del fine pratico perseguito dai contraenti e l'indagine dovesse spingersi anche agli atti precedenti e successivi, sì da individuarne il fine pratico unitario
  • l’ufficio, nell’applicazione dell’imposta di registro, non soltanto poteva, ma doveva ricostruire la causa reale, risultante dal collegamento funzionale della pluralità di negozi posti in essere dai contraenti.

Secondo il contribuente, quindi, nel contestargli la “presunta” imposta di registro dovuta, non si sarebbero potuti tenere in considerazione i collegamenti negoziali e le operazioni nel loro complesso, né i loro effetti economici, dato che l’imposta di registro colpisce l’atto e non il trasferimento.

Ma una tale interpretazione mal si concilia in realtà con l’evoluzione giurisprudenziale della Cassazione (vedi sentenza n. 2713/2002), secondo cui l'interprete è vincolato, nella individuazione della struttura del rapporto tributario a esaltare il dato giuridico reale, indicativo della capacità contributiva. A questa interpretazione dell'articolo 20 del Dpr 131/1986, si giunge tenendo conto dell'evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria del Registro dal regime della tassa, avente come oggetto l'atto, a quello dell'imposta, che ha come oggetto una manifestazione di forza economica.
Esattamente il contrario, cioè, di quanto sosteneva il ricorrente.

A questo punto è opportuna qualche considerazione.
L'articolo 20, rubricato “Interpretazione degli atti”, dispone che "L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente".
L'esigenza è quella di pervenire al prelievo d'imposta in base al principio substance over form, e l'interpretazione del contratto deve mirare all'indagine sulla comune intenzione delle parti, da effettuarsi anche sulla base del loro comportamento complessivo, anche successivo alla conclusione del contratto, senza limitarsi al senso letterale delle parole.

Il prelievo, pertanto, deve attuarsi sulla base del fine pratico unitario perseguito dai contraenti, evidenziando il collegamento funzionale che viene a determinarsi quando i diversi e distinti negozi, pur conservando l'autonomia propria di ciascun tipo negoziale, vengano tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza.

La Suprema corte, con la sentenza 14900/2001, ha a tal proposito acutamente spiegato la funzione antielusiva dell'articolo 20 del Tur, osservando che "la funzione antielusiva…sottesa alla disposizione…emerge dunque con chiarezza, mentre l'insistito richiamo all'autonomia contrattuale ed alla rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi (e non anche di quelli economici, riferiti alla fattispecie globale), restando necessariamente circoscritto alla regolamentazione formale degli interessi delle parti, finirebbe per sovvertire gli enunciati criteri impositivi".

Peraltro, la forza di contrasto a fattispecie elusive quali quelle perseguite dalla norma in questione, trova oggi ancora più forza, in ragione del principio generale della mancanza di causa, per abuso del diritto, dei contratti posti in essere al fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali, espresso dalla Cassazione nelle sentenze 20398/2005 e 22932/2005.

L’ufficio, pertanto, nell’applicazione dell’imposta di registro, non soltanto può, ma deve ricostruire la causa reale, risultante dal collegamento funzionale della pluralità di negozi posti in essere dai contraenti: "per quel che riguarda l'ipotesi di frazionamento negoziale la pluralità degli atti che vengano compiuti per realizzare uno di quegli effetti che la legge sull'imposta di registro considera rilevante, non privo di rilevanza è il risultato di quell'unitas multiplex che è data dall'insieme dei negozi collegati strutturalmente, per identità dei soggetti e dell'oggetto, e funzionalmente per il contributo parziale e strumentale che ciascuno dei negozi, che pure si succedano nel tempo, dà alla formazione progressiva di un'unica fattispecie" (Cassazione, sentenza 2713/2002).

Si sottolinea, infine, che anche la più recente giurisprudenza di merito (oltre, naturalmente, a quella che ha già deciso proprio il caso in esame) ha naturalmente accolto tali fondamentali principi espressi dal giudice di legittimità.
La Ctp di Ravenna, sezione V, infatti, con la sentenza 632/2006, ha stabilito che nella pluralità di negozi posti in essere, si ravvisa "un unicum giuridico, strutturalmente e funzionalmente collegato al fine di produrre un effetto giuridico finale che deve essere inteso come fenomeno unitario …Tutta l'operazione viene eseguita con una celerità e precisione cronometrica …Quanto sopra esposto incide sulla valutazione soggettiva di tutta l'operazione da considerarsi un unicum in cui più soggetti…adottano un atto costitutivo di società ove conferiscono, nella stessa, gli stessi beni immobili e poi gli stessi cedono totalmente le quote della neocostituita società ad altri soggetti, sicché, sebbene i comportamenti delle due parti (danti causa ed aventi causa) realizzano effetti parziali che possono sembrare autonomi sotto il profilo civilistico, tuttavia, in realtà, gli atti posti in essere sono meramente strumentali rispetto all'effetto giuridico finale…" (in senso conforme vedi anche Ctp di Ravenna, sentenza 306/2006; Ctp di Forlì, sentenza 441/2006; Ctr di Bologna, sentenza 34/2007).

Del resto, lo scopo di camuffare le operazioni di cessione come operazioni di conferimento e di tassarle a tassa fissa, in luogo della tassazione prevista per la cessione d’azienda (imposta di registro proporzionale, più ipotecarie e catastali per l’immobile, imposta di registro proporzionale per il rimanente valore attribuito all’azienda) è pratica (elusiva) piuttosto comune.
Il solo modo per contrastare tali illecite operazioni è dunque valutarle nel loro complesso.
Ogni passaggio, infatti, è strettamente connesso al successivo e ne rappresenta la causa e il presupposto.

L’argomento è stato ulteriormente approfondito dalla Suprema corte con la sentenza 8098/2006. I giudici, richiamandosi a precedenti pronunce, hanno ribadito infatti che "l'accertamento dell'esistenza dell'elemento causale - definito come scopo economico sociale - deve essere effettuato sul negozio o sui negozi collegati, nel loro complesso, e non con riferimento ai singoli negozi o alle singole prestazioni. Pertanto, per verificare l'esistenza della giustificazione socio-economica del negozio occorre valutare le attribuzioni patrimoniali conseguite dai due negozi nella loro reciproca connessione. Nella specie, quindi, l'esistenza della causa dei contratti collegati deve essere ricercata nell'intera operazione e non in ciascuna attribuzione patrimoniale separatamente considerata".

Le tesi del contribuente, che sostiene invece che bisogna guardare a ogni singolo atto e che non si può tenere conto dei collegamenti negoziali, sono definitivamente superate.

Tornando al caso in esame e usando ancora le parole della Cassazione (ancora la sentenza 2713/2002) "l'interprete è allora vincolato, nella individuazione della struttura del rapporto tributario ad esaltare il dato giuridico reale, indicativo della capacità contributiva, individuando il comportamento sostanzialmente unitario tenuto dal contribuente anche se manifestato in distinti negozi che partecipino alla formazione progressiva di un'unica fattispecie, identificabile attraverso un determinato effetto giuridico finale".

Altro che registro come "imposta d’atto".

Da ultimo, infine, la Suprema corte, nella recente sentenza 10273/2007, ha ancora ribadito che, in caso di applicazione dell’articolo 20 citato, "il tema dell'indagine non consiste nell'accertare cosa le parti hanno scritto ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale adottato e tanto non discende assolutamente dal contenuto della dichiarazione delle parti".

La sola cosa che, perciò, il contribuente poteva cercare di fare per “smontare” la ricostruzione dell’ufficio e le relative conseguenze giuridiche, era dimostrare che il fine pratico, la causa reale, al di là del “sospetto” derivante dalla ricostruzione e dai collegamenti negoziali evidenziati dagli accertatori, fosse un altro o comunque non fosse quello evidenziato dall’ufficio e avesse una sua giustificazione economica.

La sola cosa che, invece, era stata opposta era che l’operazione fosse comunque giustificata dal fatto che, con la cessione delle partecipazioni anziché dell’azienda, si consentiva circoscrivere il fascio di responsabilità derivanti dalla passata gestione aziendale, dato che è noto che il soggetto che acquista un’azienda è responsabile delle passività inerenti la passata (ante cessione) gestione dell’azienda ceduta (articolo 2560 Cc).
In sostanza, però, con tale “giustificazione”, il contribuente, ben lungi dal fornire una valida ragione economica dell’operazione, confermava solo la dimestichezza elusiva dei soggetti coinvolti, che non si limitavano evidentemente a “forzare” solo la normativa fiscale, ma anche quella civilistica, fallimentare eccetera (in caso di corretta impostazione dell’operazione secondo la sua reale finalità di cessione di azienda, infatti, la società si sarebbe esposta con il suo intero patrimonio all’azione dei creditori dell’azienda).

Tale dimestichezza elusiva è stata riconosciuta, come detto, dalla Ctp di Firenze, la quale con la sentenza in commento, ha respinto il ricorso, affermando quanto segue:

  • le operazioni di cui al presente processo rientrano in un caso di conferimento elusivo
  • la stessa Corte di Cassazione in una recentissima sentenza n. 10273/2007, depositata il 04.05.2007, ha affermato che in caso di applicazione dell’articolo 20 citato il tema dell’indagine non consiste cosa le parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato
  • la messa in atto di diverse operazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo, comporta comunque, per espressa previsione normativa, una sola qualificazione giuridica dell’operazione complessiva e la sottoposizione ad imposta di registro in base alla natura dell’effetto giuridico (finale).

La medesima Commissione tributaria provinciale ha, dunque, anche confermato la sussistenza, nel caso di specie, "di quell’unitas multiplex che è data dall’insieme dei negozi collegati strutturalmente…", che legittima il potere di riqualificazione dell’Amministrazione finanziaria.

 
Giovambattista Palumbo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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