Riaperta l'offensiva contro dividend washing e dividend stripping - Circolare n. 39/E del 27 giugno 2007.


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Riaperta l'offensiva contro dividend washing e dividend stripping - Circolare n. 39/E del 27 giugno 2007.
Autore: Michele Andriola - aggiornato il 27/06/2007
N° doc. 3564
27 06 2007 - Edizione delle 15:00  
 
Circolare n. 39/E del 27 giugno 2007

Riaperta l'offensiva contro dividend washing e dividend stripping

Uffici invitati a proseguire il contenzioso dopo le ultime sentenza della Cassazione
 
In conformità a quanto argomentato nelle ultime sentenze della Cassazione, le operazioni di dividend washing e di dividend stripping debbono ritenersi nulle per mancanza assoluta della causa dei contratti di acquisto e rivendita di azioni (o del contratto di costituzione o cessione del diritto di usufrutto). Il contenzioso in corso va, perciò, utilmente proseguito. E', in estrema sintesi, il contenuto della circolare n. 39/E del 27 giugno 2007, documento con il quale l'Agenzia delle entrate cambia il precedente indirizzo dato agli uffici (circolare n. 87/E del 2002), ai quali era stato consentito abbandonare le liti in corso in materia di dividend washing.

Le pronunce della Suprema corte nn. 20398, 20816 e 22932 del 2005 hanno riacceso il dibattito sulla natura elusiva delle operazioni di dividend washing e di dividend stripping in voga nei primi anni '90 dello scorso secolo, prima che il legislatore corresse ai ripari, introducendo il comma 6-bis nel corpus dell'articolo 14 del vecchio Tuir e modificando l'allora vigente disposizione anti-abuso di cui all'articolo 10 della legge n. 408 del 1990.
Il giochetto che si celava dietro le predette operazioni era concettualmente semplice, essendo finalizzato alla monetizzazione del credito d'imposta sui dividendi, in modo tale da vanificare completamente la tassazione in Italia dei redditi d'impresa prodotti dalle società residenti.

Affinché si realizzasse il risparmio d'imposta occorrevano, però, due fondamentali condizioni:
  1. la prima era che il soggetto titolare delle partecipazioni di cui fosse stata deliberata la distribuzione dei dividendi non avesse il diritto (perché non residente o perché usufruente di regimi tributari speciali, ad esempio perché fondo comune di investimento o Sicav) di utilizzare il credito d'imposta sui dividendi
  2. la seconda era che le plusvalenze realizzate dalla cessione delle partecipazioni o i proventi rivenienti dalla cessione dell'usufrutto su azioni non fossero tassabili(1).

A seguito dell'abrogazione dell'Irpeg, il giochetto continua; l'unica cosa che è cambiata è che non c'è più il credito d'imposta sui dividendi, ma il cessionario, beneficiando contestualmente dell'esclusione da imposizione del 95 per cento dell'ammontare dei dividendi percepiti e della completa deduzione dei costi d'investimento sopportati, ottiene ugualmente l'effetto di vanificare la tassazione in Italia dei redditi d'impresa prodotti dalle società residenti.

Anche oggi, il legislatore è corso ai ripari introducendo nell'articolo 109 del Tuir i commi 3-bis e seguenti e l'ottavo comma; ma ciò comporta che i contribuenti, anziché fare ricorso a operazioni che generino minusvalenze su partecipazioni o costi da usufrutto fiscalmente indeducibili, faranno ricorso a operazioni - aventi la medesima sostanza economica - ma che formalmente generino costi di diversa natura fiscalmente deducibili, quali, ad esempio, costi relativi a un derivato su partecipazioni del tipo dell'equity swap.
Ma qui i contribuenti si troveranno a dover fare i conti o con interpretazioni logico-sistematiche dei citati commi 3-bis e 8 dell'articolo 109 del Tuir o direttamente con la disposizione anti-abuso di cui all'articolo 37-bis del Dpr n. 600 del 1973.

A ogni buon conto, ritornando al passato, a seguito di una campagna di contrasto attuata dagli organi inquirenti, civili e militari, dell'Amministrazione finanziaria e avviata dal Secit con delibera n. 49 del 1993, le predette operazioni erano finite dinanzi al giudice tributario.
Di volta in volta, veniva invocata ai fini di contrasto, l'applicazione dell'articolo 6, secondo comma, del previgente Tuir, dell'articolo 37, terzo comma, del Dpr n. 600 del 1973, in materia di interposizione fittizia, la frode alla legge ai sensi dell'articolo 1344 del Codice civile o la fittizietà dell'operazione.
La questione era arrivata all'esame del Supremo collegio, il cui orientamento sembrava essersi consolidato, con le sentenze nn. 3979 del 2000 e 3345 del 2002, nel senso della piena liceità delle operazioni di dividend washing poste in essere prima del predetto intervento normativo e prima delle modifiche apportate alla disposizione anti-abuso, di cui all'articolo 10 della legge n. 408 del 1990.

Preso atto di tale stato di cose, l'Agenzia delle entrate, con circolare n. 87/E del 2002, aveva consentito agli uffici periferici di abbandonare - sulla base di una valutazione caso per caso - le liti in corso in materia di dividend washing, tranne nell'ipotesi in cui fosse conclamata la natura fittizia dell'operazione. Mentre, per quanto riguarda le operazioni di dividend stripping, veniva disposta la prosecuzione dei giudizi.
Ebbene, a seguito del revirement operato dalla Cassazione con le menzionate sentenze, la circolare n. 39/E ritorna sulla questione, facendo proprie le conclusioni cui è giunto la stessa Corte in materia di nullità dei negozi giuridici per difetto di causa, in modo da dare un indirizzo univoco agli uffici periferici nella gestione del contenzioso in corso.
Tuttavia, è comunque fatto presente che - considerato il contrasto di giurisprudenza venutosi a creare - la questione è stata rimessa alle Sezioni unite della Cassazione, con ordinanza n. 12301 del 2006.

A ogni buon conto, gli uffici periferici, in conformità a quanto desumibile dalle sentenze n. 20398 e 22932 del 2005, dovranno ritenere "che le operazioni di dividend washing e di dividend stripping siano nulle per mancanza assoluta della causa dei contratti di acquisto e rivendita di azioni [è il caso del dividend washing] (o del contratto di costituzione o cessione del diritto di usufrutto) [è il caso del dividend stripping] e che il contenzioso in corso vada utilmente proseguito, sul presupposto che i contratti con i quali sono state poste in essere le operazioni in argomento sono invalidi ai sensi degli artt. 1418, secondo comma, e 1325, n. 2), del codice civile".

Circa poi la delicata questione procedurale della rilevazione della nullità, è stato acquisito il parere dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha rilevato che la predetta nullità può anche essere rilevata d'ufficio, "poiché il limite alla possibilità di rilevare d'ufficio la nullità dei contratti (di tipo diverso dalla causa di invalidità originariamente fatta valere in giudizio) opera, ai sensi dell'art. 1421 del codice civile, solo nei riguardi della parte che agisca allo scopo di ottenere la declaratoria della nullità del contratto; non opera, invece, nei riguardi della parte che, come l'Amministrazione finanziaria, si opponga alle richieste che il contribuente intende basare (non sulla nullità, ma al contrario) sulla validità del contratto stesso".

NOTE
1. Si consideri il caso di un soggetto non residente che cede le partecipazioni a un soggetto residente al valore di 1.100, realizzando una plusvalenza esente per 100; il residente incassa i dividendi pari a 63, più un credito d'imposta sui dividendi di 37 e retrocede le partecipazioni al valore di 1.000, sopportando una minusvalenza pari a 100 (1.100 di costo d'acquisto meno 1.000 di prezzo di rivendita).
Risultato finale: il cedente ha realizzato una plusvalenza esente pari a 100 e il cessionario ha chiuso in pareggio (63+37-100), ma ha potuto monetizzare il credito d'imposta sui dividendi, in base alla vecchia regola secondo cui il credito d'imposta sui dividendi "si sommava all'imponibile e si sottraeva dall'imposta".

 
Michele Andriola
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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