Scissione elusiva per difetto di strategia aziendale - Parere n. 13 deliberato il 22 marzo 2007.


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Scissione elusiva per difetto di strategia aziendale - Parere n. 13 deliberato il 22 marzo 2007.
Autore: Antonina Giordano - aggiornato il 19/06/2007
N° doc. 3517
19 06 2007 - Edizione delle 14:30  
 
Parere n. 13 deliberato il 22 marzo 2007

Scissione elusiva per difetto di strategia aziendale

Manca una valida giustificazione alla prospettata operazione di riorganizzazione
 
Un’operazione di scissione totale proporzionale è elusiva se destinata a surrogare lo scioglimento dal vincolo societario e la divisione tra i soci del patrimonio immobiliare, ossia un’operazione negoziale più congruente sul piano giuridico rispetto alle finalità concretamente perseguite ma fiscalmente più onerosa.

Il parere in commento, reso dal Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive il 22 marzo scorso, dichiara elusiva un’operazione di scissione totale proporzionale per difetto di una strategia aziendale giustificativa della scelta riorganizzativa che il contribuente intenderebbe porre in essere.
Il provvedimento offre, nel contempo, lo spunto per rimarcare la necessità che l’onere descrittivo venga adeguatamente assolto e supportato da una documentazione che metta in luce sia la diacronica dei passaggi attraverso i quali si svilupperà la ridefinizione imprenditoriale voluta, sia la presenza oggettivamente apprezzabile delle condizioni alle quali il legislatore antielusivo, con l’articolo 37-bis del Dpr n. 600/1973, subordina la liceità fiscale dell’operazione.

A norma del citato articolo, comma 1, infatti, sono "inopponibili all’Amministrazione Finanziaria gli atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni d’imposta o rimborsi altrimenti indebiti".
In coerenza con la detta previsione, il legislatore, nel successivo comma 2, ha previsto che "l’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 9, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all’amministrazione".
Le operazioni di natura “sospetta” continuano a essere quelle indicate nel comma 3 dell’articolo 37-bis citato. Tra le operazioni qualificabili come elusive figurano quelle di scissione qualora in esse siano riscontrabili, nella fisicità e nella volontà realizzative, i requisiti astrattamente indicati dalla norma generale come fattori dissolutivi della fisiologica neutralità fiscale, ravvisabili nel momento in cui sia presumibile un utilizzo strumentale del negozio.

Come si è avuto modo più volte di precisare, la scissione, al pari di altre operazioni aziendali che attribuiscono al contribuente l’opportunità di fruire di un risparmio d’imposta non sono fisiologicamente elusive ma sono qualificabili come tale solo quando - nella rilettura critica effettuata dall’autorità preposta al controllo (Agenzia-Comitato) - i singoli atti sembrano funzionalmente preordinati a conseguire un risultato economico fiscalmente riconosciuto come indebito, perché non sostenuto, plausibilmente e nel momento stesso in cui l’operazione viene posta in essere, dal requisito qualificante delle valide ragioni economiche, ossia da una apprezzabile e oggettiva convenienza delle motivazioni che ispirano la scelta.
Il potenziale elusivo, dunque, riposa tutto nella compresenza, consacrata dal nesso di causalità tra valide (qualificazione di per sé non commensurabile se non con un metro estremamente discrezionale) ragioni economiche e risparmio d’imposta ritenuto legittimo dall’ordinamento tributario.

Queste le considerazioni sulle quali si fonda l’indagine e che precedono la valutazione compiuta dal Comitato.
In altre parole, la scissione esce fuori dall’alveo della neutralità, che ne caratterizza la natura, e assurge a operazione elusiva solo se il disegno organizzativo, nella più o meno articolata complessità attuativa, venga strumentalmente utilizzato per perseguire, anche in tempi prospettici, obiettivi ritenuti fiscalmente illeciti.
In tal senso, l’Agenzia delle Entrate ha sempre stigmatizzato questa possibilità di utilizzo distorto dello schema negoziale isolando taluni parametri che, sia pure su semplice base indiziaria, possano far risalire a una volontà recettiva di elusione delle preclusioni normative per ottenere riduzioni d’imposta o rimborsi non previsti.

Il caso proposto è significativo. Propone l’interpello una Srl - operativa nel settore immobiliare - che chiede un parere preventivo su un’operazione di scissione totale proporzionale esponendo quanto segue.
La società – a compagine famigliare (due soci, fratelli germani, detengono ciascuno il 50 per cento della nuda proprietà delle quote sociali, mentre l’usufrutto è interamente detenuto dal genitore di un terzo socio) – è di puro godimento e possiede immobili assoggettati, ai sensi del Dlgs n. 42/2004, al diritto di prelazione, a favore del ministero dei Beni culturali, della Regione o di altro ente pubblico, all’acquisto degli immobili in caso di alienazione. Al fine di scongiurare possibili divergenze future tra i soci (motivate dal contenuto diverso delle attività svolte dai medesimi: uno è un medico che "intende godere degli immobili esclusivamente dal punto di vista reddituale", mentre l’altro è un imprenditore che svolge attività di erboristeria, in un immobile concesso in locazione dalla medesima società istante di cui è socio) ed evitare l’esercizio del diritto di prelazione (l’istante dichiara che tale aspetto ha un peso preponderante nella scelta dal momento che i soci vogliono mantenere la proprietà dei beni e non hanno intenzione di vendere né gli immobili né le quote della società), la società vorrebbe porre in essere una scissione proporzionale in conseguenza della quale l’attuale amministratore resterebbe usufruttuario a vita della totalità delle quote delle due beneficiarie. Successivamente alla scissione, ciascuno degli altri due soci conserverebbe il 50 per cento della nuda proprietà delle quote in ciascuna società e non procederebbe alla cessione delle quote di spettanza.

Come detto in abbrivio, il Comitato consultivo afferma che dagli elementi addotti non emerge alcuna strategia aziendale che possa giustificare la realizzazione della scissione. Pertanto, a lume dell’orientamento consolidato (ex multis, i pareri n. 18 e n. 31 del 2006) che disconosce la non elusività delle riorganizzazioni motivate da esigenze dei soci piuttosto che della società, l’interpello viene rigettato nel merito dal Comitato, non mancando di evidenziarne l’inammissibilità per mancato riscontro alle richieste formulate in prima istanza dall’Agenzia delle entrate. Questa, infatti, evidenziando il dovere probatorio, imposto dalla normativa regolamentare a carico degli interpellanti nell’ottica di consentire all’amministrazione finanziaria di disporre degli elementi necessari per effettuare una completa valutazione dei dati rilevanti ai fini della applicazione della normativa di riferimento, aveva chiesto al contribuente di fornire:
  • i bilanci relativi ai tre esercizi precedenti a quello in cui avviene la scissione nonché un prospetto di raccordo che consenta di riconciliare i dati dell’ultimo bilancio della stessa con quelli esistenti alla data di effettuazione
  • la relazione dell’organo amministrativo della società interessata dalla scissione che illustri e giustifichi, sotto i profili giuridico ed economico, il progetto di scissione, indicando altresì il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle società beneficiarie
  • la relazione esplicativa delle effettive ragioni economiche sottostanti nonché della più consona strategia operativa da attuare, dal momento che dall’analisi della documentazione emerge una incoerenza tra i motivi economici addotti e la scelta della correlata operazione di scissione totale proporzionale
  • copia delle ultime due dichiarazioni dei redditi.

Tale documentazione avrebbe contribuito a dirimere le perplessità sulla possibile ricaduta elusiva del progetto, che appare difficilmente condivisibile in un’ottica di restyling imprenditoriale.
A tale conclusione conducono un insieme di considerazioni che il Comitato enumera argomentando l’opportunità dell’allegazione.
Premettendo che l’operazione di scissione può essere valutata come rispondente a finalità e strategie imprenditoriali se soddisfa l’interesse della società e non dei singoli soci (gli elementi di valutazione addotti inducono a ritenere che l’operazione in questione è obiettivamente finalizzata a soddisfare un’esigenza di scioglimento della compagine societaria, con assegnazione, seppure indiretta e (asseritamente) pro-indiviso, di porzioni del patrimonio immobiliare a favore dei soci uscenti), il Comitato ravvisa che la movimentazione dei soci e dei cespiti non trova alcuna giustificazione tangibilmente apprezzabile. L’assunto non è aprioristico ma trova la propria evidenza nei bilanci della società scindenda, dai quali non è desumibile l’esistenza di una struttura aziendale (assenza di dipendenti, collaboratori, fornitori, uffici, eccetera). Tale dato alimenta il sospetto che il ruolo della società sia quello di un mero contenitore, sia di immobili (in prevalenza utilizzati dai soci), che di partecipazioni (in una società estera, a sua volta contenitore di immobili).

I motivi economici espressi manieristicamente stridono, inoltre, con la scelta che si vorrebbe realizzare dal momento che, come acutamente espresso nel parere, se effettivamente dopo la scissione ciascun socio conserva il 50 per cento della nuda proprietà delle quote in ciascuna beneficiaria, l’obiettivo di evitare possibili disaccordi non parrebbe raggiunto.
Eventuali divergenze sulla gestione sociale si potrebbero ipoteticamente realizzare solo al termine dell’usufrutto con il riacquisto della piena proprietà in capo ai soci. La circostanza, infatti, che, successivamente alla scissione ciascuno dei due soci conserverebbe il 50 per cento della nuda proprietà delle quote in ciascuna società sottende un’assenza di mutamento della compagine sociale per cui , benché l’istante dichiari che l’usufruttuario nominerebbe successivamente alla scissione un amministratore per ciascuna società, l’obiettivo di porre in essere l’operazione per evitare possibili divergenze societarie sembrerebbe risibile.

Così facendo, i soci, in realtà, realizzerebbero la liquidazione della Srl, conseguendo tramite le due società beneficiarie la piena disponibilità della porzione di immobili spettante a ciascun socio. In tale scenario si potrebbe intravedere una indiretta assegnazione di beni ai soci con l’indebito vantaggio fiscale di rinviare la tassazione sulle plusvalenze che, viceversa, sarebbero emerse con l’estromissione diretta dei beni dall’impresa.
Alle lacunosità e incongruenze rilevate va aggiunta, infine, la evidente inconferenza dell’evocata opzione necessitata (in favore della scissione), motivata dalla esistenza del vincolo di interesse artistico gravante su taluni cespiti appartenenti all’istante, dal momento che nella nozione di alienazione certamente non rientrano gli atti aventi natura dichiarativa nonché l’assegnazione ai soci in sede di liquidazione di società.

Le criticità emerse conducono a sostenere che, a differenza che in altre fattispecie portate all’attenzione del Comitato, in questa in rassegna non sono ravvisabili i tratti di un’operazione di riorganizzazione imprenditoriale e aziendale, rispetto alla quale i “movimenti” di soci e di cespiti patrimoniali si pongano in termini obiettivamente strumentali, come in un rapporto tra fine e mezzi (che risulterebbe escluso anche da altri dati rilevanti quali: la ristrettissima base familiare della compagine societaria protagonista della scissione, l’estinzione della società istante a seguito della scissione, la mancanza di prospettive di ingresso di nuovi capitali e/o soci nelle società beneficiarie, la tendenza a una diretta utilizzazione delle unità immobiliari da parte dei soci) per cui la scissione prospettata è elusiva.
Essa, infatti, è priva di valide ragioni economiche e rivolta all’aggiramento di norme tributarie con indebito risparmio d’imposta essendo destinata a surrogare, come detto, lo scioglimento dal vincolo societario e la divisione tra i soci del patrimonio immobiliare e, quindi, un’operazione negoziale che, più congruente sul piano giuridico rispetto alle finalità concretamente perseguite, risulterebbe, tuttavia, fiscalmente più onerosa, facendo emergere basi imponibili.

 
Antonina Giordano
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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