La falsità dei documenti comporta il recupero dei costi, non risultanti, oltretutto, da una contabilità tenuta in regola o da elementi certi e precisi
SINTESI: Va accolto il ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate circa l'inesistenza - e conseguentemente la non inerenza e deducibilità - dei costi asseritamene sopportati dalla contribuente, in presenza di scritture contabili e di fatture inaffidabili. I costi, per concorrere (negativamente) a formare il reddito d'impresa, non solo debbono essere certi nell'esistenza, ma il loro ammontare deve anche essere "determinabile in modo obiettivo" (art. 75, comma 1, TUIR); e sono ammessi in deduzione soltanto se e nella misura in cui risultano imputati al conto dei profitti e delle perdite; ovvero anche "se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi" che il contribuente ha l'onere di provare (art. 75, comma 4, TUIR; cfr. Cass. n. 9917/2008, n. 13220/2007, n. 10090/2002). Nel caso di specie l'inaffidabilità delle fatture e delle relative registrazioni - che non possono dirsi affette da mera "irregolarità", trattandosi di documenti falsi, perché emessi da chi non era venditore - comporta l'indeducibilità del costo, siccome non risultante da scritture contabili regolari né da elementi certi e precisi.
pubblicato il 17/12/2009
pubblicato il 17/12/2009