Sentenza n. 19209 del 6 settembre 2006 - Accertamento induttivo senza obbligo di applicare gli studi di settore.


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Sentenza n. 19209 del 6 settembre 2006 - Accertamento induttivo senza obbligo di applicare gli studi di settore.
Autore: Domenico Pignotti e Carmine Tozza - aggiornato il 18/12/2006
N° doc. 1775
18 12 2006 - Edizione delle 13:00  
 
Sentenza n. 19209 del 6 settembre 2006

Accertamento induttivo senza obbligo di applicare gli studi di settore

Il riferimento agli stessi costituisce un parametro di calcolo possibile ma non cogente per la redditività dell’impresa
 
E’ legittimo l’accertamento induttivo eseguito a carico di un contribuente, reo di aver commesso gravi irregolarità contabili, e condotto tramite l’utilizzo di percentuali di redditività desunte dall’anno di imposta successivo a quello accertato.
Questo è il principio enunciato dalla Cassazione, con la sentenza n. 19209 del 6 settembre 2006, con cui la Suprema corte ha, inoltre, sancito che il riferimento agli studi di settore costituisce un parametro di calcolo possibile ma non cogente per la redditività dell’impresa.

Lo svolgimento del processo
La decisione in questione verteva su un accertamento induttivo, basato su un verbale della Guardia di finanza per l’anno di imposta 1991 nei confronti di una Snc; la ricostruzione era motivata dalla circostanza che in contabilità erano annotati costi inesistenti, tratti da fatture non registrate nella contabilità delle aziende emittenti.
Sia in primo che in secondo grado veniva sancita la legittimità dell’accertamento induttivo, ex articolo 39 del Dpr n. 600/73, essendo confermato l’utilizzo di fatture false da parte del contribuente e ritenuta idonea l’applicazione della percentuale di redditività dell’anno 1992, per il quale non erano sorte contestazioni.

Contro codesta decisione proponeva ricorso in Cassazione un socio della Snc, destinatario di avviso di accertamento per imposte sui redditi per l’anno 1991. Il motivo addotto dal ricorrente in sede di impugnazione si basava sull’assunto che la ritenuta inattendibilità della contabilità non poteva essere verificata dal giudice, il quale non avrebbe mai visionato il processo verbale della Guardia di finanza, con conseguente vizio di motivazione; al contempo, l’appellante riteneva non motivata la mancata applicazione degli studi di settore nei suoi confronti.

La decisione
La Suprema corte ha rigettato il ricorso, ritenendo innanzitutto provata la circostanza che i giudici di merito avessero la disponibilità del materiale probatorio sufficiente per poter giudicare sulla controversia, indipendentemente dalla allegazione del processo verbale.
Inoltre, la decisione della Corte confermava che l’inattendibilità della contabilità era stata sufficientemente dimostrata, tramite l’esame delle posizioni delle aziende che avevano prodotto le false fatturazioni, poi utilizzate dalla Snc in questione, al fine di abbattere fittiziamente il proprio imponibile.

Pertanto, risultava legittimo il ricorso all’accertamento induttivo ex articolo 39, comma 2, lettera d), del Dpr n. 600/1973, il quale consente all’ufficio di rideterminare il reddito di impresa in base agli elementi e ai dati a sua disposizione, prescindendo in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili avvalendosi anche di presunzioni semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, quando “le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate…ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica(1)”.

La sentenza in oggetto, nel motivare la legittimità del ricorso all’accertamento induttivo, ha fatto espresso richiamo a una precedente pronuncia della Cassazione (sentenza n. 11680 del 5/8/2002), con la quale veniva sancito che, in presenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili, era legittimo il ricorso all’accertamento induttivo; nel caso in questione, tuttavia, la rideterminazione del reddito veniva effettuata utilizzando percentuali di ricarico desunte dalla media del settore sulle merci acquistate e non fatturate, essendo in tal modo assolto l’onere della prova posto a carico dell’ufficio finanziario.

Contemporaneamente, è stato ritenuto congruo l’utilizzo della percentuale di redditività conforme a quella dell’anno successivo, in quanto il riferimento agli studi di settore è da ritenersi “soltanto un possibile, ma non cogente, parametro di calcolo di tale redditività, fondato sulla estrapolazione statistica di dati, su cui prevale, quale elemento idoneo a fondare la presunzione di reddito, il diverso risultato che può emergere dall’andamento economico della specifica impresa interessata”.
Nella sostanza, la sentenza fa emergere come, nel procedimento di rideterminazione del reddito conseguente a un accertamento induttivo, l’ufficio potrà far prevalere agli studi di settore gli elementi specifici dell’impresa, di cui sia venuto a conoscenza nel corso delle indagini, non sussistendo alcun obbligo, ma solo la facoltà, di far ricorso ai primi quale parametro di calcolo della redditività.

In senso analogo e conforme si era precedentemente espressa l’Agenzia delle entrate con la circolare n. 58 del 2002, in cui veniva sostanzialmente affermato che, pur ribadendo l’attendibilità delle procedure di elaborazione degli studi di settore, non era preclusa all’Amministrazione finanziaria la possibilità di svolgere l’azione di accertamento con le ordinarie procedure, e di pervenire a risultati diversi da quelli degli studi stessi, anche nei confronti dei contribuenti che risultassero congrui e coerenti.

In tali fattispecie, specifica la medesima circolare, “per evitare che i risultati derivanti dall’applicazione degli studi di settore possano essere validamente opposti dai contribuenti, è necessario, però, che la determinazione dei maggiori ricavi o compensi si fondi su obiettivi elementi e su una convincente ricostruzione logica ed argomentata dei ricavi o dei compensi stessi che tenga conto delle peculiarità della posizione soggettiva sottoposta a controllo. Ovviamente, in presenza della prova certa di ricavi omessi, non assumerà alcun rilievo la circostanza che il contribuente sia congruo e coerente rispetto agli studi di settore”.

NOTE
1. Le scritture ausiliarie di magazzino non si considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici, imputati nelle schede di lavorazione, ai sensi della lettera d) del primo comma dell'articolo 14 dello stesso Dpr n. 600/1973.

 
Domenico Pignotti e Carmine Tozza
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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