Sottoscrizione dell'avviso di accertamento. Al funzionario una 'delega di firma'.


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Sottoscrizione dell'avviso di accertamento. Al funzionario una 'delega di firma'.
Autore: Daniele D'Angelo - aggiornato il 26/02/2007
N° doc. 2244
 
23 02 2007 - Edizione delle 14:30  
 
Attività degli uffici e diritto amministrativo

Sottoscrizione dell'avviso di accertamento
Al funzionario una "delega di firma"

Questa la conclusione cui si giunge al termine della disamina tanto della normativa quanto delle diverse posizioni in materia assunte da dottrina e giurisprudenza
 
Sul fenomeno della delega a sottoscrivere l'avviso di accertamento, concessa da parte del capo dell'ufficio a un funzionario, si sono fronteggiate, sia in dottrina che in giurisprudenza, diverse tesi e opinioni. Indubbiamente, la corretta qualificazione dell'istituto porta a diverse conclusioni riguardo al regime giuridico da applicare, sia dal punto di vista sostanziale che processuale.
Il primo comma dell'articolo 42 del Dpr 600/1973, nel disciplinare gli aspetti formali e sostanziali del provvedimento amministrativo di accertamento, statuisce che "gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d'ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato". L'ultimo comma della stessa disposizione espressamente prevede che "l'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni e la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all'ultimo periodo del secondo comma".

Le posizioni in dottrina e giurisprudenza
Nella giurisprudenza di merito spiccano le pronunce della Commissione tributaria centrale che, chiamata a pronunciarsi sui requisiti del provvedimento di accertamento, e in particolare su quello della sottoscrizione, ha affermato che "non può escludersi la piena validità dell'atto, completo in ogni sua parte, compresa la sottoscrizione che ne esprime all'esterno la volontà, mentre resta preclusa ogni indagine sull'organizzazione interna dell'ufficio in ordine alle deleghe"(1). Dunque, la delega del capo dell'ufficio non sarebbe sindacabile innanzi l'autorità giurisdizionale, in quanto costituirebbe una disposizione meramente organizzativa, riconducibile alla categoria degli atti definiti interna corporis dell'Amministrazione, non sindacabili in sede di legittimità.

A tale conclusione si perviene partendo dal principio di tassatività delle nullità. Secondo la dizione letterale della disposizione di cui all'articolo 42 del Dpr 600/73, si ha nullità dell'atto solo se l'avviso di accertamento non reca la sottoscrizione. Ciò vuol dire che se c'è una sottoscrizione, il problema della delega non sarebbe sindacabile in giudizio, ma sarebbe, al massimo, riconducibile a quel genus di difformità che comporta la sola conseguenza dell'irregolarità dell'atto. In dottrina vi è chi ha sostenuto che "nessun controllo è possibile sulla delega, che è normalmente verbale, perciò l'unico requisito dell'impiegato delegato è la sua appartenenza alla carriera direttiva"(2).

Diversa è la posizione della giurisprudenza di legittimità, nella quale si riscontra la tesi secondo cui "l'accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Su tale premessa, se la sottoscrizione non è quella del capo dell'ufficio...è espressamente chiesta la delega a sottoscrivere...onde, in caso di contestazione, incombe all'Amministrazione dimostrare l'esercizio del potere sostitutivo o la presenza della delega"(3). La Suprema corte precisa che: "l'esistenza e la validità della delega possono essere contestate e verificate in sede giurisdizionale, implicando l'indagine e l'accertamento sul tema un controllo, non già sull'organizzazione interna della Pubblica Amministrazione ma sulla legittimità dell'esercizio della funzione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione" (sentenza n. 14195 del 27/10/2000).

Insomma, la sottoscrizione da parte di un funzionario appartenente alla carriera direttiva, ma non munito di delega, sarebbe da considerarsi come non apposta e, dunque, il relativo atto sarebbe nullo. Pertanto, è pacificamente ammesso che il contribuente possa contestare in sede giurisdizionale la sussistenza o meno della delega, così che poi sarà onus probandi della PA dimostrare in giudizio l'esistenza della stessa.

La terza posizione, facente capo alla dottrina, invece, è la più rigorosa nel ritenere che l'accertamento sia da considerarsi nullo qualora non sussista la delega del dirigente tanto che "il contribuente non è tenuto a fare atto di fiducia nei confronti dell'ufficio e fidarsi dell'esistenza della delega ma ha diritto di sapere, all'atto del ricevimento dell'avviso di accertamento, che esiste una delega, senza essere costretto a presentare un ricorso giurisdizionale per verificare la conformità all'art. 42 del D.P.R. 600/73"(4).
Recentemente, tale posizione, più penalizzante per l'Amministrazione finanziaria, è stata ripresa, in giurisprudenza, dalla Ctp di Enna (sentenza n. 41 del 23/3/2006), mentre in dottrina vi è chi ha ribadito la tesi parlando addirittura di inesistenza dell'avviso di accertamento sottoscritto dal funzionario non delegato: "la firma è mezzo essenziale per risalire al soggetto legittimato, tant'è che la sottoscrizione da parte di soggetti non legittimati rende inefficace l'atto stesso con la conseguenza patologica dell'inesistenza dell'atto"(5).

E', perciò, obbligo della PA, in attuazione del principio di leale collaborazione con il contribuente, imposto dalla legge 212/2000, addirittura di allegare all'avviso di accertamento la delega conferita al funzionario abilitato a sottoscrivere l'atto. La conclusione è che la delega in questione deve essere conferita per affari determinati e per un limitato periodo di tempo, poiché si tratterebbe di delega di funzioni.

Delega di firma o di funzioni? Verso un tentativo di ricostruzione sistematica dell'istituto
Il vero punto dolente appare, allora, la qualificazione della fattispecie prevista dall'articolo 42 del Dpr 600/73, come delega di firma o di funzioni.
Nell'ambito del diritto amministrativo, la delega viene definita come "l'atto dispositivo di un soggetto o dell'organo di un soggetto mediante il quale quest'ultimo, fondandosi sulla propria competenza a provvedere in ordine a un determinato oggetto, attribuisce ad altro soggetto o organo i poteri e le facoltà che reputa necessari affinché quest'ultimo possa provvedere in modo altrettanto legittimo in ordine all'oggetto stesso, entro i limiti e secondo i criteri stabiliti nell'atto di delegazione"(6). Insomma, l'istituto della delega di funzioni amministrative attiene precipuamente ai rapporti tra diversi soggetti pubblici o tra diversi organi dello stesso soggetto.

Tale ricostruzione costituisce ormai jus receptum negli studi in materia di organizzazione amministrativa e, peraltro, della giurisprudenza, dove si legge che "la delegazione è un rapporto giuridico caratterizzato da ciò che una figura soggettiva (ente o organo delegante) titolare di un determinato potere o complesso di poteri finalizzati alla cura di determinati interessi pubblici (funzione), attribuisce ad altra figura soggettiva (delegato) con proprio atto (atto di delegazione o più semplicemente delega) l'esercizio del potere stesso, definendone la durata, le modalità, gli obiettivi"(7).
Così come in dottrina, dove vi è chi sostiene che con la delegazione un ufficio, che è legittimato a provvedere in ordine a specifici interessi attribuiti alla sua cura, incarica un altro di compiere una determinata attività preordinata al medesimo fine: in questo modo, il secondo acquisisce poteri e facoltà che, in base all'ordinamento generale, spetterebbero in via esclusiva al primo.

Si è soliti distinguere, pertanto, due tipi di delegazione: quella intersoggettiva, che interviene tra enti diversi, e quella interorganica, che riguarda organi differenti dello stesso ente. Anzi, vi è chi sostiene che il potere di delega rientri nel normale rapporto di gerarchia tra organi dello stesso ente, nel senso che la delega interorganica è l'istituto che consente al superiore gerarchico di investire dell'esercizio delle sue competenze il titolare dell'organo inferiore. Ovviamente, per il principio della riserva di legge, previsto dal secondo comma dell'articolo 97 della Costituzione, la possibilità della delega deve necessariamente essere prevista dalla legge. Caratteri della delega di poteri sono la sua temporaneità, la tassatività e la forma scritta.

Completamente al di fuori del fenomeno della delega di poteri troviamo figure ibride ma che, ad una attenta analisi, con questa non hanno nulla a che vedere. E', appunto, il caso della delega di firma, che comporta semplicemente l'autorizzazione, concessa da una persona fisica a un'altra, di apporre soltanto la firma in calce a un provvedimento che, comunque, rimane proprio del delegante.
La definizione di delega di firma e la sua distinzione con il fenomeno della delega di funzione si ritrova sovente, sia nella dottrina che nella giurisprudenza che, dunque, non mostrano alcuna incertezza in tal senso.

In numerosissime pronunce dei giudici amministrativi si legge che "a differenza della delega di funzioni, la delega di firma, senza alterare l'ordine delle competenze, attribuisce al soggetto titolare dell'ufficio delegato (e non all'ufficio oggettivamente considerato) il potere di sottoscrivere atti, i quali continuano ad essere sostanzialmente atti dell'autorità delegante e non di quella delegata"(8), e anche che "una mera delega di firma, senza alterare l'ordine delle competenze, attribuisce al soggetto delegato (e non all'ufficio oggettivamente considerato) il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata" (Tar Toscana, sentenza n. 3372 del 18/12/2002).
Lo stessa Cassazione ha precisato che "nell'ordinamento amministrativo possono essere individuate una delega di firma ed una di funzioni. Nella prima ipotesi il delegante mantenendo la piena titolarità dell'esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo o funzione non titolare dell'organo, il compito di firmare gli atti di esercizio di esso, onde l'atto firmato dal delegato resta imputato all'organo delegante" (sentenza n. 6882 del 25/5/2000; in senso conforme, n. 6113/2005).

Insomma, l'istituto della delega di firma non risponde in alcun modo alle logiche della delega di funzioni, poiché ha una consistenza e una natura del tutto diverse, trattandosi semplicemente di un atto che serve a definire l'organizzazione del lavoro all'interno di un ufficio. A tal proposito, vi è chi ha sostenuto che la designazione del responsabile del procedimento, di cui all'articolo 5 della legge 241/1990, sarebbe qualificabile come delega di firma: "attraverso tale delega il responsabile dell'adozione del provvedimento amministrativo individua un dipendente del proprio ufficio il quale provvederà all'apposizione materiale della firma sul provvedimento finale, ferma restando la possibilità dell'adozione di questo in capo al primo, ossia al delegante (che sarebbe il dirigente dell'unità organizzativa)"(9).

Anche la dottrina più risalente parla della delega di firma come di un fenomeno simile a quello della delega interna a un ufficio, anche se non del tutto assimilabile a quest'ultima, stante la sua rilevanza verso l'esterno. Si precisa che, nel caso, sarebbe necessaria una previsione legislativa che tale forma di delega consenta, ma il fenomeno non è comunque equiparabile alla delega di funzioni; piuttosto, si dovrebbe parlare di rappresentanza, nel senso che il delegato di firma può essere visto come il rappresentante del delegante.
Lo stesso Consiglio di Stato, in sede consultiva, è stato chiamato a pronunciarsi sulla esperibilità, nel caso di delega di firma, del ricorso gerarchico, pacificamente ammesso nel caso di delega di funzioni. L'Adunanza generale (13 dicembre 1999) si è pronunciata opinando che "muovendo dai caratteri particolari della delega di firma la considerazione centrale da fare è che l'atto emesso in tale ipotesi tiene luogo di un atto del delegante e perciò va assimilato, quanto a valore, a quello. In altri termini, è come se l'atto fosse stato emesso dal delegante".

Osservazioni conclusive a margine del problema
Alla stregua di un corretto inquadramento, la sottoscrizione del provvedimento amministrativo di accertamento, di cui all'articolo 42 del Dpr 600/73, da parte del funzionario va considerata delega di firma.
Infatti, l'atto in questione non comporta alcuno spostamento della competenza da un organo all'altro dell'ente pubblico "Agenzia delle entrate", ma semplicemente consente al funzionario delegato di sottoscrivere l'avviso di accertamento "per il direttore".

A tale conclusione si perviene utilizzando in primo luogo l'esegesi letterale del testo legislativo, come previsto dall'articolo 12 delle disposizioni preliminari al Codice civile, poiché nel definire il requisito della sottoscrizione dell'avviso di accertamento si parla di delega riferendosi proprio a tale requisito e, dunque, non lasciando dubbi sul fatto che si tratti di delega di firma.

A favore di questa tesi militano anche argomenti di ordine sistematico. Infatti, l'articolo 17 del Dlgs 165/2001 statuisce che sono i dirigenti degli uffici ad adottare gli atti e i provvedimenti amministrativi, in piena attuazione del principio di separazione tra funzione di indirizzo politico e svolgimento dell'attività amministrativa. Questo principio è stato recepito proprio dallo statuto e dal regolamento dell'Agenzia delle entrate. In effetti, all'articolo 11 dello statuto si legge che "i dirigenti dell'Agenzia curano l'attuazione degli indirizzi e dei programmi generali predisposti dal Direttore...adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi". Più chiaramente, l'articolo 5 del regolamento di amministrazione statuisce che "le funzioni operative dell'Agenzia sono svolte da uffici locali di livello dirigenziale". Insomma, non v'è dubbio alcuno che i soli soggetti abilitati a emettere provvedimenti amministrativi con efficacia sul piano dell'ordinamento giuridico generale sono i dirigenti capi degli uffici, nella loro qualità di organi. Appare altrettanto chiaro che, nei casi stabiliti dalla legge, l'emanazione e sottoscrizione del provvedimento amministrativo può essere delegata a funzionari addetti all'ufficio.

Né sarebbe corretto ricondurre la fattispecie nella previsione di cui al comma 1-bis dell'articolo 17 del Dlgs 165/2001, come sostenuto da parte della dottrina. In primo luogo, perché tale disposizione del Testo unico del pubblico impiego è stata introdotta solo nel 2002, a opera della legge n. 145, di riforma della dirigenza pubblica. In secondo luogo perché, nel caso di specie, si è in presenza, per l'appunto, non già di una delega di funzioni ante litteram, ma di una mera delega di firma che, senza alterare l'ordine delle competenze, attribuisce al soggetto titolare dell'ufficio delegato (e non all'ufficio oggettivamente considerato) il potere di sottoscrivere atti che continuano a essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata(10).
La naturale conclusione è che la delega di cui all'articolo 42 del Dpr 600/73 non deve essere limitata nel tempo, e può essere rilasciata con qualsiasi strumento organizzativo idoneo, quale, ad esempio, un ordine di servizio.

D'altra parte, l'Amministrazione finanziaria dovrebbe fare menzione della delega nell'atto di accertamento, tenendo presente che l'eventuale omissione di questa indicazione comporterebbe un vizio meramente formale dell'atto, non così grave da inficiarne la validità. Effettivamente, in caso di contestazione, sarà onus probandi dell'Amministrazione esibire copia dell'ordine di servizio con cui tale delega è stata rilasciata, ma non è questo il solo strumento nelle mani del contribuente che, ad esempio, potrà presentare all'ufficio apposita istanza con cui chiede l'esibizione della delega.

Dunque, nel caso dell'avviso di accertamento sottoscritto da parte del funzionario delegato, non potrà parlarsi di nullità poiché sussiste una sottoscrizione che rende riconducibile all'Amministrazione quel dato atto; al più potrà parlarsi di illegittimità, nel senso che il procedimento e il provvedimento finale non sono conformi ai dettami legislativi.
In tal senso, però, è d'uopo rilevare che la legge 241/1990 dispone un innovativo regime proprio in tema di illegittimità dei provvedimenti amministrativi derivanti da attività vincolata. Il secondo comma dell'articolo 21-octies recita che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".
Insomma, il provvedimento amministrativo non dotato di discrezionalità, come avviene nel caso del diritto tributario, non può essere annullato per un vizio meramente formale. Dovrà, pertanto, tenersi conto anche della recente novella di cui alla legge 15/2005 nel valutare correttamente i riflessi della delega, di cui all'articolo 42 del Dpr 600/73, sul provvedimento finale.


NOTE:
1) Ex plurimis, decisione n. 69 del 22/11/2002. Conforme, ad esempio, Ctp di Como, sentenza n. 134 del 24/2/2005.

2) Poli, L'Accertamento delle imposte sui redditi.

3) Cassazione, sentenza n. 14626 del 7/6/2000, ma anche sentenza n. 6836 del 22/7/1994. Sul punto, la giurisprudenza della Suprema corte è pressoché sterminata. Nella giurisprudenza di merito, Ctp Latina, sentenza n. 618 dell'11/9/2002.

4) Alberto Buscema, La delega alla sottoscrizione dell'avviso di accertamento nelle imposte sui redditi. Verifichiamone la validità in Il Fisco n. 21 del 2003.

5) Francesco Paolo D'Orsogna, Sulla nullità di atti emessi dall'Amministrazione Finanziaria: inefficacia ed irripetibilità degli stessi, limiti ai poteri correttivi dell'ufficio tributari, in Il Fisco n. 39 del 2003.

6) G. Miele, Delega (diritto amministrativo), in Enciclopedia del Diritto.

7) Cerulli Irelli, Principi del Diritto Amministrativo. In giurisprudenza, conforme, Cassazione, sentenza n. 7672 del 5/8/1998.

8) Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia, sentenza n. 182 del 30/5/1995. In un obiter dictum, Tar Piemonte, sentenza n. 309 del 17/3/2000.

9) F. Caringella, Corso di Diritto Amministrativo.

10) Si veda, ex plurimis, Tar Puglia, sentenza n. 2189/2001 e anche Tar Toscana, sentenza n. 3372/2002.

 
Daniele D'Angelo

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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