Spetta all'ufficio dimostrare l'inesistenza delle operazioni commerciali fatturate ( Sentenza n. 18710 del 23 settembre 2005 )


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Spetta all'ufficio dimostrare l'inesistenza delle operazioni commerciali fatturate ( Sentenza n. 18710 del 23 settembre 2005 )
Autore: Maurizio Giambrone - aggiornato il 12/10/2005
N° doc. 780
       
12 10 2005 - Edizione delle 13:00  
 
Corte di cassazione, sentenza n. 18710 del 23 settembre 2005

Spetta all'ufficio dimostrare l'inesistenza
delle operazioni commerciali fatturate

Ma quando la spesa non è regolarmente documentata da fattura, è il contribuente a dover dimostrare che, a fronte dei maggiori ricavi accertati, sono stati sostenuti costi inerenti all'attività esercitata
 
Con la sentenza n. 18710 del 23/9/2005, la Corte di cassazione ha stabilito che nelle ipotesi in cui l'ufficio ritenga che le fatture contabilizzate da un'impresa siano relative a operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare il contrario, ovvero l'effettività delle operazioni fatturate, bensì all'Amministrazione finanziaria dimostrare che le stesse non siano mai state poste in essere.

La Commissione tributaria regionale di Palermo aveva legittimato il recupero fiscale scaturente da un avviso di accertamento con il quale venivano disconosciuti, tra l'altro, taluni costi ritenuti relativi a operazioni inesistenti.
In particolare, l'ufficio finanziario aveva sostenuto, con una motivazione collegata "per relationem" a un processo verbale della Guardia di finanza, che la struttura aziendale non risultava idonea all'effettuazione dei lavori descritti nelle fatture esibite dal contribuente.
I giudici d'appello, considerato che la parte aveva omesso di depositare una perizia tecnica descrittiva dello stabilimento industriale, che pure aveva preannunciato di voler produrre, e non aveva fornito nessuna prova in ordine all'effettività delle prestazioni fatturate, avevano ritenuto che il recupero fiscale potesse essere legittimato per mancata produzione della prova contraria.

La suprema Corte ha invece sancito che, essendo già di per sé la fattura strumento idoneo, a norma dell'articolo 21 del Dpr 26 ottobre 1972 n. 633, a documentare un costo sostenuto dall'impresa, "nella ipotesi di fatture che l'Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l'operazione è effettiva, ma spetta all'Amministrazione, che adduce la falsità del documento e, quindi l'esistenza di un maggiore imponibile, provare che l'operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è stata mai posta in essere"(1).

La sentenza in commento presenta spunti interessanti, poiché, se in relazione alla concreta fattispecie delle fatture per operazioni inesistenti si ribadisce che l'onere della prova è a carico degli uffici finanziari, si conferma pure che in linea di principio è il contribuente che, se vuole contestare gli elementi e le situazioni presi a base delle rettifiche reddituali, deve dimostrare l'infondatezza degli stessi, ovvero "sostenere l'esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi".
Conseguentemente, ne deriva che, se il contribuente vuole far valere il disposto di cui all'articolo 109, quarto comma, del Tuir(2), che ammette la deducibilità dei componenti negativi risultanti da elementi certi e precisi, deve essere in grado di documentare l'esistenza di costi superiori a quelli dichiarati e/o considerati dall'ufficio in sede di determinazione del reddito d'impresa.

In buona sostanza, se il costo che un'azienda vuole portare in diminuzione dal reddito è documentato da fattura datata, numerata e provvista degli elementi prescritti dal citato articolo 21 del Dpr 633/1972, l'ufficio può valutare la sussistenza degli elementi previsti dalla normativa fiscale ai fini della deducibilità del costo (e dell'eventuale detraibilità dell'imposta), quali la competenza, l'inerenza, la congruità, ma per mettere in discussione l'effettività dell'operazione commerciale alla quale la fattura si riferisce, deve poter fornire la prova che la prestazione di servizi e/o la cessione di beni non siano mai state poste in essere. Invece, nel caso in cui la spesa non risulti regolarmente documentata da fattura, non può che essere il contribuente stesso a dimostrare che, a fronte dei maggiori ricavi accertati dall'ufficio, sono stati sostenuti costi imputabili al medesimo periodo d'imposta e inerenti all'attività esercitata.


NOTE:
1) I giudici di legittimità hanno fatto esplicito rinvio a quanto già dedotto nella sentenza Cass. 5 febbraio 1997, n. 1092, dove si definisce "ineccepibile" il principio secondo cui "l'onere di provare i componenti negativi del reddito grava sul contribuente che li indica in deduzione". Principio che, tuttavia, si ritiene che non possa trovare applicazione nel caso di specie, in quanto l'operazione ritenuta inesistente risulta documentata dalla stessa fattura.

2) "Le spese e gli oneri specificatamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi" (Articolo 109, comma 4, ultimo periodo, del Dpr 917/86, come modificato dal Dlgs 344/2003).
 
Maurizio Giambrone

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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