Territorio, studi di settore e adempimento spontaneo


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Territorio, studi di settore e adempimento spontaneo
Autore: Alessandro Santoro - aggiornato il 13/04/2006
N° doc. 1429
13 04 2006 - Edizione delle 14:30  
 
Forum quadro VT

Territorio, studi di settore e adempimento spontaneo

di Alessandro Santoro, Università degli Studi di Milano - Bicocca


Premessa
L'articolo di Roberto Convenevole "
Partenza sprint per il quadro VT", e la ricerca in esso sintetizzata, sono di grande interesse sotto diversi profili. Tralascio, non certo perché si tratti di un argomento di secondaria importanza, i suggerimenti che ne derivano in tema di riformulazione dell'Iva a livello europeo. Mi concentro, invece, sulle implicazioni in termini di politiche di contrasto dell'evasione fiscale.

Nell'articolo si suggerisce l'importanza di incentivare gli enti locali a partecipare alla lotta all'evasione tenendo conto dei vantaggi informativi e dei vincoli istituzionali. Per quanto riguarda i primi, si dice che "c'è una grande differenza logica tra il tentare di contenere l'evasione dell'imposta sui consumi ed il tentare di contenere l'evasione sui redditi, cosa per la quale da quaranta anni gli enti locali non sono più attrezzati". Per quanto riguarda i vincoli istituzionali, si sottolinea come il recupero di base imponibile evasa sia la principale possibilità di attuazione, da parte degli enti locali, del federalismo fiscale condizionato all'invarianza delle aliquote legali.

L'idea di "territorializzare" la lotta all'evasione è sicuramente interessante ed è di piena attualità. Sarebbe tuttavia utile entrare nel merito degli strumenti che gli enti locali potrebbero concretamente utilizzare una volta ottenuta (ed affinata) questa informazione. Posto che gli enti locali "non sono attrezzati" a contribuire concretamente alla lotta all'evasione delle imposte sui redditi, cosa potrebbero fare gli stessi enti locali per contrastare l'evasione (o, meglio, le richieste indebite di rimborso) dell'Iva e dell'Irap (nella misura in cui consegue ad una sottodichiarazione dei ricavi)?

Non ci sono dubbi che le cifre evidenziate da Convenevole sottolineino che le Regioni e gli altri enti locali possono essere responsabilizzati rispetto al recupero sul territorio di base imponibile evasa, ma rimane da affrontare la questione di come passare dalla rilevazione statistica generale (seppure disaggregata a livello territoriale) alla verifica dell'imponibile evaso da parte dei singoli contribuenti. Quest'ultimo accenno porta quasi naturalmente a discutere degli studi di settore che sono ad oggi il principale strumento in grado di elaborare alcune informazioni statistiche deducendone valori plausibili per i singoli contribuenti e conseguenti politiche di accertamento.

Gli studi di settore sono uno strumento utilizzabile per valutare la capacità di produrre ricavi o conseguire compensi dalle singole attività economiche. Sono realizzati tramite la raccolta sistematica di dati, sia di carattere fiscale sia di tipo "strutturale" che caratterizzano l'attività e il contesto economico in cui questa si svolge. Essi consentono quindi di determinare i ricavi o i compensi che con massima probabilità possono essere attribuiti al contribuente, individuando anche i fattori interni ed esterni relativi all'attività che potrebbero determinare una limitazione della capacità stessa (orari di attività, situazioni di mercato, eccetera).

Alla base degli studi di settore, applicati in misura massiccia dal 1998, c'è l'idea che sia possibile, quantomeno per le attività svolte su scala piccola e media, individuare i contribuenti che più probabilmente evadono confrontando, attraverso tecniche statistiche avanzate, i dati da loro dichiarati, e in particolare i ricavi e un insieme di variabili ad essi correlate, con quelli medi dichiarati dai contribuenti simili ed economicamente coerenti. L'azione di controllo e di accertamento dovrebbe quindi concentrarsi sui soggetti segnalati dagli studi ovvero quelli con ricavi "incongrui" e quelli con dati economici "incoerenti". Un contribuente è definito congruo se dichiara ricavi non inferiori a quelli puntuali come determinati dal relativo studio. In caso contrario, il contribuente è incongruo, sebbene esista una soglia di tolleranza (l'intervallo di confidenza). Un contribuente è definito "incoerente" se presenta valori di determinati indicatori che risultano molto diversi da quelli dichiarati da un insieme di contribuenti considerato sufficientemente affidabile.
Vi sono diverse ipotesi di riforma degli studi oggi in discussione, e tra queste vi è anche la possibilità di dare un maggior peso agli elementi territoriali.

Studi di settore e territorio
Nell'attuale procedura di elaborazione degli studi, l'analisi della territorialità interviene solo attraverso una modifica del coefficiente relativo alla variabile che ha il maggior peso per il calcolo dei ricavi congrui. Per esempio, se questa variabile è il costo del venduto (o una sua funzione), in base all'analisi territoriale il peso del coefficiente ad essa relativo viene corretto, per ogni cluster, al rialzo per le imprese operanti in aree ad alto benessere e livello di sviluppo e al ribasso per aree aventi caratteristiche opposte. Pure in mancanza di dati certi sembra di poter affermare che l'incidenza effettiva della territorialità sugli attuali studi di settore sia estremamente esigua.
Una possibile revisione del ruolo giocato dalle variabili territoriali nell'elaborazione degli studi di settore dovrebbe essere finalizzata ad aumentare il grado di efficienza e di efficacia degli studi di settore.

Per efficienza si può intendere l'attitudine degli studi di settore ad intercettare, per così dire, a monte, tutti gli evasori. In altri termini, gli studi di settore sono efficienti se tutti i contribuenti che evadono risultano incongrui, ed inoltre se tutti i contribuenti che non evadono risultano congrui. L'efficienza dipende quindi dal confronto tra i ricavi stimati dagli studi e quelli veri (e non osservabili) del contribuente. Minore è la differenza fra queste due variabili, maggiore è l'efficienza degli studi.
Qual è stata l'efficienza degli studi fino ad oggi? E' molto difficile rispondere a questa domanda perchè i dati disponibili circa l'effettivo impatto degli studi di settore sono piuttosto scarni e non aggiornati. Da questo punto di vista vi è una scarsissima trasparenza da parte degli enti competenti, e ciò inficia gravemente la possibilità di esprimere un giudizio compiuto e fondato sull'andamento degli studi di settore nei primi anni della loro applicazione. Sarebbe auspicabile la piena disponibilità dei microdati - depurati ovviamente dei particolari anagrafici - per valutare l'efficienza e l'efficacia degli studi di settore nei confronti delle singole imprese. Non solo questo tipo di dati è lungi dall'essere accessibile - in linea con la pressoché totale inaccessibilità dei microdati fiscali - ma non esiste neppure una fonte ufficiale che con regolare periodicità fornisca informazioni aggregate sui principali parametri, quali congruità e coerenza.
I pochi dati disponibili evidenziano una crescita della quota di contribuenti congrui, costante sebbene non lineare, nel periodo compreso tra il 1998 e il 2001. Vi sono sostanzialmente due interpretazioni possibili di questo fenomeno, aventi implicazioni opposte circa il grado di efficienza degli studi e l'evasione. Secondo una prima ipotesi, diciamo ottimistica, dato un certo grado di efficienza degli studi, una spontanea riduzione del grado di evasione, e quindi un aumento dei ricavi dichiarati avrebbero potuto generare un passaggio dall'incongruità alla congruità. Al contrario, secondo una tesi meno ottimistica il grado di efficienza degli studi potrebbe essersi ridotto con il passare del tempo. Ciò avrebbe comportato, data una certa differenza tra ricavi veri e ricavi dichiarati, un avvicinamento dei ricavi stimati dagli studi più ai secondi che ai primi, con la conseguenza che un maggior numero di contribuenti avrebbe potuto fregiarsi della condizione di congruità, pur non riducendo (o addirittura aumentando) la propria evasione. Ovviamente, non è affatto semplice dire quale di queste due interpretazioni sia più fondata. Tuttavia, va rilevato che nel caso la tesi ottimistica risultasse corretta, bisognerebbe osservare un aumento degli imponibili e dei ricavi dichiarati, che invece non sembra riscontrarsi. Al contrario, i dati sembrano suggerire come più plausibile la tesi, per così dire, pessimistica: l'incremento della congruità potrebbe essere dovuto più ad una progressiva perdita di efficienza degli studi di settore che non ad una progressiva riduzione dell'evasione(1).

Per efficacia, invece, si può intendere l'attitudine degli studi di settore a ridurre effettivamente l'evasione da parte dei contribuenti incongrui. Un problema che si è manifestato nei primi anni di applicazione degli studi consiste nel fatto che determinate categorie di contribuenti (in particolare le società in contabilità ordinaria per obbligo e, in secondo luogo, le società in contabilità ordinaria per opzione e i professionisti) hanno mostrato una scarsa per non dire nulla propensione ad adeguarsi alle indicazioni degli studi di settore. I ricavi dichiarati dai contribuenti, in altri termini, hanno continuato a mantenersi ben al di sotto rispetto ai ricavi plausibili secondo gli studi, e solo in alcuni casi gli adeguamenti spontanei hanno evidenziato dinamiche significative. Ciò è in larga parte spiegabile con lo "schermo contabile" di cui hanno potuto beneficiare, con modalità differenziate, le categorie predette e che oggi permane sebbene nella forma ridotta dell'accertamento cosiddetto "due su tre". Questo schermo rende meno probabile l'accertamento, e quindi disincentiva l'incremento dei ricavi dichiarati verso il livello indicato dagli studi.
La dimensione territoriale può assumere rilievo, anche alla luce dei dati recentemente emersi, nel necessario momento di verifica delle dimensioni e delle cause dell'inefficienza e dell'inefficacia.

Verso un'analisi territoriale dell'efficienza degli studi?
Si è detto in precedenza che l'(in)efficienza degli studi dipende dalla differenza tra i ricavi veri e quelli ritenuti plausibili in base agli studi di settore, mentre l'(in)efficacia dipende dalla differenza tra i ricavi plausibili e quelli dichiarati (considerato anche l'adeguamento). E' quantomeno plausibile che i livelli di (in)efficienza e di (in)efficacia degli studi siano territorialmente disomogenei. I dati contenuti nel quadro VT della dichiarazione Iva 2005 potrebbero essere utilizzati per verificare in quali regioni l'inefficienza degli studi è di maggiore evidenza e gravità quantomeno con riferimento alle vendite finali.
Per esempio, si potrebbero considerare inizialmente i contribuenti che effettuano solo vendite al consumo in una sola regione. Dato che, come emerge dall'articolo di Roberto Convenevole, le vendite al consumo sono effettuate dal 53,6 per cento degli operatori, che una parte limitata di questi dovrebbe effettuare vendite miste e che viceversa la grande maggioranza degli stessi operatori risulta effettuare vendite al consumo in una sola regione, si dovrebbe trattare di un insieme di indagine significativo. Per ciascuna regione sarebbe quindi possibile ottenere il totale dei ricavi dichiarati dagli operatori per le vendite al consumo.
A questo punto si dovrebbe abbinare a ciascuno (o ad un campione rappresentativo) di questi soggetti il livello dei ricavi congrui (considerando anche l'intervallo di confidenza) attribuito dal relativo studio di settore, nella versione più recente possibile. La differenza tra questi ricavi e quelli dichiarati, calcolata per ciascuna regione, potrebbe consentire, attraverso elaborazioni successive che tengano conto degli adeguamenti spontanei, di avere una indicazione territoriale del livello di (in)efficacia degli studi, dando per scontato che i ricavi dichiarati ai fini Iva siano comparabili con i ricavi dichiarati ai fini degli studi di settore, a meno di eventuali approssimazioni.
Per ogni regione, infine, si dovrebbe ottenere dall'indagine sui consumi delle famiglie italiane effettuata dall'Istat il totale dei consumi finali, che dovrebbe essere confrontato con il totale dei ricavi congrui ottenendone un'indicazione del livello di (in)efficienza regionale degli studi.
Se il risultato di questi confronti fosse una significativa disomogeneità dei livelli di efficienza e di efficacia degli studi a livello regionale, potrebbe essere opportuno considerare una riforma in senso territoriale degli studi stessi. In particolare, pur lasciando immutata la struttura degli studi (raccolta dei dati, ACP, cluster analysis, regressioni nei cluster), questa dovrebbe essere applicata a livello regionale e con riferimento ai soli ricavi ottenuti da vendite al consumo in quella regione, utilizzando il dato indicato nel quadro VT.

Quale sarebbe il vantaggio di questo approccio?
Innanzitutto, avendo una valutazione iniziale del grado di (in)efficienza e di (in)efficacia, per ciascuna regione potrebbero essere definiti degli obiettivi di sforzo fiscale, cioè di recupero della base imponibile, da utilizzarsi, per esempio, nel quadro delle politiche di trasferimento e di perequazione. In secondo luogo, l'analisi dell'inefficienza e dell'inefficacia potrebbe anch'essa essere territorializzata. E' plausibile che ciascuna regione identifichi un insieme di variabili significative per la stima dei ricavi tanto più diverso (in ogni cluster) da quello definito a livello nazionale quanto maggiore è il grado di inefficienza rilevato in partenza.
Questi vantaggi potrebbero essere tali da compensare l'aumento di complessità del sistema e la moltiplicazione degli studi rispetto a quelli esistenti (del resto, non è detto che a livello regionale sia necessario riprodurre tutti gli studi oggi in vigore).
Ovviamente, poiché l'informazione è disaggregata territorialmente per le sole vendite finali, l'approccio esposto in precedenza non sarebbe applicabile a quel 46,4 per cento di soggetti Iva che effettuano solo vendite ad altri operatori Iva, cioè ai fornitori, nonché agli altri operatori che effettuano vendite miste o in più regioni. Per questi soggetti gli studi rimarrebbero quelli attuali, e quindi convivrebbero due procedure diverse per soggetti giuridicamente simili ma con diversa finalizzazione della propria struttura produttiva. Tuttavia, quantomeno da un punto di vista sostanziale, si tratterebbe di un inconveniente relativo e transeunte se il miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia degli studi di settore sui venditori (puri e monoregionali) al consumo fosse significativo. In questo caso, infatti, i venditori al consumo avrebbero un naturale incentivo a far emergere gli acquisti (e l'Iva a credito) effettuati presso i fornitori.


NOTE:

1) Per un'analisi più compiuta si rinvia a "Evasione e studi di settore: quali risultati? Quali prospettive?" in corso di pubblicazione in La Finanza Pubblica Italiana. Rapporto 2006, Il Mulino, Bologna.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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