Una mappa per la caccia al tesoro fiscale (1).


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Una mappa per la caccia al tesoro fiscale (1).
Autore: Michele Andriola - aggiornato il 15/10/2007
N° doc. 4320
15 10 2007 - Edizione delle 15:30  
 
Accertamento

Una mappa per la caccia al tesoro fiscale (1)

La qualificazione giuridica delle operazioni "sospette". Dalla frode ai comportamenti antieconomici
 
Durante l'effettuazione delle verifiche fiscali ai contribuenti in materia di imposte sui redditi possono presentarsi casi di incerta qualificazione giuridica, che pongono dubbi agli organi inquirenti dell'Amministrazione finanziaria, civile e militare, sulla concreta riconducibilità dell'operazione sotto controllo a un'ipotesi di:
  • frode fiscale
  • evasione fiscale non costituente frode
  • comportamento assolutamente antieconomico
  • transfer pricing e cosiddetto transfer pricing interno
  • riqualificazione contrattuale
  • interposizione reale e fittizia
  • elusione fiscale e nullità dei contratti stipulati per soli fini fiscali
  • legittimo risparmio d'imposta.

Tenere ben presenti le fondamentali differenze tra le predette ipotesi è importante per ben inquadrare giuridicamente il comportamento, di volta in volta, posto in essere dal contribuente ed evitare erronee motivazioni degli atti impositivi.

Frode fiscale
La fondamentale caratteristica indiziaria della perpetrazione di una frode fiscale consiste nella fittizietà, in tutto o in parte, dell'operazione (i casi concreti possono essere svariati: si va dall'emissione di fatture per operazioni inesistenti, all'utilizzo delle stesse in dichiarazione dei redditi, alla sotto/sovrafatturazione di cessioni di beni o prestazioni di servizi).
Di regola, la fittizietà dell'operazione comporta la fittizietà, in tutto o in parte, dell'adempimento dell'obbligazione che ne consegue (si registra in contabilità un pagamento di una fattura di 100, ma difatti il denaro viene retrocesso "in nero").
È evidente che la fittizietà dell'operazione non potrà emergere ictu oculi (è difficile, infatti, rinvenire nella contabilità fatture con la dicitura "fattura per operazione inesistente"), ma richiederà una complessa attività di indagine, utilizzando all'uopo tutti i poteri conferiti dalla legge, ferma restando la tempestiva comunicazione della notizia di reato alla competente autorità giudiziaria, in presenza di meri indizi di fittizietà (quali, il mancato versamento dell'imposta da parte dell'emittente, l'estinzione della partita Iva dell'emittente, l'inidoneità tecnica all'effettuazione delle operazioni fatturate e così via).

Evasione fiscale non costituente frode fiscale
Tuttavia, nella prassi quotidiana può risultare in concreto difficile distinguere l'ipotesi della frode fiscale da quella del costo non inerente o non documentato.
La differenza è di non poco conto, perché la frode fiscale va tenuta ben distinta dalla semplice evasione fiscale.
Mentre la prima, come si è già detto, si caratterizza per la fittizietà, in tutto o in parte, dell'operazione posta in essere (ad esempio, l'inesistenza della prestazione di un servizio di pubblicità), la semplice evasione fiscale si caratterizza per la violazione di una disposizione normativa tributaria vigente, ferma restando l'effettività dell'operazione posta in essere (il servizio pubblicitario è stato effettivamente prestato, ma il contribuente non ha adeguatamente dimostrato l'inerenza dello stesso all'attività d'impresa o non ha adeguatamente documentato il costo, con ciò violando disposizioni normative tributarie).

Alla luce di quanto finora detto, è facile intuire come il rischio di confondere un'ipotesi di frode fiscale con un'ipotesi di semplice evasione fiscale è rilevante, perché in entrambi i casi l'operazione fatturata si presenta ictu oculi identica.
La differenza tra le due ipotesi sta, perciò, nel differente grado di approfondimento dell'indagine tributaria, essendo all'evidenza meno complicato dimostrare la non inerenza o la non documentabilità di un costo rispetto all'inesistenza, in tutto o in parte, dello stesso.

Assoluta antieconomicità
Una nuova ipotesi venuta alla ribalta negli ultimi anni grazie a un orientamento della Corte di cassazione, che sembra essere destinato a consolidarsi, nonostante qualche pronuncia in senso contrario(1), è quella della sindacabilità da parte dell'Amministrazione finanziaria dei corrispettivi pattuiti tra le parti contraenti, allorché vi sia fondata evidenza dell'assoluta antieconomicità dell'operazione per una delle parti contraenti (si pensi alla oramai vecchia questione dei compensi abnormi agli amministratori delle società, in vigenza dell'Ilor).

In succinta sintesi, secondo il predetto indirizzo giurisprudenziale, la presenza di un'operazione assolutamente antieconomica legittima il Fisco a sindacare il corrispettivo pattuito per ricondurlo al valore normale, cioè a quello comunemente praticato sul mercato di riferimento. È fatta salva la prova contraria a carico del contribuente.
Il rischio di un'acritica generalizzazione di tale indirizzo giurisprudenziale è che si faccia di tutta l'erba un fascio, confondendo, ancora una volta, ipotesi di evasione fiscale con vere e proprie frodi fiscali o, peggio ancora, ipotesi di evasione fiscale con comportamenti perfettamente legittimi.

Tanto per cominciare: se l'antieconomicità non si presenta come "assoluta", il sindacato di congruità dei corrispettivi da parte dell'Amministrazione finanziaria si trasforma in una vera e propria sostituzione al corrispettivo pattuito del valore normale. Tale sostituzione è legittima solo al ricorrere dei presupposti di applicabilità della normativa sul transfer pricing.
In ogni caso, la mancanza dell'"assolutezza" impedisce all'Amministrazione finanziaria di richiamare il citato orientamento giurisprudenziale per contestare al contribuente la violazione dello stesso.

In secondo luogo, l'assoluta antieconomicità deve sussistere ex ante e non sopraggiungere ex post: il sostenimento di una spesa di ricerca rivelatasi infruttuosa difficilmente potrà configurare un comportamento assolutamente antieconomico, mentre il conseguimento di un provento di un euro dalla vendita di una partecipazione societaria legittima un sindacato di congruità.
Insomma, l'abnormità del corrispettivo sarà vagliata, in prima battuta, secondo regole elementari di buon senso.

Qualora ci si trovi di fronte a un'operazione originariamente posta in essere per concrete finalità economiche, ma rivelatasi alla prova dei fatti assolutamente antieconomica, l'Amministrazione finanziaria non potrà contestare alcunché al contribuente, già afflitto dal cattivo esito dell'operazione. In questo caso, dall'indagine dovrà comunque emergere l'effettiva e imprevista insorgenza del cattivo affare intrapreso, controllo che potrebbe risultare complicato, a causa della strutturale asimmetria informativa che caratterizza i rapporti tra Fisco e contribuente.

Viceversa, qualora ci si trovi di fronte a un'operazione che si presenta assolutamente antieconomica ex ante, di fondamentale importanza è l'indagine sulla natura correlata o no delle parti contraenti.
È evidente, infatti, che se l'operazione che appare in prima battuta assolutamente antieconomica è posta in essere tra due società interamente controllate dal medesimo soggetto economico (parti correlate), ci si troverà di fronte a un travaso da una società all'altra del gruppo di utili o perdite. Viceversa, se l'operazione è posta in essere tra due società economicamente indipendenti (parti non correlate), si possono verificare tre differenti ipotesi, in cui l'operazione assolutamente antieconomica assurge a:

  • sospetto di frode fiscale
  • sospetto di stato di insolvenza dell'imprenditore
  • possibilità che l'operazione gestionale sia stata posta in essere per specifiche e concrete ragioni di mercato.

Come può notarsi, l'operazione che si presenta prima facie assolutamente antieconomica può celare differenti e contrapposte realtà sottostanti, che bisogna analizzare caso per caso, al fine di pervenire alla più appropriata qualificazione giuridica.

Partendo con l'esame delle parti correlate, occorre verificare quali siano le motivazioni che hanno indotto il soggetto economico a effettuare il predetto travaso di utili o perdite.
Considerato che nelle predette transazioni non vi è necessità alcuna di porre in essere operazioni fittizie, perché il denaro utilizzato per l'adempimento delle obbligazioni rimane nella disponibilità del medesimo soggetto economico, la risposta andrà rinvenuta in motivi di pura convenienza fiscale (arbitraggio fiscale infragruppo).

Per fare un esempio, i casi dei compensi abnormi agli amministratori soci delle società di persone erano esclusivamente giustificati dall'intassabilità degli stessi ai fini Ilor in capo al socio amministratore percettore, il quale, se non avesse percepito il compenso abnorme, si sarebbe visto attribuire per trasparenza dalla società il maggior reddito (non decurtato dal compenso), da assoggettare a imposizione anche ai fini Ilor.
Dimostrata l'esistenza di un arbitraggio fiscale infragruppo, si potrà procedere alla contestazione richiamando l'orientamento della Corte di cassazione in materia di assoluta antieconomicità. In tal modo, si mette il giudice nelle condizioni di comprendere le sostanziali ragioni sottostanti all'operazione formalmente antieconomica.

Più complessa si prospetta l'indagine tributaria qualora l'operazione che si presenta prima facie assolutamente antieconomica sia posta in essere tra parti non correlate.
Si è già detto che tali operazioni potranno, di volta in volta, costituire indizio di frode fiscale, di stato di insolvenza dell'imprenditore o di operazione gestionale posta in essere per specifiche e concrete ragioni di mercato.
È evidente che se si parte dal postulato che l'imprenditore non può che mirare a fare buoni affari, la circostanza che si faccia un cattivo affare fa sorgere il sospetto che l'imprenditore non si stia comportando come tale.
Di qui la necessità di procedere a un esame approfondito del caso concreto, anche avviando un formale contraddittorio con il contribuente, al fine di evitare di trarre sommarie e affrettate conclusioni, che potranno essere smentite alla luce di specifiche e concrete esigenze gestionali.

A tal fine, va segnalato che l'orientamento giurisprudenziale in materia di assoluta antieconomicità, se scorrettamente inteso dagli organi inquirenti dell'Amministrazione finanziaria, può tradursi in pratica in un comodo sgravio dall'effettuare le dovute e approfondite indagini tributarie, ribaltando in toto l'onere della prova al contribuente.

Viceversa, lungi dall'aspettare a braccia conserte gli elementi di prova addotti dal contribuente, gli organi inquirenti dovranno attentamente valutare l'operazione sotto esame, per poterla correttamente qualificare, di volta in volta, come operazione in tutto o in parte fittizia o, all'opposto, operazione giustificata da specifiche e concrete logiche di mercato.
Emblematico, a tal fine, è il fenomeno della vendita in blocco di merci fuori moda. In questo caso, l'organo inquirente non potrà limitarsi ad affermare apoditticamente l'assoluta antieconomicità dell'operazione, ma dovrà valutare fino a che punto le merci fuori moda abbiano perso molta parte del loro valore e da che punto in poi non sia configurabile una vera e propria sottofatturazione, con retrocessione in nero della restante parte del corrispettivo.

Nell'impossibilità di provare la sottofatturazione, si potrà dimostrare l'assoluta antieconomicità solo previa acquisizione di indizi gravi, precisi e concordanti, che facciano ritenere assolutamente sottostimato il prezzo di vendita.
Un discorso simile, anche se concretamente più complesso, rispetto a quello appena fatto potrà farsi nei casi di cosiddetta vendita a nummo uno, cioè a un euro, di aziende o di partecipazioni societarie, o della cosiddetta vendita con dote, contratto atipico con cui il venditore cede a prezzo irrisorio un'azienda o una partecipazione societaria e si impegna a rifondere le spese che l'acquirente dovesse sopportare in relazione all'azienda acquisita.

Transfer pricing
Si è già rilevato come occorra tener ben distinta la sindacabilità dell'operazione assolutamente antieconomica dalla valutazione al valore normale delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi (transfer pricing).
I controlli riguardanti i prezzi di trasferimento discendono dalla presenza nel nostro ordinamento tributario di una precisa disposizione normativa, contenuta nell'articolo 110, settimo comma, del Tuir, e di svariate leggi speciali di recepimento delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, ispirate al modello Ocse.

Al di fuori dell'ambito di applicazione della predetta normativa non è consentito all'Amministrazione finanziaria sindacare i corrispettivi (non abnormi) pattuiti nell'esercizio dell'autonomia contrattuale dei contribuenti; ciò per la semplice ragione che se non fosse così si consentirebbe al Fisco di rideterminare la base imponibile del contribuente.

I controlli di transfer pricing sono complessi e vanno condotti seguendo le linee-guida dell'Ocse e i documenti di prassi domestica.
Ciò che è importante evidenziare in questa sede è che nell'effettuazione degli stessi non assumerà rilevanza alcuna la valutazione di profili elusivi sottostanti alla fissazione dei prezzi di trasferimento.

Invero, la normativa sui prezzi di trasferimento è volta a tutelare l'integrità della base imponibile riconducibile a ciascuno Stato in cui opera il gruppo multinazionale, a prescindere se dalla fissazione dei prezzi di trasferimento il gruppo nel suo complesso ottiene il risultato di delocalizzare redditi prodotti in Paesi ad alta fiscalità in Paesi a bassa fiscalità.
Di conseguenza, non può che dissentire dalle due recenti pronunce della Corte di cassazione, che hanno imposto all'Amministrazione finanziaria di dimostrare la minore assoggettabilità a imposizione all'estero del reddito colà trasferito(2).

Il transfer pricing interno
A differenza del transfer pricing, col transfer pricing interno il gruppo operante nel territorio dello Stato italiano trasferisce base imponibile da un soggetto all'altro appartenente al gruppo, entrambi residenti in Italia, spostando in tal modo il carico impositivo.
Affinché l'operazione abbia un senso sul versante fiscale, occorre che il soggetto arricchito dallo spostamento del reddito goda di un regime impositivo più mite rispetto a quello impoverito (esempi classici sono i prezzi di trasferimento tra società del gruppo residenti nel nord Italia ad altre società del gruppo operanti nel sud del Paese e usufruenti di agevolazioni tributarie).

Salvo qualche ipotesi di carattere eccezionale (ad esempio, in materia di tonnage tax), il predetto fenomeno non è espressamente disciplinato dal legislatore tributario, con la conseguenza che risulterebbe vietata la riconducibilità al valore normale di corrispettivi (non abnormi) pattuiti infragruppo.
Tuttavia, sul punto si è pronunciata l'Amministrazione finanziaria (circolare 53/1999), la quale, dopo aver escluso l'applicabilità della normativa sui prezzi di trasferimento contenuta nell'articolo 110, settimo comma, del Tuir, e quella in materia di elusione fiscale contenuta nell'articolo 37-bis del Dpr 600/1973, ha paventato la possibilità di ricorrere all'accertamento analitico-induttivo, ai sensi dell'articolo 39, primo comma, lettera d), del Dpr 600/1973, e all'interposizione, disciplinata nell'articolo 37, terzo comma, del Dpr 600/1973, al fine di contrastare i predetti comportamenti inquadrati nel genus di quelli elusivi.

Ben consapevole della complessità dell'impresa, la circolare in esame ha comunque precisato che "nell'ipotesi che il ricorso alle suddette norme risultasse di difficile praticabilità, occorrerà valutare la possibilità di suggerire proposte normative finalizzate a prevedere l'estensione dell'applicazione del citato articolo 76, 5° comma, T.U.I.R. anche alle società residenti".
Da ultimo, la predetta circolare ha evidenziato che "potrebbe risultare più agevolmente perseguibile" il contrasto alle tecniche di transfer pricing interno mediante l'applicazione della disposizione in materia di destinazione a finalità estranee all'esercizio dell'impresa o, procedendo a una riqualificazione contrattuale, costruendo la fattispecie come negozio misto di vendita e donazione.

Come può notarsi, anche la questione del transfer pricing interno dà origine a seri problemi di qualificazione giuridica, in mancanza di un'apposita normativa che la disciplini.
Considerato che qualsiasi contestazione mossa dagli uffici impositori a operazioni pattuite a corrispettivi (non abnormi), anche se non allineati al valore normale di mercato, andrebbe inevitabilmente a mettere in discussione l'autonomia contrattuale delle parti, per sostituirvi una inesistente regola di valorizzazione al valore normale dei corrispettivi pattuiti, la soluzione migliore pare quella, già adombrata dall'Amministrazione finanziaria, di un apposito intervento normativo.

1 - continua

NOTE
1. Nel senso della sindacabilità da parte dell'Amministrazione finanziaria dei corrispettivi pattuiti in operazioni assolutamente antieconomiche, si vedano le sentenze della Corte di cassazione 12813/2000, 1821/2001, 13478/2001, 6337/2002, 7680/2002, 10802/2002, 11240/2002, 398/2003, 14428/2005, 20748/2006. Nel senso dell'insindacabilità dei corrispettivi pattuiti, si vedano, invece, le sentenze 6599/2002 e 21155/2005.

2. Si tratta delle sentenze 22023/2006 e 11226/2007.

 
Michele Andriola
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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